di DOMENICO LANCIANO
Caro Tito, se ben ricordo, nella primavera del 1998 (oltre 24 anni fa) a Badolato il rag. Gerardo Mannello era il sindaco dell’accoglienza (in pieno svolgimento) ai profughi curdi sbarcati dalla nave Ararat il 27 dicembre 1997. In Alto Molise, presentatomi dall’ottimo amico Michele Carnevale (factotum del Giardino della flora appenninica di Capracotta, adesso in pensione da qualche anno), ho conosciuto il prof. Fernando Lucchese un docente dell’Università degli Studi di Campobasso (poi passato a Roma 3) il quale, oltre ad essere il direttore scientifico di quel Giardino, si interessava di Calanchi. Poiché sapeva che potevo essere interessato, il buon Michele organizzò un incontro con tale professore nell’hotel Monte Campo, prospiciente il Giardino, a 1550 metri, incantevole per panorami mozzafiato sia sulla Valle del Sangro e le alte montagne dell’Abruzzo e sia sulla Valle del Verrino e i variegati rilievi del Molise.
IL TENTATIVO DI VALORIZZARE I CALANCHI DI BADOLATO E DINTORNI
In quell’incontro, il prof. Lucchese mi ha detto che esisteva in Europa un movimento di ambientalisti che, in particolare, cercava di valorizzare scientificamente e turisticamente i “calanchi” di cui il nostro vecchio continente era estremamente ricco sia numericamente e sia come biodiversità. Tra tanto altro si trattava di proteggere un patrimonio davvero essenziale per l’economia e per la cultura pure delle future generazioni.
Come mostra la foto, i calanchi sono colline argillose, più o meno piccole, generalmente bianche o grigie e in origine prive di vegetazione oppure con poca vegetazione spontanea (anche se negli ultimi decenni, almeno da noi in Calabria, è in atto il tentativo di una forestazione, specialmente con eucaliptus o pini marittimi). Sono terreni molto antichi come formazione, che adesso appaiono erosi e dilavati dalle piogge in modo tale da formare canali, più o meno profondi, tra un conglomerato e l’altro, tra una cresta e l’altra. La consistenza e la scenografia dei calanchi risulta così estremamente affascinante e degna di essere vissuta pure per la loro struggente bellezza, oltre che per le qualità naturalistiche assai preziose ed interessanti.
I ragionamenti del prof. Lucchetti mi trovavano molto sensibile poiché ho sempre amato i calanchi della mia zona, da Soverato a Locri, e quelli di tutta la costa jonica, specialmente i più suggestivi di Capo Sud da Brancaleone a Reggio Calabria ( https://www.spuntidiviaggio.it/una-camminata-ai-calanchi-bianchi-di-palizzi-fra-natura-e-bellezza/). Famosi sono i calanchi bianchi di Palizzi ( << https://www.youtube.com/ watch?v=z3CkjXSyiQ4 >>). Egli mi ha detto che sarebbe stato disposto a parlare con qualche sindaco di tali territori per cercare di convincerlo a realizzare un Parco dei Calanchi. Probabilmente c’era pure la possibilità di ottenere qualche finanziamento o, comunque, delle agevolazioni per la loro valorizzazione e l’inserimento nei circuiti scientifici e turistici.
Per favorire questo suo sopralluogo a Badolato, avrei dovuto provvedere soltanto ad un contributo per le spese di viaggio e soggiorno per lui e per la moglie. Cosa non solo giusta e sacrosanta, ma meritevole di ulteriore riconoscenza e gratitudine. Fui talmente entusiasta della proposta che mi accollai io tali spese, senza cercare altrove. Così il prof. Lucchese, al centro dell’estate 1998, soggiornò a Badolato per vedere quei calanchi e per parlare con il sindaco Mannello. Ma tale incontro non diede alcun esito positivo. Mannello non si mostrò affatto interessato (forse era fin troppo impegnato con i profughi curdi). Né quando finirono questi suoi pressanti impegni d’accoglienza umanitaria (specialmente nelle altre due rielezioni) Mannello ebbe ricordarsi di tale proposta che poneva il nostro Comune come anticipatore (forse europeo o nazionale, sicuramente regionale) e capofila. Così, i Calanchi di Badolato e dintorni restano inutilizzati sotto il profilo scientifico, della valorizzazione naturalistica e turistica. Salvo che dal 2022.
