di ALDO CASALINUOVO
La fase 2 all’epoca del coronavirus si è aperta anche sul fronte giustizia: il 12 maggio, infatti, è terminata la sospensione di udienze e termini processuali, in vigore dal 9 marzo scorso, e si è avviata (meglio: dovrebbe essersi avviata) una fase di graduale ripresa dell’attività giudiziaria. Quali le prime impressioni della c.d. fase 2 per chi vive quotidianamente la realtà dei Tribunali e delle aule giudiziarie? In verità – sia detto senza mezzi termini - una impressione di sostanziale e perdurante semiparalisi, di “sopravvivenza”, di regimi posti al minimo dei minimi.
E’ bene dire subito che nessuno si aspettava – e nessuno si aspetta – una ripresa piena e soddisfacente, a breve, della ordinaria e piuttosto frenetica attività cui si è generalmente abituati nei Tribunali: sarebbe una aspettativa irrazionale e contrastante con la fase emergenziale ancora in atto. Essi sono in verità, come suol dirsi, dei “porti di mare”, ed è evidente che le necessarie - per il momento irrinunciabili - misure precauzionali antivirus sono in buona parte incompatibili con le situazioni che, in tempi di normalità, sono tipiche della vita quotidiana degli uffici giudiziari: grande afflusso di operatori e di persone interessate ai diversi procedimenti da celebrarsi, aule di udienza più o meno affollate, contatti necessariamente ravvicinati negli spazi comuni tra i presenti.
Eppure, l’impressione che si ricava da una semplice visita in Tribunale, è quella di una realtà ancora sostanzialmente “chiusa”, in cui la c.d. fase 2 è di fatto una “progressione” meramente teorica, scarsamente o per nulla supportata dalla concretezza dei fatti. Il 90% dei procedimenti già fissati da qui alla fine di giugno sarà rinviata (o è già stata rinviata) in un arco temporale che va dal mese di settembre prossimo ad aprile 2021; stessa sorte, con ogni probabilità, subiranno quelli fissati nel mese di luglio; il personale in servizio nelle cancellerie continua ad essere esattamente dimezzato; il personale a casa, che dovrebbe operare in modalità smartworking, non ha accesso al sistema intranet e, dunque, ha potuto eseguire, e può eseguire, una attività d’ufficio estremamente ridotta; l’accesso alle cancelliere risulta sostanzialmente interdetto agli avvocati (tranne che per poche eccezioni, con un non sempre agevole sistema di prenotazione via mail); si continuano a susseguire protocolli, direttive e documenti (ve n’è uno ministeriale in materia informatica per la lettura e interpretazione del quale ritengo sia necessaria una specifica laurea) che non hanno certo brillato per chiarezza ed omogeneità dispositiva. Una situazione che, senza apprezzabili differenze, si riscontra su tutto il territorio nazionale.
Non si può dar torto, allora, al presidente dell’Unione delle Camere Penali, l’avv. Gian Domenico Caiazza, allorquando afferma che nel settore giustizia si deve registrare una “tendenza a non ripartire”, lamentando una accentuatissima disomogeneità dell’organizzazione nei singoli distretti giudiziari e uno “smartworking - caricatura”, giacchè, per come detto, irrisorio nella sua incidenza operativa. In tutto questo, l’avvocatura – peraltro particolarmente collaborativa nella gestione dell’emergenza - ha risentito e risente moltissimo della fase di stallo nell’attività giudiziaria, non soltanto per i comprensibili, dannosi effetti dell’inoperosità forzata, ma anche perché fatica a dare le più semplici e dovute risposte ai propri assistiti che, in definitiva, sono gli utenti e i destinatari ultimi del servizio giustizia. Il cittadino interessato da una vicenda giudiziaria di qualsivoglia natura, infatti, si rivolge ovviamente al suo difensore per essere aggiornato circa la propria posizione; ma è davvero difficile per gli avvocati dare riscontro a tali legittime richieste, in questo momento, posto che è altamente problematico, proprio per le ragioni sopra richiamate, acquisire i necessari ragguagli informativi da trasferire ai diretti interessati.
Sia ben chiaro: nessuno pretende l’impossibile. Dobbiamo tutti sopportare questa difficile fase della nostra vita personale e lavorativa con ragionevolezza, prudenza e senso di responsabilità. Ne avremo ancora per un bel po’ ed è inutile farsi illusioni di uno scenario totalmente diverso da qui a breve. E tuttavia (o proprio per questo) la proiezione alla ripresa, la tensione verso il ripristino di una accettabile normalità, deve essere un imperativo per tutti, in tutti i settori della nostra vita associata. Anche nei Tribunali, anche nel delicato segmento della dinamica sociale che negli stessi si realizza e che interessa una moltitudine importante di cittadini, con il coinvolgimento di diritti e interessi primari di ciascuno e di tutti. L’impegno in questo senso deve essere chiaro e percepibile, fugando ogni possibile sensazione di adagiamento del sistema su una attività tarata al “minimo sindacale” e posta al riparo da sollecitazioni e richiami in virtù della permanenza – certamente oggi più contenuta rispetto ai mesi trascorsi - dell’emergenza sanitaria, che non può e non deve trasformarsi in un alibi di comodo.
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