di FILIPPO VELTRI
Il popolo di mezzo di Mimmo Gangemi, in libreria da Piemme da qualche giorno, e’ davvero l’opera piu’ completa e coinvolgente che lo scrittore di Santa Cristina d’Aspromonte ci abbia consegnato.
Superiore a quello che fino ad oggi era considerato il suo capolavoro, di cui invece rappresenta forse la seconda parte ideale. Parliamo ovviamente della signora di Ellis Island.
Oggi Gangemi racconta con la forza dirompente della letteratura piu’ bella e vera che il panorama italiano possa esporre le vite parallele di Tony e Luigi, due facce di quell’emigrazione italiana in America nella prima metà del Novecento che non è tornata nel paese di origine, ma è diventata parte della nuova nazione. E Gangemi va oltre gli steccati della Calabria dura e selvaggia che ci aveva regalato (ad esempio con L’acre odore di aglio, che considero un autentico gioiello forse non valorizzato appieno da un’industria libraria molto asfittica e assai provinciale quale quella del nostro Paese).
Una saga prodiga e crudele, una grande saga su cio’ che siamo stati. E abbiamo dimenticato.
Tony ha quindici anni, Luigi tredici e sono in America da sette. Ci sono arrivati, provenienti da un paese delle Madonie, in Sicilia. Ci sono arrivati dopo ventiquattro giorni di nave, insieme ai genitori, perché il padre, Masi, «una vita decente e più sopportabile pretendeva per i figli, non piagati dagli stessi sacrifici suoi.» La trama e’ quella all’inizio della emigrazione si puo’ dire solita e tradizionale. Sono stati sette anni più faticosi e amari di quanto Masi avesse supposto e la famiglia s’era dovuta dividere. La moglie, Lucia, con Luigi e la piccola Rachele, concepita in Italia ma nata negli Usa, abitava a News Orleans e raccoglieva cotone. Masi e Tony «lavoravano a cinque ore di locomotiva», «stendendo i binari che avrebbero portato i treni da New Orleans a Lafayette» Il ritorno a casa del padre e del figlio, dopo nove mesi di assenza – che sembra aprire al possibile ritorno in Italia dell’intera famiglia – si risolve in tragedia, quando una folla inferocita, che riteneva Masi complice di alcuni neri implicati nell’uccisione di una guardia, si scaglia contro di lui e la moglie in un linciaggio mortale.
Dai campi di cotone ai cantieri per le ferrovie, dalla Little Palermo di New Orleans alla Little Italy nella dimensione metropolitana di New York, dalla Mano Nera agli albori di Cosa nostra ritroviamo tutto l’immaginario letterario e filmico sull’America.
Leggiamo dalle pagine del libro di Gangemi, di cui a parte proponiamo due estratti, il primo riferito alla Georgia e il secondo a New York. «Quella sera, in Tony qualcosa si ruppe dentro. Prima di svoltare nella via, si girò per un ultimo sguardo: l’oscurità negava le corde; così, cinque sagome erano appese a nulla, se non al cielo. Saldò la scena nei ricordi da conservare. Saldò con essa, fino al consumarsi dei suoi giorni, l’odio contro l’America. (…) Masticò vendetta. Quattro o cinque li aveva impressi nella mente. Li avrebbe conservati intatti i volti dell’uomo che abbatteva l’ascia sulla porta, di quello che girava le corde attorno al ramo, di quello che passava una mano morbosa sul seno della madre, di quello che infilava i cappi nel collo, di quello che aveva ghignato nel dare un calcio al banchetto».
I due fratelli prendono pero’ strade diverse e mentre Tonyimbocca la strada violenta dei malarazza e si autodistruggerà nella lunga vendetta contro chi ha ucciso i suoi genitori e disintegrato la famiglia (nella notte degli orrori, come risucchiata dal nulla, anche la sorella), Luigi cercherà di mettere a frutto i suoi talenti di trombettista jazz.