E a meno di dieci km sud di Badolato ci sono i magnifici “calanchi di Guardavalle”… a riguardo segui queste magnifiche immagini accompagnate da una musica che aumenta le belle emozioni e le suggestioni: I Calanchi di Guardavalle
LE TELEFONATE DI STAMANI
Stamani ho telefonato sia a Michele Carnevale e sia al prof. Fernando Lucchese con i quali ho ricordato quell’evento del 1998. Lucchese, tra l’altro mi ha chiesto della “signora austriaca” Margot Yvonne Almond, che egli aveva conosciuto durante il suo breve soggiorno badolatese. In séguito al richiamo del “paese in vendita”, Margot aveva acquistato nel 1987 (quando aveva già 45 anni) un terreno con una casa colonica proprio su una collina difronte ai calanchi di Santa Caterina dello Jonio, quasi al confine con il territorio del Comune di Badolato. Coltivava fiori, in particolare cactus. Era innamorata di quel luogo sempre assolato con l’ampio panorama sul sempre azzurro golfo di Squillace: “Ho girato il mondo ma questo posto è il migliore per me” (così mi ripeteva, beata, ogni volta che l’andavo a fare la rituale visita di cortesia). Lo stesso Lucchese mi conferma che sì, quel posto gli era sembrato veramente incantevole.
Riguardo la nostra zona, su internet ho trovato soltanto una locandina che invitava ad una escursione tra i calanchi di Badolato e S. Caterina Jonio per domenica 27 marzo 2022 organizzata dalla sezione comprensoriale Soverato-Guardavalle di “Italia Nostra” (un gruppo, questo, fondato molti anni fa e animato da Angela Maida e dal marito Raffaele Riverso, miei vecchi amici): << https://www.italianostra.org/ archivio/eventi/i-calanchi-di-santa-caterina-dello-ionio-visita-guidata-domenica-27-marzo/ >>.
Stamani ho poi telefonato anche a Raffaele Riverso per sapere se ci fossero novità a riguardo. Mi ha risposto che la scorsa estate hanno organizzato “La notte dei calanchi” sempre sullo stesso sito tra Badolato e Santa Caterina Jonio. Inoltre, come “Italia Nostra, stanno pensando di presentare la documentazione alla Regione Calabria per fare di questi calanchi un vero e proprio parco. Non si è dimostrato però tanto ottimista.
Così come non si è mostrato soddisfatto di come vanno le cose in campo turistico un altro amico, Francesco Leto (uno dei promotori dell’attivissima associazione “Riviera e Borghi degli Angeli” che sta realizzando un ottimo lavoro a Badolato e dintorni). Per telefono si è lamentato del fatto che la Regione Calabria non ha ancora deciso, dopo un bel po’ di anni, sulla proposta di “Distretto turistico” avanzata da tale associazione, pur dopo l’adesione di una trentina di Comuni da Riace a Squillace. Si sa che la burocrazia rallenta troppo, quando non insabbia, nel gioco pure di interessi divergenti o concorrenti, politici oppure economici. Tuttavia, il dottore Leto mi assicura che se verrà fatto qualcosa di istituzionale sui Calanchi di Badolato e dintorni, la sua associazione li potrà inserire nei circuiti turistici per italiani e stranieri in visita in Calabria.
