di DOMENICO LANCIANO
Caro Tito, molti anni fa ho letto sul quotidiano nazionale “la Repubblica” di Roma un lungo articolo intitolato (cito a memoria) QUANDO UN ANZIANO MUORE E’ COME SE ANDASSE IN FUMO UNA BIBLIOTECA. Oggi, ricercando quella suggestiva frase, leggo in << https://multiversoweb.it/riviste/vecchio-nuovo/anziani-in-africa/ >> che tale frase è attribuita ad Amadou Hampâté Bâ (1901-1991) studioso ed antropologo della Repubblica del Mali in Africa nord-occidentale( https://it.wikipedia.org/wiki/Amadou_Hamp%C3%A2t%C3%A9_B%C3%A2 ). Comunque, queste sono frasi e deduzioni che – ritengo – abbia intuìto qualsiasi tipo di società in ogni parte del mondo, nel corso dei millenni. Specialmente là dove non esiste ancora una qualche scrittura che possa tramandare il salvabile, dal momento che forse – purtroppo – non tutto può essere salvato (per ovvi motivi, specialmente perché non c’è sufficiente sensibilità verso il tanto inestimabile patrimonio orale delle genti). Basti pensare come e quanto sia difficile, specialmente in Sud Italia, realizzare già una vera biblioteca generalista o specialistica … e quelle che ci sono (come la preziosissima e indispensabile Biblioteca Calabrese di Soriano VV) sono soggette ad infinite tribolazioni che vanificano quasi del tutto gli sforzi di chi ci lavora e le aspettative di noi autori e degli editori. Eppure nelle buone intenzioni del suo fondatore (preside Nicola Provenzano) tale Biblioteca avrebbe dovuto raccogliere la memoria di tutto ciò che è calabrese. Ovvero tutti gli Autori calabresi e tutto ciò che (in tutte le arti ed ovunque nel mondo) è stato scritto e si continua a scrivere sulla Calabria. Ho motivo di credere che l’ottimo Provenzano (1926 – 2012) si stia continuamente rivoltando nella tomba!
Ed io stesso ???… Queste mie lettere a te, per questa rubrica quasi settimanale dal 2012, grondano di dolore per la mancata realizzazione della Biblioteca Comunale di Badolato, prima; e dopo per la chiusura a tempo indeterminato, con pochissime speranze che venga ripristinata (dopo gli anni d’oro della “gestione dell’associazione La Radice” dal 1999 al 2005 circa). Questa è la dimostrazione, tra tanto altro, di come ci si riempie la bocca di “anziani” … ma poi, nel concreto, i nostri nonni, bisnonni e padri vengono ignorati uccidendo pure la loro memoria di cui avremmo noi stessi non soltanto diritto ma necessità. E mi chiedo che fine faranno, ad esempio, le trecento ore di fono-registrazione che ho realizzato tra il 1973 e il 1977 intervistando i nostri anziani badolatesi sul periodo della loro vita, che (in larga parte) andava dalla prima guerra mondiale alla seconda, dalle lotte contadine al terremoto del 1947, dall’alluvione del 1951 alla costruzione delle Marine di cui Badolato è stata una delle più rappresentative di quel fenomeno. E così via per tanti altri aspetti. A chi giova che non ci sia adeguata memoria sociale?…
LE TUE OTTO VIDEO-INTERVISTE
Qualche settimana fa, ho ripensato alle tue video-interviste realizzate negli anni 2014-2015-2025, di cui mi avevi fatto ascoltare qualche esempio assai interessante ed emblematico. Ritengo tali video-interviste (che sono presenti e rintracciabili sul canale Youtube di MaryWebEventy Produzioni Video) davvero ancora più pregevoli e importanti per la realtà non soltanto di Guardavalle ma pure dell’intera Calabria e anche del nostro Meridione. E anche oltre. Infatti ho pensato che non tutti i paesi hanno un Tito Lanciano che raccoglie simili testimonianze, valorizzando così pure gli anziani, i quali, in tal modo, si sentono utili e non dimenticati. Se raccolti in una video-teca, tutti i tuoi servizi su Guardavalle rappresentano un prototipo, una rievocazione vivente della vita sociale di una comunità omogenea quale può vantare questo che è uno dei nostri borghi più rappresentativi della nostra costa jonica. Così (con questa “Lettera n. 614”) vorrei far rinfrescare la memoria a chi già ha visto quelle interviste, ma soprattutto proporle a chi non ne ha seguìto nemmeno una, specialmente ai giovani “millennials” e, in particolare, a quelli della cosiddetta “generazione Z” (nati negli ultimi decenni).
Panorama di Guardavalle
Riascoltate dopo dieci anni, quelle voci di anziani mi hanno fatto ancora di più emozionare ma anche rabbrividire per i tanti (per noi inimmaginabili) sacrifici che hanno dovuto affrontare nella loro vita in un ambiente sicuramente privo di quasi tutto, ma sostanzialmente più ricco di valori e di etica … che rendevano la comunità di Guardavalle (e per esteso quasi tutta la società meridionale) più unita, coesa e forse più serena e felice. Questo pure a detta loro. Ma posso confermare alcune dichiarazioni di questi anziani che si sono prestati al tuo microfono e alla tua telecamera, dal momento che, essendo nato nello spartiacque del 1950, ho vissuto quel tipo di società così come ho vissuto la sua trasformazione in questa attuale. Ho visto e vissuto il vecchio tenore di vita e adesso vedo e vivo quello nuovo ed attuale. Certo non c’è paragone, poiché la società ha fatto passi da gigante in quasi tutti i settori; tuttavia ci rimane ancora un po’ di nostalgia per un mondo più gentile (almeno locale) nonostante i pur tanti difetti e le troppe carenze. E il racconto che ne fanno tutti indistintamente gli intervistati ne dà ampia conferma. E’ cambiato l’animo umano e sociale, tutto sommato, forse non in meglio.
