Lamezia. Omicidio Di Spena, assolto di nuovo Pasquale Torcasio

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La Corte d' Appello di Catanzaro
  11 giugno 2022 21:24

Riconfermata dinnanzi alla Corte di Assise di Appello di Catanzaro l’assoluzione di Torcasio Pasquale cl. 80 (difeso dall’Avv. Antonio Larussa del Foro di Lamezia Terme) in relazione all’omicidio di Di Spena Enzo avvenuto in Lamezia Terme il 7 novembre del 2001.

A Torcasio Pasquale veniva contestato il reato di omicidio aggravato dalla premeditazione nonché dalle modalità mafiose e dall’agevolazione mafiosa per aver fatto parte del gruppo di fuoco, ascrivibile alla famiglia Torcasio, che aveva deciso l’eliminazione del Di Spena Enzo in quanto ritenuto soggetto legato a contrapposte consorterie e che qualche mese prima aveva avuto un litigio con Torcasio Vincenzo.

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Al Torcasio Pasquale veniva ascritto il ruolo di aver studiato e monitorato nei mesi precedenti le abitudini di vita della vittima anche presso la sua abitazione.

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Optato per il giudizio abbreviato, il Gip distrettuale di Catanzaro, il 7 luglio 2021, assolveva Torcasio Pasquale dall’accusa di omicidio e da quella in tema di armi per non aver commesso il fatto.

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In particolare il GIP di Catanzaro, nell’assolvere il Torcasio Pasquale riteneva la mancanza di elementi individualizzanti e di riscontro rispetto al propalato generico e dubitativo dei collaboratori di giustizia.

In particolare, le dichiarazioni, tra l’altro de relato, del collaboratore Pulice Gennaro sono le uniche che afferiscono al ruolo indicato nel capo d’imputazione, ma non sono autosufficienti, in costanza del fatto che l’aver intravisto il Torcasio nei pressi dell’abitazione del Di Spena non possa direttamente essere collegato ad un progetto omicidiario.

Prive di valenza individualizzante e lacunose anche le dichiarazioni del Torcasio Angelo e prive di valenza probatoria quelle del Muraca.

Concludeva il GIP: “Alla luce delle considerazioni suesposte emerge come permane un dubbio più che ragionevole in merito alla partecipazione del Torcasio all’omicidio del Di Spena (nello specifico con il ruolo di aver studiato le abitudini di vita della vittima). Tale dubbioviene pacificamente integrato dalla mancanza di dichiarazioni individualizzanti e dei relativi riscontri e, conseguentemente, la mancanza di prove al capo A) comporta logicamente la mancanza di prove in riferimento al capo B. Per tali ragioni Torcasio Pasquale va assolto da tutti i reati a lui ascritti (capi A e B) per non aver commesso il fatto.”

Sennonchè la Procura della Repubblica di Catanzaro appellava la sentenza di assoluzione, ritenendo errata la sentenza assolutoria e ritenendo la piena convergenza dei racconti di Pulice Gennaro e Torcasio Angelo.

Il 9 giugno 2022 veniva celebrato il processo di appello dinnanzi alla Corte di Assise di Appello di Catanzaro (Presidente dott.ssa Capitò, a latere dott. Commodaro).

La Procura Generale chiedeva il riascolto dei collaboratori Pulice e Torcasio o in subordine di tutti quelli che erano stati sentiti nell’ambito del procedimento.

A tale richiesta si opponeva la difesa dell’imputato ritenendo non necessario il riascolto dei collaboratori alla luce dei recenti arresti giurisprudenziali ed anche in considerazione della opzione per il rito abbreviato, nonché produceva la sentenza di assoluzione dei correi emessa dalla Corte di Assise di Catanzaro (irrevocabile per uno dei coimputati).

Veniva rigettava la richiesta di riapertura dell’istruttoria dibattimentale, e successivamente la Procura Generale presso la Corte di Appello di Catanzaro chiedeva la riforma della sentenza assolutoria e conseguentemente la condanna del Torcasio Pasquale alla pena di anni 30 di reclusione (l’ergastolo chiesto in 1° grado).

La Corte di Assise di Appello di Catanzaro, accogliendo completamente le argomentazioni difensive dell’Avv. Antonio Larussa, difensore del Torcasio Pasquale, che facevano leva sulla mancanza di convergenza delle dichiarazioni dei collaboratori, affette da evidente genericità, confermava la sentenza di assoluzione del Torcasio Pasquale per non aver commesso il fatto, ribadendosi ancora una volta l’estraneità dell’imputato al fatto di sangue in esame.

 

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