Sono assai lieto che, comunque e finalmente, si cominci a prestare un po’ di attenzione pure ai calanchi della nostra zona, visti finora come un “deserto” inutile … tutt’al più buono per cercare lumache dopo le prime piogge autunnali oppure per prelevare i deliziosi “capperi” dagli arbusti assai diffusi in questa contrada che, proprio per questo, si chiama “Capperi” immediatamente dopo il confine comunale di Badolato verso Santa Caterina dello Jonio.
I MERAVIGLIOSI CALANCHI DI CALABRIA
Quasi l’intera costa calabrese (800 km circa), in particolare quella jonica, presenta un’esperienza tra le più belle del mondo per copiosità e caratteristiche di calanchi e scogliere. Tanto è che se ne dovrebbe fare un marchio a sé stante. Un vero e proprio “Parco dei Calanchi di Calabria”. Diciamo che il 70% dei calanchi calabresi si trova lungo la riviera jonica. Infatti, caro Tito, se tu hai avuto modo di percorrere la strada statale 106 (E 90) oppure fare un viaggio in treno da Taranto a Reggo Calabria, sai di cosa scrivo … Specialmente, dopo aver lasciato la Puglia (già ricca di suo quanto a calanchi) e il breve tratto della Basilicata, ti accorgi di entrare in Calabria proprio perché cominciano le grandi estensioni di calanchi, con una tale quantità e qualità che hai l’impressione di entrare in un altro continente! E, poi, più scendi e più i calanchi diventano assai struggenti proprio come il profondo Sud. I calanchi del cosentino già ti fanno immergere in altre atmosfere, di colori e di luce. Poi, quando arrivi nel crotonese lo scenario può diventare allucinante e ancora più coinvolgente. Sembra di stare sulla luna. Un paesaggio davvero incantevole e stridente e, nello stesso tempo, evocativo e leggendario.
Però, appena entri nel catanzarese, i calanchi diventano di una dolcezza particolare già nel colore più tenue e meno drammatico, forse perché l’umidità che proviene dal mare Tirreno, attraverso l’istmo Lamezia-Squillace, li accarezza con delicatezza. Ma nel reggino, e specialmente, da Locri in poi fino Capo Sud, i calanchi riprendono il ruggito del sole e, salvo poche eccezioni, quasi la drammaticità dei deserti africani.
Si nota, nelle pagine web, che l’entusiasmo di giovani volenterosi è il protagonista nella valorizzazione, specialmente turistica dei calanchi, in particolare di quelli della zona di Capo Sud a Palizzi e nel Crotonese. Infatti, ho letto che a Cutro (KR) già di parla di realizzare il “Parco dei Calanchi del Marchesato”. Sarebbe veramente una realtà bellissima e potrebbe diventare “pilota” per altre zone della Calabria (vedi: << https://www.corrieredellacalabria.it/2022/04/24/verso-il-parco-dei-calanchi-del-marchesato/ >> ).
PARCHI DEI CALANCHI IN ITALIA
A sfogliare internet, notiamo che ci sono davvero tante esperienze organizzative sui calanchi in parecchie parti d’Italia, non soltanto al Sud e nelle Isole. Infatti, normalmente si credeva o si crede ancora che, essendo conformazioni calcaree e quindi desertiche, i calanchi fossero soltanto presenti nel profondo Sud arido, assolato e siccitoso. Invece, sono presenti in varie regioni e alcuni sono ancora ben noti perché vi sono stati girati celebri film western, come i calanchi del Lazio o del crotonese. Infatti, questo tipo di calanchi somiglia molto ai deserti del vecchio West americano del Nevada o dell’Arizona, del Texas o del sud della California. Sono un museo a cielo aperto, ricco di tanta biodiversità e di lunghe età della Terra.