GLI INTERVISTATI AD UNO AD UNO
Su mia richiesta, mi hai mandato otto interviste di anziani (sette uomini e una donna). Nell’ordine sono:
Antonio MORELLO ( https://youtu.be/MgWnd85rmJ8?si=zq_QkmlZxSBEHtYi ).
Fortunato GUIDO ( https://www.youtube.com/watch?v=FZ_8bVn3cQU ) .
Caterina VALENTE ( https://www.youtube.com/watch?v=gCCM1t3omdQ ).
Agazio SQUILLACIOTI ( https://www.youtube.com/watch?v=vDjANF52b2Y ).
Pietro VETRANO ( https://www.youtube.com/watch?v=9SIpu3MyZRo ).
Vincenzo CICINO ( https://www.youtube.com/watch?v=KazVXfOMqWI ).
Salvatore PERRONACE ( https://www.youtube.com/watch?v=EH0pk5P51SE ).
Bertoldo MENNITI ( https://www.youtube.com/watch?v=SwkgyYIQxO8 ).
Tutti gli intervistati, nessuno escluso, hanno commentato (ognuno a modo suo) il repentino cambiamento sociale (dalla fame al benessere, i paesi pieni come un uovo e adesso svuotati dall’emigrazione e dallo spopolamento). In particolare, tutti si soffermano nello stravolgimento dei costumi amorosi e sessuali (che appare il dato più eclatante ed impressionante) … mentre ai loro tempi non si poteva nemmeno toccare (di nascosto) il piede della fidanzata o del fidanzato poiché si era guardati a vista da tutti i familiari … fino ad oggi che c’è piena libertà (anzi fin troppa) per i giovani di entrambi i sessi (cosa che nessuno di loro approva, ovviamente). E’ altresì ovvio che le loro osservazioni risentono di una grande divaricazione tra le generazioni, specialmente riguardo la capacità, assai diminuita o del tutto assente, di fare sacrifici nel e per il lavoro … mentre tutti questi 8 intervistati hanno dovuto cominciare a lavorare (spesso molto duramente) già da bambini, generalmente fin dai 7-8 anni. Come è accaduto a mio padre (1905-1985) nel vicino paese di Badolato, ai suoi fratelli e a tutte le generazioni dei nati prima della seconda guerra mondiale (1940-45). Adesso, vediamo in sintesi cosa hanno detto, uno per uno, i tuoi otto intervistati. Tutti simpatici e tutti ancora pieni di vitalità nonostante l’età avanzata. Tutti da ammirare, a mio modesto parere. Tutti memorabili.
ANTONIO MORELLO
L’intervista ad Antonio Morello (detto “U Caru”) è stata effettuata mercoledì 21 maggio 2014 e dura quasi mezzora (per l’esattezza 29 minuti e 23 secondi). A quella data aveva 80 anni; adesso purtroppo non c’è più. Il signor Morello è l’esempio tipico dell’uomo che ha fatto tanti mestieri (il pastore, il contadino, l’operaio) in tempi in cui le famiglie (specialmente quelle numerose) avviavano (come detto) i propri figli a lavoro già dall’età infantile (di solito dal sette anni in su). E, come quasi tutti i bambini del popolo, nemmeno Morello è andato a scuola. Tuttavia sembra aver assorbito bene la cultura popolare, pure perché di tanto in tanto, durante l’intervista, si mette a cantare alcune canzoni amorose di tipo tradizionale. Dà così l’impressione di essere una persona felice, nonostante la sua vita sia stata molto dura fin da bambino. Ciò conferma la mia convinzione che la felicità non sia impedita da una vita assai sacrificato o addirittura dolorosa se si è puri nell’animo e nell’etica.