La trama percorre con forza e originalità la presenza, in America, del popolo di mezzo – «gli italiani, di più quelli del Sud, sporchi, cenciosi, violenti, erano considerati negri camuffati da bianchi»: più vicini ai negri che ai bianchi – già presente nella Signora di Ellis Island, lì in miniera, qui nella costruzione delle ferrovie e dispiegandosi poi nelle molteplici vicende di chi ha fatto dell’America, per amore, per necessità, per delusioni personali, anche per odio, la sua definitiva nuova patria.
Le vicende emozionali dei due fratelli – la passione di Tony per Mary e quella di Luigi, prima per Rosaline e poi per Christine – si intrecciano con quelle “lavorative”: la passione musicale di Luigi, che deve lavorare molto su di sé per passare dalla padronanza tecnica dello strumento alla capacità di utilizzarlo per esprimere in maniera creativa le proprie emozioni, e la decisione di Tony, insieme a due amici, «di trasferirsi nella Little Italy di New York e d’impiantare lì un commercio con la Sicilia.»
Ha gia’ scritto la critica letteraria Maria Franco : ‘’ne scaturiscono pagine intense su come la violenza subita dai genitori generi in un figlio una violenza distruttiva per sé e per gli altri e si sublimi, nell’altro, in una musica che «era l’urlo di dolore dei sofferenti. Lo partorivano il vissuto, le cicatrici che non s’erano rimarginate, gli umori, le sensazioni di una sera e quelle incrostate dal tempo, da doverci convivere per sempre. Era voglia di libertà dalle gabbie dell’esistenza. Era anima in cerca di sfogo, d’appagamento. Era anima che liberava il tormento, l’irrazionalità inconfessabile, i pensieri più nascosti.»
Di plastica incisività – come nelle più forti immagini del miglior Scorsese e’ stato detto non a caso se solo si pensa ad esempio ad alcune scene di Gangs of New York – la ricostruzione della lotta per il predominio territoriale, a base di pizzo, estorsioni, usura, tra siciliani e napoletani, tra “mafia” e “camorra”, in luoghi già infiltrati da Mano Nera, «Assassini, una banda di assassini. Il nome l’hanno preso dagli anarchici, quelli scappati qua in seguito ai Fasci siciliani. All’inizio c’era confusione tra anarchici e malandrini. Confusione... erano allo stesso tempo anarchici e malandrini.»
Eccezionale la ricostruzione, oltre che della vita nelle carceri e nei manicomi, della presenza degli anarchici italiani in America, con cui Tony viene a contatto frequentando la scuola: «E s’era presto accorto dell’ambiente politicizzato, con molti che ce l’avevano con l’America e con il mondo. Erano anarchici. E invogliavano all’anarchia. Dopo la lezione di lingua, invitavano a seguire i loro ragionamenti, in italiano. Coinvolgevano parecchi. S’accostò anche Tony, sebbene non avesse idea di cosa fossero gli anarchici, che predicassero, che chiedessero. (…) Ognuno secondo le proprie capacità e le proprie necessità. E sempre «né Dio, né stato, né servo, né padrone» infilavano – erano le parole che Andrea Salsedo e Mario Buda più consumavano. Tony non ci metteva lingua, non era sicuro di pensarla uguale, se fosse anarchico o solo animato dall’intento di soddisfare la rabbia contro l’America che troppo s’era abusata. Importava fino a un certo punto però. Se quelle idee tornavano utili per saziarsi di vendetta, viva l’anarchia, se la abbracciava, se la teneva stretta e cara. Sì, l’America a pretenderlo sovversivo. L’avrebbe accontentata. »
Straordinaria, come al solito, la lingua. Le parole sembrano emergere come incise su marmo per solidità ma nello stesso tempo, vi scorre dentro il sangue della vita, con le sue passioni e i suoi dolori. In questa narrazione epica e struggente Mimmo Gangemi ci fa rivivere, con il coraggio dei grandi maestri, il senso d’estraneita’ e una nostalgia divorante, la speranza di piegare il destino e il sogno del ritorno, in una nazione che va rapidamente cambiando pelle.
*MIMMO GANGEMI, Il popolo di mezzo, Piemme, pp. 425, 18,90 euro.
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