La storia. "Io, curato a Milano da dottoresse calabresi. Perché la nostra sanità non funziona?"

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images La storia. "Io, curato a Milano da dottoresse calabresi. Perché la nostra sanità non funziona?"
Achille Concolino
  16 novembre 2020 10:21

di TERESA ALOI

Quella di Achille è una testimonianza come tante. Di chi emigra al nord per farsi curare. Tranne poi trovare nei "mega ospedali", come lui stesso li definisce, eccellenze che arrivano dal Sud ma che in quel Sud "non hanno trovato il posto per essere utili alla propria regione".

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 Una testimonianza fatta di coraggio ma anche di amarezza e di rabbia per un sistema sanitario che a tutto risponde tranne che ai bisogni dei cittadini. Una storia di  caparbietà perché Achille Coccolino  quando scopre di essere affetto da una malattia oncologica sceglie di curarsi nella sua città.

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E' nel 2012  che scopre di essere malato. Esami, visite, cicli di chemioterapie li effettua nel reparto di Oncologia dell'ospedale Ciaccio "dove  ho trovato ottimi medici". Due anni dopo la malattia si ripresenta. "Torno al "Ciaccio" dove mi avevano curato". Achille si sottopone nuovamente ai cicli di chemioterapia, visite, esami e  controlli. 

Quattro anni, nel 2018,  dopo quel "mostro" ribussa nella sua vita. Ed è allora che "i miei figli decidono di portarmi a Milano". Milano, già. La grande città, i mega ospedali.  Achille però vuole restare a Catanzaro, vuole continuare a farsi curare al "Ciaccio" ma davanti alle difficoltà "per sottopormi alla Pet (Tomografia ad Emissione di Positroni, ndr) dovevi cecare l’amico per abbattere i tempi di attesa" si arrende. Non dopo aver speso "452 euro per l'esame effettuato da privato".

A Milano, Achille spiega di aver trovato "un'altra realtà". " In una settimana mi hanno fatto tutti gli accertamenti  e in 15 giorni ho avuto la diagnosi precisa". 

 Oggi Achille sta bene. Certo non è stato facile - "un anno fa sembravo un cadavere ambulante" . Tra viaggi, cure  e permanenza a Milano "ho speso 15-20.000 euro. E fortuna che la mia famiglia mi ha supportato". 

Ma il suo dispiacere è un altro. "Quello che fa veramente arrabbiare un cittadino calabrese è che su quattro dottoresse che ho incontrato a Milano, tre erano calabresi  ma qui non hanno trovato il posto per essere utili alla propria regione".

 

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