All'indomani della minaccia di suicidio di un uomo bloccato sul Ponte Morandi di Catanzaro (LEGGI QUI LA NOTIZIA) lo scrittore Franco Brescia offre ai nostri lettori la lettura di una sua poesia, con prefazione dell'autore che riportiamo di seguito.
Ieri la notizia che un uomo stesse per buttarsi giù dal ponte Morandi di Catanzaro. Un poliziotto lo ha dissuaso. Ora amerà di più la vita. Questo evento me ne ha fatto riapparire un altro, simile, nella mente, di qualche anno fa. Conclusosi allora, però, tragicamente. Mi trovai per caso nell’occasione. Percorrevo, infatti, il ponte in auto quando fui attratto da una piccola folla che si era ammassata lì, al centro, con lo sguardo giù. Nell’abisso. Lo vidi da lassù. Ne restai sconvolto. Un grumo di pianto. Poi esploso. Mi tinge l’anima la tragedia del mondo. Poi, il suo racconto nascente dal fantasticare. Con questa poesia che fa parte del mio libro non ancora pubblicato: “La stanza del tempo”.
ABISSO
Lo penetrava gentilezza dolce.
Calava pianto, sereno, tra melanconia e gioia,
nel suo sperdersi nell’armonia del creato
e
nell’immensità della platea fremente, erompente bellezza.
Ascoltava, sognante, la musica che evaporava dall’anima.
Calcava le pacifiche onde del pensiero profondo.
Si irradiavano penetrazioni iridescenti, chimeriche, nei suoi occhi vaganti.
Misuravano la sua forza le irraggianti illusioni.
Ma
dinnanzi e nell’indefinito, si aggirava, furibonda, la realtà del mondo.
Si agitava, possente,
a lui d’intorno, lo scorrere del vuoto e dell’egoismo umano.
Ne sentiva invivibile oppressione.
Il tema della sopravvivenza giocava, però, il suo impeto di sussulto.
Ondeggiava, stretto,
perciò,
tra un io solitario e il mondo sovrastante.
Trascinava il suo esistere così tra terra e cielo.
Innalzava barriere di stringente estraneità.
Quel giorno,
però,
con sorriso spento, sua madre ruppe il recinto della vita.
Lo abbandonò
tra formicolare e calpestio di breve folla
e
profumo avaro di fiori.
Andò in scaglie la limpida ampolla che stringeva l’essenza dell’amore colloquiante.
Il solo.
Vento, freddo avvilente indocile,
lo spinge
sul vascello inalberante il vessillo dell’umana fragilità.
Si dissolvono le pagine delle illusioni,
si frantuma
la memoria del passato sognante, del bello ardente.
Scema il coraggio nella fiducia e nella speranza.
E’stretto, forte, dall’ardente, impietosa catena dell’inquietudini estreme,
dalla calca degli sconvolgimenti.
Si ritrova nel mondo delle tenebre, feroci, nello sgomento del suo nulla imperante.
Vaga tra i vuoti dell’anima.
Indaga il percorso della riabilitazione, della mediazione che lo aggrappi alla vita,
la magia della dialettica.
Ma
sopraggiunse l’infelicità dello spirito.
E’ facile al pianto.
Lo attinge il desiderio, possente, di cedere al limite.
Si avvicina l’animo tra le crepe del tumulto inconsapevole,
verso l’abisso, intenso.
Lo prende la scia del suo fascino trascinante.
Lì
nella profondità,
legge,
nitido, un mondo lontano da personaggi, timori, inquietudini, da ossessioni opprimenti
il placarsi nell’appagamento.
Pure l’abisso, inesorabile, con le sue luci riflesse, affonda lo sguardo su di lui.
Eccolo,
smarrito ormai,
ricaccia il rito della conciliazione con l’essenza.
Cede.
Si perdona,
nel correre verso il suo io ultimo,
se pratica le infinite, inconciliabili tenebre.
In solitario.
Le braccia moventi mimano le ali.
Lo scintillio dell’ultima luce.
Un viaggio, effimero, che governa il senso di pace.
Con sé stessi.
franco brescia
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