Antonio Morello
Morello racconta con orgoglio che all’età di 18 anni aveva già una figlia, chiamata Tota da Antonia, in onore della propria madre. A quei tempi era un obbligo morale (ma anche un piacere) rinnovare i nomi dei propri genitori assegnandoli ai propri figli. Un altro orgoglio era rappresentato dal fatto che, durante la sua giovinezza, ognuno era e si sentiva “poeta” poiché era in grado di inventare (spesso lì per lì) i versi delle canzoni da cantare in ogni occasione. Ripete che alla sua epoca c’era tanta povertà e persino tanta fame, però la vita individuale, familiare e sociale era ordinata e assai dignitosa; mentre adesso è tutto un caos, non ci capisce più niente. In particolare, i costumi sessuali e sentimentali erano molto riservati e morigerati ai suoi tempi mentre adesso sono troppo liberi e per lui assai incomprensibili. Racconta come erano le consuetudini, assai rigide, per potersi fidanzare; mentre al giorno d’oggi è l’esatto opposto. Tale argomento ricorre in tutti questi intervistati anziani. Non essendo scolarizzato ed acculturato, Antonio Morello dà la rara opportunità di ascoltare la
FORTUNATO GUIDO
L’intervista a Fortunato Guido dura 24 minuti e 31 secondi. E’ stata realizzata mercoledì 04 giugno 2014 mentre sta lavorando alla macchina da cucire essendo ancora in attività (sebbene in modo ridotto, sia per l’età avanzata e sia perché è ormai in pensione) nel mestiere di sarto e barbiere. Lo è diventato dopo essere andato ad apprendere tale arte nella bottega del maestro Severino Morello. Ci tiene a ricordare il suo maestro e racconta come era usanza, ai suoi tempi, di avviare i bambini ad imparare un mestiere, incrementando così la categoria degli artigiani così importante nella vita sociale di una comunità tipica agropastorale come quella di Guardavalle. Poiché fino agli anni sessanta c’era poca circolazione di denaro, solitamente la clientela pagava in natura. Ed è interessante apprendere la misurazione del suo lavoro. Ad esempio, un taglio di capelli per tutto l’anno (sei volte) equivaleva mediamente ad una giornata di lavoro di un bracciante. Due giornate equivalevano alla cucitura di una giacca da uomo; una giornata per un pantalone. Dal 1970 in poi le cose sono quasi radicalmente cambiate poiché la gente si rifornisce nei grandi magazzini, dove i vestiti costano di meno che non farseli fare da un sarto. Tuttavia, il lavoro non manca; c’è sempre qualcuno che preferisce farsi vestire da un sarto su misura; e poi ci sono gli aggiustamenti di vestiti o le riparazioni.
Fortunato Guido
Ci tiene a dire che gli artigiani erano assai rispettati in paese. Spesso la loro bottega era un centro di raccolta di ogni categoria di persone per scambiarsi notizie, parlare di politica e anche per passare il tempo quando il tempo atmosferico non permetteva di andare a lavorare in campagna. Erano un punto di riferimento ed un sano “ritrovo sociale” (alternativo alle bettole o ai bar). Le giornate più piene come lavoro erano il sabato e la domenica (fino a mezzogiorno). Adesso è rimasto l’unico sarto-barbiere di Guardavalle Superiore. Ci tiene a dire che gli artigiani non hanno mai patito la fame, come altre categorie. Racconta come erano i giochi di quando lui era bambino o giovanotto; come avveniva il corteggiamento, il matrimonio e altre consuetudini sociali. Ha visto con stupore la rapidissima trasformazione della società da quando il paese era chiuso su sé stesso mentre adesso pare sia l’esatto contrario, mentre forse era necessaria una via di mezzo. Essendo barbiere-parrucchiere, racconta come la vita delle persone sia diventata migliore e igienicamente più sana con i nuovi ritrovati chimici (come ad esempio il DDT) e per la possibilità di una migliore igiene personale, essendoci l’acqua in casa … mentre prima quasi tutti gli abitanti (persino i signorotti, nessuno escluso) avevano pulci e pidocchi. Essendo al centro del paese ed essendo riferimento per tutte le categorie sociali, è il personaggio che sembra avere la maggiore memoria comunitaria di Guardavalle.
CATERINA VALENTE
L’intervista della signora Caterina Valente risale a sabato 21 giugno 2014 e dura 33 minuti e 42 secondi. Esordisce dicendo che la sua vita è stata troppo travagliata, sia perché ha dovuto lavorare sin da bambina, sia perché ai suoi tempi non c’era alcuna comodità (né acqua, né luce, né gabinetti, né soldi, né cibo sufficiente, ecc.). Sposatasi a 16 anni e mezzo, già a 20 anni aveva tre figli; poi in tutto ne ha avuti ben otto. Però, adesso che è anziana ed ha 92 anni, tutti i figli fanno a gara per poterle essere utile. Nonostante la poca scolarizzazione, ha scritto un libro (intitolato “La valigia dei ricordi”) con cui ha raccontato tutta la sua vita passata e come dai tempi rigidissimi della sua infanzia e giovinezza si sia passati, in breve tempo, alla vita sfrenata di oggi (cosa che lei, ovviamente, non approva). L’unica cosa positiva è che dalla miseria si è passati all’abbondanza. Però, nonostante ciò, i giovani stentano a formarsi una famiglia; e l’emigrazione è di molto aumentata, ancora peggio dei suoi tempi quando si emigrava in massa e anche lei è stata costretta a trovare lavoro in una cittadina vicino Roma; e purtroppo torna in paese una volta l’anno (solitamente d’estate) mentre vorrebbe poterci stare di più.
