di mons. VINCENZO BERTOLONE*
«Non pensare che quando i cavalli di battaglia della Santa Inquisizione sono stati eliminati, si possa entrare nelle celeste Gerusalemme cavalcando il mite asino dell'evoluzione tra lo sventolare delle palme».
Il teologo Hans Urs von Balthasar ce lo ricorda: il passato, a volte, semplicemente trasforma in carnefici di oggi i presunti liberatori di ieri. Se guardiamo alla storia, osservando le pagine più buie del lungo cammino dell’umanità, ce ne accorgiamo: se qualche secolo addietro l’inquisizione era dettata da ragioni pseudoreligiose, ai giorni nostri rivive. Meno cruenta nei processi, ugualmente impietosa nelle condanne. È l’inquisizione digitale, che fa dell’etica il proprio vessillo ed espone alla lapidazione sociale gli inquisiti. È l’involuzione di un modello culturale che, nato in nome della libertà, finisce per ritagliare quest’ultima a uso di chi detiene il potere finanziario e politico.
Eventi anche recenti non fanno altro che confermare una tendenza consolidata: se persino una trasmissione satirica come Striscia la notizia è costretta a giustificare le proprie gag, vuol dire che il punto di non ritorno è stato abbondantemente superato, come d’altra parte evidenziano gli atteggiamenti di tante aziende indotte a clamorose retromarce (con tanto di scuse a questo ed a quello), pur di non perdere potenziali acquirenti per mancato ossequio al politicamente corretto.
Non è più un fenomeno circoscrivibile al proliferare di webeti. In realtà, è ormai frequente che persone perdano il lavoro o debbano eclissarsi dalla vita pubblica per le proprie opinioni o per dichiarazioni controverse rese magari anni prima: alla gogna si finisce per poco, quasi sempre per nulla di penalmente rilevante. Non basta essere in linea con la legge: i puristi del web, mutevoli più e peggio del cambio delle stagioni, per definizione scevri da responsabilità proprie, ma comunque pronti ad emettere sentenze inappellabili nei riguardi altrui, sono sempre all’opera, giorno e notte. Del resto, ciascuno troverà sempre un motivo per sentirsi offeso da qualcun altro che, per il solo fatto di essere diverso da lui, o di pensarla in modo differente, potrà recargli danno. Con il risultato che la nuova religione non promette la liberazione dal male, ma nuove catene per rendere l’uomo inoffensivo, mansueto, arrendevole: come nel mondo immaginato da Orwell in 1984, la “neolingua” è strumento di potere. E la conseguenza è il soffocamento del dibattito e della creatività, l’omologazione di pensieri e atti a uno stile di vita che alcuni hanno indicato come accettabile: non è vero ciò che è vero, ma ciò che si riesce a far apparire tale.
Per chi non s’arrende e lotta ancora per un modello di vita autentico e genuino, mai come ora sono di sprone le parole laiche dello scrittore Albert Camus: «Se dovessi scrivere un libro di morale, vorrei fosse di cento pagine. Novantanove di esse dovrebbero essere bianche. Sull’ultima pagina, poi, scriverei: conosco solo una legge, quella dell’amore».
+ arcivescovo Catanzaro-Squillace
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