Comprendendone il grande valore, la Regione Basilicata ha istituito nel 2011 a Montalbano Jonico (Matera) una “Riserva dei Calanchi” ( << https://www.ceaicalanchi.com/la-riserva-dei-calanchi/ >>) con un centro di educazione ambientale. Mentre a 7 km da Pisticci (Matera) c’è addirittura “Il teatro dei calanchi” ( << https://www.teatrodeicalanchi.com/ >>). Ad Aliano, altro paese della provincia d Matera, il Parco e la Strada dei Calanchi si fonde con il Parco Letterario dello scrittore Carlo Levi ( << https://www.parcolevi.it/ le-attivita/camminare-tra-i-calanchi-di-aliano/ >> ) che nel suo libro-capolavoro-cult “Cristo si è fermato ad Eboli” (1945) ha descritto i calanchi della Basilicata. Suggestioni su suggestioni, quindi. Quanta ricchezza!…
Sarebbe troppo lungo descrivere quanti e quali calanchi esistono nel resto d’Italia. Cerco, quindi, di sintetizzare molto e di dare un’idea orientativa. Salendo su per la Penisola, troviamo in Puglia tanti siti di calanchi che si confondono con le cosiddette “gravine”. A Cerignora (FG) c’è il “Sentiero dei Calanchi”. Nel vicino Molise, ci sono i calanchi di Montenero di Bisaccia (CB) come Parco Naturalistico Regionale. E poi i calanchi di Lucito e di Civitacampomarano, entrambi in provincia di Campobasso. C’è da dire che in Molise alcuni tipi di calanchi vengono denominati “morge” (grossi massi, più consistenti, però della creta). Sempre in provincia di Campobasso c’è il molto suggestivo “Parco delle Morge” alcune delle quali erano abitate come i sassi di Matera tanto è che qualche anno fa ne ho proposto un gemellaggio.
Giusto per fare un largo volo d’uccello sulle altre regioni. In Abruzzo ci sono i calanchi di Tori a Sant’Eusanio del Sangro (Chieti) e ad Atri (Teramo) c’è una Riserva Naturale Regionale. Nelle Marche, i calanchi sono a Ripatransone (AP). In Emilia Romagna, il Parco dei Gessi Bolognesi e i Calanchi dell’Abbadessa; il Parco Regionale della Vene di Gesso – I Calanchi di Brisighella (RA). In Piemonte, i calanchi di Merana (AL). In Toscana, calanchi o biancone di Val d’Orcia o delle crete senesi. Nel Lazio, la “Valle dei Calanchi” di Bagnoregio (VT). In Sardegna, i calanchi di Albagiara (OR). In Sicilia, i calanchi di Paternò (CT) e di Centuripe (EN). In Corsica, i calanchi di Piana. Ma, in tutta la costa mediterranea ci sono i calanchi. Come ad esempio a Marsiglia, nella Francia provenzale. Quasi tutti i calanchi sono “Siti di interesse comunitario” europeo (SIC).
IL PARCO DEI CALANCHI DI MARSIGLIA E ALTROVE
Il parco nazionale dei Calanchi di Marsiglia (il primo della Francia e forse d’Europa) è stato inaugurato il 18 aprile del 2012. Se il sindaco Mannello avesse preso in considerazione nel 1998 la proposta del prof. Fernando Lucchese, a quest’ora Badolato avrebbe avuto un Parco dei Calanchi in forte anticipo addirittura su quello francese e di tanti altri in Italia e in Europa. Invece, ci tocca sempre vedere che gli altri ci sorpassano, quando invece avremmo potuto essere se non i primi, sicuramente tra i primi a realizzare ciò che gli altri riescono a trasformare in industria redditizia per il territorio e per le sue generazioni: << http://www. calanques-parcnational.fr/fr >>. Se non ricordo male, dei calanchi di Marsiglia scrive pure Margherita Lao nel suo romanzo “Il mare di Marsiglia” che abbiamo pubblicato, in seconda edizione, il 05 aprile 2022 << https://www. costajonicaweb.it/ wp-content/uploads/2022/04/IL-MARE-DI-MARSIGLIA-di-MARGHERITA-LAO-romanzo-drammatico-aprile-2022.pdf >>.
