L'avvocato Raimondi: "Il dolore per la giustizia ferita"

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L’avvocato Nunzio Raimondi
  11 febbraio 2020 09:17

di NUNZIO RAIMONDI

Pensate pure che io sia un fessacchiotto qualsiasi, ma nella giustizia ci ho sempre creduto!

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In oltre trent’anni di Professione non posso negare di essere rimasto più volte attonito di fronte a determinate decisioni ma, com’è nella mia natura, mi sono sempre interrogato circa i miei limiti e l’impossibilità di comprendere fino in fondo alcuni ragionamenti giudiziari.

La prima cosa che s’insegna ,infatti, a chi frequenta una scuola di Avvocatura (purtroppo circolano ancora Avvocati senza scuola), infatti, è di non “innamorarsi” delle proprie tesi, quantomeno per mantenere il dovuto distacco nel giudizio sull’operato proprio e del prossimo.

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C’è anche che la giustizia è da sempre chiacchierata:

chi perde una causa di regola argomenta con dietrologie e presunte compravendite. Superare queste illazioni però è piuttosto semplice perché la frequentazione stabile delle aule di giustizia (e su questo sono stato molto fortunato nella mia vita,trovando stupefacente che i tuttologi di turno ne scrivano con una sorprendente sufficienza), ti fa vedere quanto sacrificio ed abnegazione c’è nel processo,da parte di tutti i suoi protagonisti,non soltanto avvocati e magistrati.

Io ,ad esempio, sono stato educato a difendere sempre la giurisdizione, e per tutta la mia vita ho esercitato questa che considero una virtù ben riposta.

Ora, come si comprenderà, vivo un momento di intenso dolore!

Non tanto per quanto si apprende dai media - e che non mette conto di commentare proprio perché si tratta di materia che è demanio dei giudici - ma perché si afferma da più d’uno che la pratica del mercimonio degli affari di giustizia sarebbe stata elevata a sistema... e questo non lo accetto proprio.

Certo, come in ogni categoria vi saranno anche lì le mele marce,ma io seguito a studiare per ore ed ore i processi nella certezza di discutere dinanzi ad un giudice terzo ed imparziale e tali mi paiono la stragrande maggioranza dei giudici dinanzi ai quali arringo.

Ma se, per le ragioni più diverse, magari anche in buona fede essendo tormentati da una giustizia che con dà ragione, dovesse accrescersi - come a me pare stia avvenendo dall’opinione pubblica - il convincimento che “le cose così vanno” che “basta pagare per addomesticare i processi”, mi sentirei di dire - come dico - che questo è un gravissimo, imperdonabile, errore.

Perché qui in Calabria, ancora più che altrove, amministrare giustizia e’ davvero difficile ma possiamo avere complessivamente fiducia nei nostri giudici, aldilà degli eventi di questi giorni tristi, i quali consegnano un quadro a tinte fosche.

Un ripensamento sulla sobrietà della vita del magistrato però s’impone:no,non ne vorrei postulare una sorta di sacerdozio civile, ma a me piacerebbe che si tornasse a quel rispetto di un tempo,quello che conobbi all’inizio della mia Professione e che mi appassionò tanto e che non vedo più: una relazione fra magistrati ed avvocati ispirata a cortesia (non formale) ed a rispetto delle rispettive prerogative, senza superbia né supponenza,senza timore ma con reciproco affidamento.

Ed anche l’Avvocatura (non è una difesa d’ufficio) è, nella stragrande maggioranza, sana.

Certo occorrerà guardarsi meglio fra di noi,cercando di tornare alle regole, rallentando la corsa di chi non ha ancora l’esperienza necessaria per costituire un baluardo etico alle scosse di questi tempi e valorizzando l’autorevolezza di chi può - e deve - parlare, cedendo umilmente il passo.

Lo dico sopratutto a coloro i quali non sono stati (e forse ancora non sono) fino in fondo consapevoli degli effetti di un cambiamento su fragili basi:perché senza passato non si può guardare con fiducia al futuro.

Ma ai cittadini,spesso inermi di fronte ad un mondo non completamente conosciuto,dico a voce alta: fidatevi della giustizia e dei magistrati,confidate nella onestà e nella correttezza degli avvocati, per carità non fate di “tutte l’erbe un fascio”!

 

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