Caterina Valente
A domanda, si sofferma a descrivere come erano, ai tempi della sua giovinezza, le maggiori feste di Guardavalle: dalla festa del patrono Sant’Agazio (il cui culto viene condiviso con Squillace) alla festa della Madonna del Carmine (quando c’era pure la fiera per la compravendita di animali da lavoro o da allevamento per il fabbisogno familiare), dalle festività natalizie a quelle del carnevale. E così via. Si sofferma a descrivere alcune tradizioni, come, ad esempio, il “Consuolo” ovvero quando si cucinava per le famiglie di parenti o di amici subito dopo un lutto. Sostiene che, oggi come oggi, molte ragazze non si sposano perché (oltre al lavoro) non hanno casa. La casa è stata assai importante per la sua generazione poiché le ragazze, solitamente, portavano come dote proprio la casa. E lei, con tanti sacrifici (magari pure mangiando meno e con cibi più economici) è riuscita ad acquistare due case. Un altro aspetto interessante del suo racconto riguarda gli animali che abitavano con le persone in paese, come i maiali e le galline (alle quali si lasciava un buco nella porta per poter rientrare la sera, dopo aver trascorso la giornata per le vie del paese alla ricerca di cibo). La signora Valente è deceduta a distanza di qualche tempo dall’intervista.
AGAZIO SQUILLACIOTI
L’intervista ha avuto luogo in Guardavalle Marina giovedì 11 settembre 2014 quando il signor Agazio Squillacioti aveva 85 anni. Dura 31 minuti e 3 secondi. Esordisce dicendo con orgoglio che ogni giorno dedica alla cura dell’orto almeno due ore, pure per mantenersi ancora attivo; e dichiara di sentirsi ancora giovane. Ha sempre lavorato fin da quando era bambino, come era usanza e necessità a quel tempo, pure perché la famiglia era numerosa e tutti dovevano contribuire. Altra cosa che dice con orgoglio: in vita sua non ha mai detto né una bestemmia, né una parolaccia, ma il suo linguaggio è sempre stato pulito, gentile e rispettoso. Purtroppo ha il rammarico di non aver potuto continuare ad andare a scuola, poiché il padre lo ha richiamato al lavoro mentre frequentava la seconda elementare. Ha frequentato la scuola serale mentre era militare. A lui piace scrivere poesie e canzoni; ne scrive sempre tante da moltissimi anni. Ne ha scritto pure una per Giorgio Almirante 1914-1988 (capo del partito di destra Movimento Sociale Italiano e più volte parlamentare) e per altri personaggi pubblici, come a tutti i sindaci di Guardavalle. Tra questi loda assai Rispoli, il primo sindaco del dopoguerra repubblicano.
Agazio Squillacioti
Durante l’intervista recita alcune sue poesie e canta qualche sua canzone, sia in lingua italiana che in dialetto. Ha pubblicato già un libro di poesie e uno ne ha in preparazione da dare alle stampe. Recita pure una poesia dedicata alla moglie, con la quale ha superato i cinquanta anni di matrimonio e si dice ancora innamorato di lei. Parlando dei tempi della sua giovinezza, racconta che tutte le campagne erano coltivate e che c’era un clima di grande cordialità, collaborazione ed amicizia tra i compaesani.
Che la cosa più bella era vedere la processione di gente che di mattina andava a lavorare a piedi nelle campagne e di sera tornava al paese, stanca ma felice; e rimpiange quei tempi, quando c’era più serenità e semplicità; ed ognuno si accontentava di ciò che riusciva ad avere. Invece adesso i tempi sono cambiati troppo e quasi nessuno si accontenta dell’abbondanza che c’è.
Racconta di essere andato a lavorare nelle cascine del Piemonte, quando era più giovane, e di avere portato a quella gente l’allegria della tarantella e delle sue canzoni. Tutti richiedevano la sua compagnia, sia perché aveva bei modi di comportarsi e sia perché sapeva suonare e cantare, avendo avuto in dote dalla Natura una voce molto possente e gradevole da ascoltare.
PIETRO VETRANO
Il simpaticissimo signor Pietro Vetràno (detto “U Scarparu”) aveva 94 anni al tempo dell’intervista di giovedì 29 gennaio 2015 (adesso defunto), di mestiere ha fatto il calzolaio. E con questo suo dignitoso e quieto lavoro è riuscito a portare avanti la famiglia, a dare una dignitosa dote ai quattro figli, a farli sposare. Ha 28 tra nipoti e pronipoti. Precisa che ha 94 anni 5 mesi e 7 giorni. Dice che è arrivato ad un’età in cui non rifiuta ulteriori anni, ma nello stesso tempo non li desidera, poiché è stanco della vita. Si augura soltanto una buona morte, senza sofferenza e senza dare fastidio di figli. E’ vedovo ed abita da solo; sente assai la solitudine e racconta un episodio di panico risolto dalla figlia. Ha una mente molto lucida e ricorda alla perfezione tutte le principali date della sua vita. Ad esempio, è partito a fare il militare di leva il 26 gennaio 1940 ma poi è subentrata la seconda guerra mondiale ed è stato trattenuto a fare il soldato. Per caso o per fortuna non è stato inviato al fronte. Tuttavia, dopo l’armistizio del fatidico 8 settembre 1943 è stato fatto prigioniero dei tedeschi e deportato prima in Germania e poi in Veneto, da dove è riuscito a scappare. E’ stato sbandato in vari luoghi della pianura padana per quasi due anni (braccato da partigiani e repubblichini) fino alla liberazione del 25 aprile 1945. Tornato a casa, ha riaperto la bottega di calzolaio, attività che ha fatto finché ha avuto le forze necessarie. Gli piaceva molto il suo lavoro e gradiva che la sua bottega fosse sempre piena di gente per compagnia e conversazione.