Non sono mai stato a Marsiglia, se non quattro volte di passaggio con il treno, però penso che il tipo di calanchi che sono lì siano più simili a sedimentazioni rocciose rispetto i calanchi cretosi della costa jonica calabrese e lucana. Certo la varietà esiste in modo differente regione per regione, territorio per territorio. Pure la Spagna ha i suoi bei calanchi, specialmente in Andalusia o in Navarra e in tanti altri posti (per come ho notato nel viaggio del settembre 1998). Così pure in Portogallo, in particolare nel Sud dove sono struggenti almeno quanto i nostri calabresi (come ho ammirato nel giugno 1999) e che ricordo con profonda nostalgia, riuscendo così a capire perché a Badolato borgo c’è “Via Portogallo”. Qualcosa ci unisce. Così come alcuni calanchi calabresi sembrano simili a quelli della Cappadocia in Turchia. Diciamo che i calanchi uniscono molti territori e popoli del Mediterraneo. E, prima o poi, bisognerà dare voce pure a questo tipo di unità, oltre che ad altri valori comuni.
IL RELITTO DELLA NAVE COSALA
Un altro aspetto che unisce tutte le coste del Mediterraneo e quello dell’archeologia subacquea. Fino a 70 anni fa, a Badolato non c’è mai stato un buon rapporto con il mare, specialmente quello produttivo, poiché non abbiamo avuto pescatori di professione, né barche, né paranze se non quelle degli armatori Bressi (detti Simuni) e Cosenza che assicuravano i trasporti di persone, merci e posta prima dell’avvento della ferrovia jonica nel 1875. Né la popolazione andava a balneare, se non qualche raro borghese; mentre chi ci andava lo faceva per le insabbiature terapeutiche (da cui mi è venuta l’idea-proposta nel 1982 dello Stabilimento elio-talassoterapico).
Negli anni sessanta, però, c’è stato il “boom” della balneazione di massa (locale e turistica) ed anche dello sport della pesca subacquea praticato specialmente da giovani come Piero Caporale e il già ricordato Gerardo Mannello (futuro sindaco). Costui, nelle Olimpiadi badolatesi dell’estate 1967 da me ideate ed organizzate, ha vinto il primo premio sia nella corsa podistica Badolato Superiore – Badolato Marina e sia per il miglior pescato subacqueo con la fiocina. C’era in Badolato e dintorni un nutrito gruppo di “escursionisti subacquei” che, oltre a praticare la pesca sportiva, erano soliti perlustrare i fondali in cerca di archeologia, specialmente dopo il ritrovamento delle due statue dei Bronzi di Riace (16 agosto 1972).
Al largo, nel mare di Badolato e dintorni, i sub locali hanno trovato àncore antiche, oggettistica e persino un toro di bronzo del 5° secolo a.C. (circa 3 kg) che è sparito immediatamente (forse verso redditizi mercati antiquari). Quando nel 1982 ho fondato la sezione badolatese dell’Archeoclub d’Italia, mi sono premurato di affidare il settore subacqueo a Mimmo Procopio il quale, oltre ad essere egli stesso abile sub, aveva allora un negozio di articoli marittimi e per escursionisti subacquei, vicino alla Stazione ferroviaria. Ho fatto stampare (a mie spese) due cartoline di archeologia con raffigurazione pure di àncore recuperate dai sub badolatesi (altrimenti forse se ne sarebbe persa la memoria).
In quegli anni 1960-80 quasi tutti i sub della nostra interzona si misuravano nell’andare a vedere il relitto della nave Cosala che giace davanti alla costa di Badolato Marina a meno 44 metri. Se non ricordo male, uno di questi sub è riuscito a prendere la campanella di questa nave militare italiana, affondata verso le ore 14 del 10 febbraio 1943 da un sottomarino inglese. (vedi: << https://www.archeomedia.net/badolato-marina-cz-il-relitto-della-cosala/ >>).
