di M. CLAUDIA CONIDI
Morti improvvise, assai frequenti. Quello che più mi spaventa è che dall’arrivo di questo nuovo virus molta gente viene a mancare rapidamente, così, senza una ragione apparente. Arresto cardiocircolatorio. Due parole per dire: è morto. Un decadimento veloce e poi la fine, o peggio, anzi meglio ritengo, la fine arriva tutta d’un colpo. Senza lasciare segno.
Doveva celebrarsi di qui a poco l’appello dell’aguzzino della donna rinvenuta segregata in un rudere a Gizzeria, per un controllo di routine da parte dei CC. Una baracca senza luce né servizi igienici, piena di rifiuti e cumuli di oggetti vari.
All’interno lei, Cristina, la giovane rumena devastata, con la sua bambina in braccio che le dormiva addosso, avvolta da una coperta. Entrambe vestivano indumenti logori e sporchi e con difficoltà erano riuscite a vedere gli operanti che le avevano finalmente liberate da uno stato di schiavitù totale nel quale erano rimaste per anni.
Cristina ne aveva subite tante da far paura al solo racconto. Lesioni varie ricucite dal suo aguzzino che non voleva esporla portandola in ospedale, con ago e filo da pesca, sulla testa, nelle parti intime, per i ripetuti abusi sessuali che le avevano fatto partorire due figli, ridotti in condizioni ormai pietose.
Si alimentavano Cristina con i suoi bambini di cibi scaduti, conservati in un bidone, senza alcun tipo di refrigeramento, del resto dove si trovavano era un ambiente freddo, ma tanto umido, che condividevano con i topi, cibi da non poter dare neanche ai maiali e che servivano alla loro sopravvivenza. La bimba, per stare sempre in braccio alla madre in quel luogo angusto e senza luce, aveva riportato malformazioni ossee, che le causavano difficoltà nel deambulare.
Un racconto da film horror. 20 anni di reclusione. Così la Corte d’Assise ritenne giusto punire l’Aloisio. Mi parsero pochi. Chiesi la riqualificazione del fatto in riduzione in schiavitù. Per me ci stava tutto. La Corte non mi diede ragione.
Un processo costellato di lutti. L’Avv. che seguiva l’imputato fu il primo ad andare via, colto da una folgorante malattia che sconvolse per prima me, intervenuta nella difesa delle povere vittime dell’aguzzino, Cristina, con i suoi due figlioletti.
Nel corso del processo ebbi lutti familiari molto stretti, che cambiarono il corso della mia vita. Ora apprendo della morte improvvisa dell’appellante imputato, Giordano Lucio Aloisio Claudio, in carcere, nel suo letto: infarto improvviso.
Quello che sarebbe stato un appello, sarà solo una declaratoria di cessazione della causa penale per morte del reo. Finisce così con un certificato di morte, un cammino doloroso, fatto di sofferenza e inspiegabile crudeltà. Credo sempre di più che Dio esiste e che soltanto Lui sa fino a che punto tutto può o meno accadere, per ognuno di noi.
Non voglio sembrare né giustizialista, né poco “umana, anzi, vorrei solo capire come e perché, a volte, il Signore segna un cammino così impervio per poi concluderlo con un sonno e per sempre. Credo che la giustizia non sia di questo mondo, anzi e che a volte non basta il criterio umano a neutralizzare quanto vi sia di sbagliato nella vita di ognuno di noi. C’è qualcosa di più grande che ci sovrasta e che sa bene fin dove sia possibile arrancare, o volare.
A Cristina e ai suoi bimbi va tutta la mia umana considerazione. Oggi lei non potrà più neanche ricevere i danni che ha subìto. Sapete perché? Perché lei non vuole nulla dagli eredi del suo aguzzino, poiché, a suo stesso dire, loro sono state le prime vittime sacrificali del suo tiranno ancor prima di lei e dei suoi bambini e come tali intoccabili, anche patrimonialmente.
Che il Signore ti benedica Cristina, te insieme con le tue creature.
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