Pietro Vetràno
Alla domanda quale sia stato il giorno più bello e più brutto della sua vita, risponde, rispettivamente: il giorno delle nozze e quando è stato deportato in Germania.
Delle interviste finora ascoltate, mastro Pietro Vetrano è l’unico che fa riferimento alla “scirubètta” ovvero alla granita o al gelato che si faceva d’estate nei nostri paesi e nel resto della Calabria con la neve (conservata nelle nivère o ghiacciaie pressate e sotterrate in montagna).
Personalmente ricordo che nelle feste d’estate era in uso (negli anni in cui non c’erano i frigoriferi o i congelatori) mangiare gelati con questo metodo delle nivère.
E, a proposito di feste, mastro Pietro dice che oggi è festa tutti i giorni (anche nei pasti abbondanti) mentre ai suoi tempi non tutte le famiglie avevano sufficiente cibo per sfamarsi. Adesso i giovani fanno persino gli schizzinosi e gli incontentabili, senza pensare cosa significhi fame, guerra o frugalità.
VINCENZO CICINO
Martedì 24 febbraio 2015 hai intervistato Vincenzo Cicìno di 87 anni, essendo nato a Guardavalle Marina il 13 novembre 1928. Adesso è defunto. La sua famiglia si era trasferita da Guardavalle (Superiore) esattamente il 2 febbraio 1925 per coltivare alcuni terreni del litorale e per condurre al pascolo, in quelle pianure, mandrie di bovini e altri animali da allevamento. Ha voluto precisare tale particolarità, poiché è molto contento di essere nato nella Marina, forse il primo dei guardavallesi, quando ancora non c’era nemmeno una casa, a parte la stazione ferroviaria e qualche antico e sparuto ricovero agricolo. Pure per questa lontananza da Guardavalle Centro non è potuto andare a scuola; ma essenzialmente perché allora si cominciava a lavorare già da bambini. In seguito, da adulto, ha frequentato le scuole serali. Dove abitava la famiglia genitoriale non c’era né luce né acqua; nemmeno orologi poiché ci si regolava con il sole e le stelle per il passare del tempo. L’attacco dell’energia elettrica è avvenuto nel 1964, quando si cominciavano a costruire le prime case a Guardavalle Marina, la quale si è sviluppata grazie alla classe operaia, per la maggior parte, specialmente degli emigrati.
Vincenzo Cicìno
Ricorda benissimo come è avvenuta la famosa battaglia (aero-navale) di Punta Stilo (tra la l’Italia e l’Inghilterra) poiché l’ha vista con i propri occhi, proprio davanti al mare tra Monasterace e Badolato (il 09 luglio 1940).
A casa dovrebbe avere pure un libro su tale drammatico avvenimento della seconda guerra mondiale. Si ricorda pure che c’era un tempo in cui la statua di Sant’Agazio veniva portata per sfilare a Guardavalle Marina; conosce pure le strade che venivano percorse a piedi da quella processione da Guardavalle Superiore e viceversa.
A proposito di feste, dice che le migliori erano quelle dello stesso Sant’Agazio, patrono del paese, del Carmine e del Rosario.
Era una buona scusa per mangiare un po’ meglio del consueto. Da buon ex contadino ed allevatore, ci tiene a dire che dovrebbero essere fatti più controlli sul cibo, che adesso non è più naturale ma artificiale e pieno di medicinali che fanno male alla salute. Rimpiange il tempo in cui il cibo era genuino ed era quasi tutto prodotto da loro.
SALVATORE PERRONACE
La conversazione con Salvatore Perronace (detto “U Guiu”) è stata registrata mercoledì 06 gennaio 2016 (giorno dell’Epifania) e dura 22 minuti e 15 secondi. Essendo nato il 28 luglio 1931, ha visto la seconda guerra mondiale con i suoi occhi di adolescente e con le difficoltà condivise con i suoi concittadini, specialmente la paura dell’esercito tedesco che nel settembre 1943 era in ritirata pure lungo il nostro litorale, incalzato dall’esercito degli Alleati (anglo-americani). Racconta di come era difficile ma anche spensierata la vita ai suoi tempi, proprio a cavallo della seconda guerra mondiale, con le tradizioni e la voglia di superare i forti disagi. Purtroppo, spiega, il denaro ha portato la gente a diventare più selvaggia ed ha agevolato la criminalità. Inoltre la troppo libertà dei giovani non giova assolutamente alla morale individuale e collettiva. Certo, prima la libertà era troppo poca o addirittura assente, ma adesso è proprio troppa, eccessiva. Con una qualche nostalgia per la semplicità dei tempi passato, recita una canzone popolare.
Salvatore Perronace
Come quasi tutti quelli della sua età, Salvatore è andato a lavorare all’età di 7 anni con i genitori (contadini ed allevatori). Per tale motivo non è potuto andare a scuola e quel poco che sa lo ha appreso alla scuola serale da adulto. Ha sposato (tardi a 29 anni) una ragazza della ruga (vicinato) come era in uso ai suoi tempi.
Ha visto il progresso che ha stravolto il mondo, specialmente dagli anni settanta in poi, quando lui stesso è passato dal traino delle vacche ai trattori sempre più potenti e moderni per lavorare i suoi terreni e quelli altrui. Purtroppo il suo lavoro e i suoi sacrifici non sono bastati a trattenere a Guardavalle o in Calabria i propri quattro figli (2 maschi e 2 femmine) i quali sono tutti emigrati, chi al nord e chi all’estero.