PRO CALABRIA E SALUTISSIMI
Caro Tito, quelli della nostra generazione, fin da bambini abbiamo vissuto molto con e sui calanchi. Ci abbiamo giocato agli indiani, a “Rin Tin Tin” e per tanti piccoli altri giochi e ricerche. Il nostro può essere considerato pure un attaccamento sentimentale ed evocativo a queste collinette da “Far-West”. Non sapevamo allora cosa potessero significare e che tipo di risorsa avessero potuto divenire per il nostro territorio. Certamente restano connaturati al nostro essere jonici, però con uno sguardo alle montagne.
E a proposito di risorse del nostro territorio (specialmente di quello regionale) ieri ho appurato un fatto raccapricciante per l’economica, la sostenibilità e la natura calabrese. Ho letto questa notizia (con foto): << https://www.calabriadirettanews. com/2022 /10/29/laghi-calabresi-svuotati-da-una-multinazionale-agricoltori-in-ginocchio/ >>. Insomma, come mai si permette a società concessionarie di agire in tal modo senza essere controllate?… Probabilmente, per aumentare il controllo sociale di autorità (specialmente Forze dell’Ordine e Magistratura) e cittadini sulle risorse regionali e per cercare di impedirne la predazione, sarebbe utile realizzare un sito web (intitolato, ad esempio, “Pro Calabria” sostenuto da omonima associazione oppure “Calabria Sintesi” o anche “Il riflettore” ovvero “Segnalazioni”) su cui evidenziare tutte le criticità che ci penalizzano e che andrebbero perseguite. Pure notizie riprese da altri siti web o cartacei. Un PRESIDIO DI DEMOCRAZIA per difendere il proprio territorio, la propria sopravvivenza, dignità e civiltà.
Caro Tito, forse perché ci avviciniamo al 02 novembre (giornata più espressamente dedicata ai nostri cari defunti), la scorsa notte riflettevo sul termine “Si è spento” usato (specialmente negli annunci di morte) per chi è appena deceduto. A me sembra che, in generale, una vita nata è destinata a vivere sempre, in un modo o nell’altro. Quindi non si spegne, definitivamente. Inoltre, chi lascia un segno indelebile, specie se di sentimenti e di valori, può vivere oltre la sua esistenza temporale. Una pur piccola luce tutti portiamo, più o meno, nel mondo. Tanto è che la grande come la piccola Storia viene fatta e scritta e tramandata da ognuno di noi, nonostante possa essere limitata nel tempo e nello spazio.
Anche per tale motivo, raccomando a te (che sei più giovane di me e mi dovrai sopravvivere) di non scrivere, se farai un necrologio, “si è spento” … ma semplicemente “è morto” oppure “ha cessato di vivere” oppure “è deceduto”. Sono convinto che nessuno di noi si spegne o possa venire mai spento. La vita e la luce sono come quel tenace filo d’erba che riesce persino a bucare l’asfalto delle strade o i muri. Così il tempo. Il contadino che ha piantato un albero di ulivo … ebbene continua a dare luce e significato al paesaggio, quantunque noi forse non sapremo mai il suo nome. Così per chiunque altri abbia donato qualcosa di sé al mondo, a cominciare dal suo territorio … dal suo metro fecondato.
Ed è così giunto il momento di passare ai saluti e ai ringraziamenti, pensando alla prossima “Lettera n. 432” ma anche a tutti i nostri defunti. La loro luce si moltiplica in noi ogni giorno di più. Non dovremmo noi portare lumini pure perché sono Loro che ci danno luce e conforto. A parte il fatto che i lumini inquinano, come abbiamo evidenziato, giusto un anno fa, il primo novembre 2021 << https://www.costajonicaweb.it /lettere-a-tito-n-362-miliardi-di-lumini-per-i-defunti-quanto-impattano-sul-clima/ >>. Ciao e alla prossima! Domenico Lanciano (www.costajonicaweb.it)
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