Tuttavia, nonostante tanti aspetti negativi, è contento del progresso perché ha permesso ai figli dei contadini, degli operai e degli artigiani di diventare professionisti (medici, avvocati, ingegneri, insegnanti, ecc.). Però, adesso le campagne sono quasi tutte abbandonate. E, questo, tra tanto altro, significa che non si mangia più cibo genuino.
BERTOLDO MENNITI
Dura quasi 50 minuti l’intervista al cav. Bertoldo Menniti (ex maresciallo dei Carabinieri). E’ la più lunga della serie; segno che ha avuto tante cose da dire. E si nota immediatamente che è un personaggio a sé stante. E lo si scopre man mano che va avanti il racconto. La registrazione risale a quasi due mesi fa, verso la fine dello scorso mese di aprile 2025 ed ha raccolto già oltre 400 ascolti. E’ il più giovane degli intervistati, poiché è nato il 21 febbraio 1946. Ed è, quindi, l’unico nato nel dopoguerra; quando, però, la crisi generale era ancora molto forte e, comunque, la comunità paesana era ancora quella più tradizionale, ancora “chiusa” nelle proprie consuetudini (come ad esempio, quelle del corteggiamento, del fidanzamento, del matrimonio, della vita quotidiana, ecc.). E’ stato figlio di famiglia numerosa (come un po’ tutti a quell’epoca) dove ognuno era chiamato a fare la propria parte di sacrifici. Racconta che la madre lo ha partorito appena qualche ora dopo essersi ritirata dalla raccolta delle olive. Una situazione simile alla nascita di mia sorella Mimma (11 marzo 1942) quando mia madre, appunto, poche ore prima era tornata, a piedi, da una campagna lontana con un carico di olive sulla testa. Adesso una cosa del genere sarebbe impensabile ed inconcepibile; così come la necessità a quei tempi, due o tre giorni dopo il parto, di tornare in campagna a lavorare o addirittura a lavare i panni al fiume con i piedi immersi nell’acqua fredda proveniente dalla montagna.
Bertoldo Menniti
Il maresciallo Menniti racconta i giochi di quando era bambino, in particolare quello dei bottoni (che io ricordo benissimo). Così come racconta dell’aereo di linea che, passando sopra Guardavalle puntuale ogni mattina, fungeva da sveglia per tutta la popolazione, dal momento che non c’erano ancora orologi per regolarsi sul trascorrere del tempo. Dice, con orgoglio e commozione, che porta il nome di uno zio morto in guerra.
“Sono assai onorato di portare il nome del fratello di mio padre” afferma. Così come si commuove in vari altri passaggi, come, ad esempio, quando racconta del “U pana e fora” (il pane di fuori casa) quando il padre riportava di sera, al ritorno dal lavoro, parte del pane che si era portato in campagna come molto frugale colazione.
L’occasione è preziosa per fare riferimento agli sprechi alimentari di oggi; ma anche alle troppe comodità attuali rispetto alla penuria della sua infanzia. Certo, il progresso è bello per tutti, però si è passati da un opposto all’altro … che è poi il concetto evidenziato da tutti gli intervistati. Un’ulteriore novità (che altri non hanno detto) è il riferimento al “pane fiore di maggio” … un pane-rituale che si faceva durante il mese di maggio e con il quale, a Badolato, si legavano dei veri e propri “comparaggi” speciali che dimostravano la tendenza di allora di intessere maggiori amicizie, legàte dal sacro rispetto tra singole persone e famiglie di compari.
L’attività sociale del maresciallo Menniti ha preso buona parte dell’intervista e ci mostra un personaggio il quale (già dedito al servizio dei cittadini per professione) ama la gente, specialmente la propria comunità di Guardavalle, dove è nato e dove ha preferito tornare dopo 40 anni con la moglie (sposata tardi, dopo averla rivista per caso a distanza di parecchi anni) e le due figlie proprio per il troppo amore verso il paese delle origini. Per il quale non si risparmia, servendolo nel modo migliore possibile nel volontariato delle congreghe religiose, nel teatro amatoriale, nell’organizzazione di eventi (siano essi parrocchiali che rionali o comunitari) come il carnevale che ha fatto sfilare pure in altre cittadine come Soverato, Serra San Bruno e del circondario. E, proprio per amore di Guardavalle, ha voluto prendere parte come attore nel tuo film “Malaspina” nel ruolo (paradossale, per certi versi, essendo stato carabiniere) del boss mafioso ma buono (come nella foto precedente). Bertoldo Menniti (che è entrato nell’Arma dei Carabinieri il 3 marzo 1965 all’età di 19 anni) fa parte dell’Associazione Nazionale Carabinieri (sezione di Soverato), è presidente della Banda Musicale di Guardavalle “Francesco Cilea” nonché presidente del Centro Anziani, del Gruppo Guglielmo Sirleto. Inoltre scrive poesie dialettali, è segretario del Seggio Priorale della Confraternita di Santa Caterina, è uno dei protagonisti delle processioni, in particolare della Confronta pasquale, cioè dell’incontro del Cristo appena risorto con la madre.
Menniti alla Cunfrunta
Insomma, a quasi ottanta anni, il cav. Bertoldo Menniti non si risparmia affinché la sua Guardavalle possa rifulgere in tutto il circondario.
Si è mantenuto molto modesto ed umile, nonostante i suoi successi con le donne alle quali piaceva molto anche per il fascino della divisa (ma pure perché bel ragazzo, alto oltre un metro e 80, e ottimo affabulatore); nonostante le medaglie e i riconoscimenti ufficiali e solenni, sia professionali che civili.
Con orgoglio e soddisfazione ricorda che è stato lui a convincere recentemente sia il parroco di Guardavalle Superiore che quello della Marina (per pura coincidenza sono i due fratelli Orlando e Massimo AMELIO) a voler portare al mare, come un tempo, la statua del patrono Sant’Agazio, cosa che si sarebbe realizzata da lì a pochi giorni, il primo maggio 2025.
GLI ASCOLTI
Fino al giorno della misurazione (lunedì 26 maggio 2025 ore 23.48) gli ascolti delle otto interviste sono così ripartiti:
Antonio Morello ha ottenuto 8290 visualizzazioni dal maggio 2014;
Fortunato Guido 4235 visualizzazioni dal giugno 2014;
Caterina Valente 2807 visualizzazioni dal giugno 2014;
Agazio Squillacioti 4588 visualizzazioni dal settembre 2014;
Pietro Vetràno 4905 visualizzazioni dal gennaio 2015;
Vincenzo Cicino 3758 visualizzazioni dal febbraio 2015;
Salvatore Perronàce 4207 visualizzazioni dal gennaio 2016;
Bertoldo Mennìti 400 visualizzazioni dall’aprile 2025, in quasi un mese;
LE GENERAZIONI CHE HANNO RICOSTRUITO L’ITALIA (e l’Europa)
Voglio qui ribadire ed evidenziare che questi otto personaggi, ognuno con il proprio contributo personale e familiare, fanno parte di quella generazione che, in un modo o nell’altro, ha ricostruito (bene o male) l’Italia del dopoguerra, quando era quasi tutto distrutto nella maggior parte del territorio, ma anche moralmente e politicamente. E parecchi di costoro hanno contribuito pure a ricostruire l’Europa, emigrando e lavorando in Germania, Francia, Belgio, Olanda, Inghilterra, Svizzera e così via. Spesso lasciando la vita nei luoghi di lavoro. Come hanno raccontato tutti gli intervistati, con i loro sacrifici hanno contribuito al benessere generale, favorito sicuramente dal lungo periodo di pace, dopo il 1945. Una pace che adesso è in forte pericolo in tutto il mondo, per antichi odi che riemergono e per l’insensatezza dittatoriale di qualcuno. Non capiscono questi guerrafondai che si può ottenere molto di più con la diplomazia che con le armi. Con quanto si spende in armamenti e in guerre, il mondo potrebbe essere lastricato d’oro zecchino e tutti potremmo vivere serenamente e più in salute!… In un vero e proprio Eden!…
Tuttavia, mi sembra di aver letto (tra le pieghe dei racconti di questi nostri 8 personaggi) un qual certo rammarico nel constatare la percezione di una società che sembra essere loro sfuggita di mano, specialmente nell’etica dell’esistere.
Cioè, tutti sono stati abituati (dalla necessità e dall’educazione delle famiglie di provenienza) ad un’etica di frugalità, onestà e sacrificio … mentre le nuove generazioni hanno ceduto fin troppo alle lusinghe del consumismo e della leggerezza esistenziale.
Non a caso uno degli intervistati afferma che il denaro facile ha favorito la criminalità e il disimpegno. Forse bisognerebbe ascoltare, riascoltare e riflettere molto su queste tue meritevoli interviste fatte a questi 8 anziani di Guardavalle. E sarebbe opportuno che tutte le altre comunità possano ascoltare e video-registrare i loro anziani (prima che la morte li strappi alla saggezza di cui possiamo ancora giovarci).
RAI TV7 QUESTA SERA I DIALETTI CALABRESI – IL NOSTRO CONTRIBUTO
Caro Tito, alle ore 20.42 di ieri sera (giovedì 05 giugno 2025) ho ricevuto il seguente messaggio whatsapp da parte della super-giornalista RAI Elisabetta Mirarchi (originaria di Davoli): << Ciao. Grazie a te, e al tuo articolo sul dizionario di Armogida, ho omaggiato il dialetto calabrese … domani sera a Tv7 dopo le 23.30. Buona serata! Grazie ancora!!! Elisabetta”. Poi alle ore 21.24 ha commentato: << Quante intelligenze ho incontrato in questo viaggio … che peccato non vederle celebrate per il loro valore! Domani sera … ripareremo … almeno un pochino! >>. Mi ha, quindi, allegato il breve comunicato-stampa della RAI a riguardo. Eccolo: << UNO CENTO MILLE DIALETTI – Armogida, Squillacioti, Celia, Capano, Minuto. Nell’Italia delle migliaia di dialetti, questi sono solo alcuni autori dei dizionari dedicati ai dialetti esclusivamente calabresi. Basti pensare che in tutta la regione ne sono stati censiti ben 272. E, fatto sorprendente, fu un giovane tedesco, Gehrard Rohlfs, a pubblicare il primo dizionario in dialetto locale. A Tv7 parlano gli autori di questi lavori certosini, non ultimo quello del professore Michele De Luca che sta per pubblicare un monumentale dizionario pan-calabrese: 12 volumi, 10 mila pagine, 65 mila termini dialettali >>.
Tale Trasmissione RAI di TV7 in seconda serata viene quasi a proposito di questa “Lettera n. 614”, pure perché i nostri 8 personaggi si esprimono in dialetto. Ovvero la propria “lingua-madre”!… Qualcuno alterna qualche frase in lingua italiana … ma, per la maggior parte delle interviste, possiamo ascoltare il nostro bel dialetto, a volte pure con qualche parola ormai in disuso perché appartenuta alla parlata stretta di qualche generazione fa. A parte ciò, volevo evidenziarti il fatto che, in qualche modo, con questa trasmissione TV nazionale viene premiato il nostro lavoro. Infatti, con queste nostre “Lettere a Tito” abbiamo più volte trattato i monumentali Vocabolari del dialetto andreolese del prof. Enrico Armogida di Sant’Andrea Apostolo dello Jonio, le pubblicazioni sul dialetto di Badolato prodotte dall’associazione culturale LA RADICE (animata dal prof. Vincenzo Squillacioti) e dal gruppo di lavoro “A PARRATA E NANNAMA” coordinato dal prof. Pasquale Andreacchio. Come non ricordare, poi, tra tanto altro, le poesie dialettali di Nicolina Carnuccio << ‘A PARRATA ‘E MAMA”… ??? … Gran parte di questo nostro lavoro ho partecipato alla valorosa e gentilissima Elisabetta Mirarchi, la quale, come possiamo costatare e come lei stessa conferma, ci gratifica. Voglio ancora ringraziare Elisabetta pure per avere trattato, qualche anno fa, con una più lunga trasmissione a “Speciale TG1” un’altra mia segnalazione, quella sullo spopolamento di Badolato come simbolo di migliaia di borghi e di ruralità in estinzione.
SALUTISSIMI
Caro Tito, devo dirti che mi hanno commosso tutti questi otto personaggio che hai intervistato. Appartengo ad una generazione nata attorno al 1950 e, quindi, ho visto il nostro mondo antico e quello attuale … le profonde trasformazioni sociali. Quindi, posso ben capire il grande valore di questi genuini racconti individuali, di queste preziose testimonianze storiche. Tutti questi otto intervistati mi hanno fatto vibrare ricordi e sensazioni assai toccanti; e mi hanno fatto tornare alla mente e al sentimento tutti i personaggi che a Badolato corrispondono a tale tipologia di compaesani, vissuti in modo diretto. Specialmente agli anziani che ho intervistato io. Tutti sono stati assai interessanti e ricchi di ulteriori spunti antropologici e sociologici, oltre che storici. Tutti hanno dimostrato di avere un’etica che ormai è diventata archeologica. In particolare, di queste tue 8 interviste, mi ha fortemente impressionato Agazio Squillacioti quando, con grande orgoglio, ha affermato che in tutta la sua vita non ha mai detto una parolaccia, né una bestemmia, né una parla fuori posto, né ha mai mancato di rispetto ad alcuno; anzi ha composto poesie per tutti i Sindaci di Guardavalle; e si sa che attorno ai Sindaci si scatenano, spesso quotidianamente, tante le polemiche, spesso ingiuriose, per quanto possibili ed immaginabili. Un ottimo esempio per noi, Agazio Squillacioti, e per le più giovani generazioni; sperando che ne facciano tesoro.
Queste otto interviste richiamano i racconti che, ai tempi della nostra infanzia, gli anziani d’inverno ci facevano attorno al braciere o davanti al calore del caminetto; e d’estate al fresco dell’uscio di casa o sotto qualche pianta in campagna, ma anche sotto l’ombrellone sulla spiaggia.
Spero che tutte le comunità omogenee possano avere un Tito Lanciano che si premuri di intervistare i propri anziani, almeno quelli più rappresentativi come hai fatto tu. Non sarebbe male realizzare un archivio video-sonoro (comunale, comprensoriale o addirittura regionale) di tutti questi racconti, da proiettare nelle scuole o nelle parrocchie o in altri centri di aggregazione comunitaria.
Potresti tu stesso proporre alle scuole di Guardavalle di vedere ed ascoltare questi anziani che raccontano dei tempi passati, pure per far conoscere alle nuove generazioni di come e quanto sia cambiato il proprio paese ed il mondo circostante … ma anche trarne qualche buon insegnamento. Intanto, ti ringrazio per le preziosità che ci hai offerto. Noi ci diamo appuntamento alla prossima “Lettera n. 615” e ringrazio pure i nostri gentili lettori per la loro fedeltà e cortesia. Cordialità a tutti! Domenico Lanciano (www.costajonicaweb.it)
ITER-City, venerdì 06 giugno 2025 ore 07.14– Da 57 anni (dal settembre 1967) il mio motto di Wita è “Fecondare in questo infinito il metro del mio deserto” (con Amore) –BASTA ARMI – BASTA GUERRE. Le foto sono state fornite in gran parte da Tito Lanciano, poche altre sono state prese da internet.
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