di DOMENICO LANCIANO
Caro Tito, tra i personaggi più simpatici ed emblematici incontrati (dal 24 aprile 1981) in questi 42 anni di frequenza e di residenza in Alto Molise, sicuramente la poetessa Mercede Lina Giaccio (nata nel 1956 in Agnone ma residente nel vicino borgo di Poggio Sannita) merita un posto di riguardo. Donna mite, semplice, altruista e sempre sorridente, l’ho conosciuta molto tempo fa essenzialmente perché scrive e pubblica belle poesie ma anche perché quasi quotidianamente è solita accompagnare, con la sua utilitaria, chi dal suo paese di residenza deve raggiungere l’ospedale agnonese (distante 12 km) oppure altre destinazioni in zona come, ad esempio, gli ospedali di Isernia (45) Pozzilli (60), Campobasso (54) e persino, fuori regione, Castel di Sangro (47). Un servizio a 360 gradi, 24 ore su 24.
E nell’ospedale agnonese (dove ho lavorato per 25 anni come amministrativo) la incontravo spesso ed ammiravo la sua generosa disponibilità nell’essere utile a chi aveva bisogno di aiuto. Potremmo definirla una “volontaria” per necessità oppure una “assistente di comunità” ovvero un “eroe del quotidiano” che condivide e cerca di risolvere i problemi della gente più umile e senza appoggi in un territorio montano che si spoglia sempre più di servizi pubblici e privati a favore dei più deboli, in particolare dei più fragili in salute ed economia. Qui, tra queste montagne appenniniche e queste valli solatìe, lo slogan di tutti i governi italiani “Nessuno verrà lasciato indietro” non trova eco. Qui siamo nell’osso del Sud in un Sud già spolpato oltre ogni immaginazione di tutto e di più. Qui, dove si cerca di cancellare persino ogni memoria umana. Così, Lina Giaccio cerca, pur con le sue esigue forze, di rimediare là dove c’è il vuoto delle istituzioni e della società. L’ultimo appiglio. Davvero un “eroe del quotidiano” che il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella farebbe bene a premiare per dare un segnale di riconoscenza e gratitudine a tutti coloro i quali, come e magari più di Lina, svolgono (volontariamente e con spirito di servizio) il medesimo ruolo di aiuto e supporto ai derelitti della globalizzazione. Con questa “Lettera n. 483” segnalerò Lina Giaccio al Sindaco di Poggio Sannita, al Prefetto di Isernia e allo stesso Capo dello Stato per un riconoscimento ufficiale. Proviamo a immaginare Poggio Sannita senza Mercede Lina Giaccio, così avremo modo di capire quanto vale per tale comunità.
LINA GIACCIO EROE DEL QUOTIDIANO
Infatti, con il sempre più drammatico spopolamento delle nostre campagne e dei nostri borghi ed il conseguente taglio di servizi istituzionali, Lina Giaccio si è trovata a dover supplire a tante di queste carenze e, quindi, a fare un po’ di tutto per aiutare specialmente gli anziani i cui figli sono stati strappati loro dall’emigrazione lavorativa o studentesca. Si è quindi ritrovata, per forza di cose, a fare l’assistente sociale, a fare la spesa e persino a fare da taxi. Ovviamente in tutti questi anni di “servizio” ha vissuto parecchie vicende curiose, alcune delle quali ha voluto fissare nella scrittura e nella memoria collettiva attraverso un opuscolo che contiene tredici di tali episodi-flash e che ha intitolato << RACCONTI DEL TASSISTA (quasi) ABUSIVO >>. Tale pubblicazione a stampa, autoprodotta nel giugno 2023, è testimonianza e simbolo delle sofferenze delle nostre popolazioni che quantunque si trovino a vivere in un’area cosiddetta “disagiata” non hanno sufficienti aiuti o agevolazione per poter sopravvivere dignitosamente. Cittadini di serie B (si direbbe), ma forse è meglio dire di una serie molto inferiore.
Lina Giaccio
Lina Giaccio (nella foto) così scrive nella quarta di copertina dell’opuscolo di appena 48 pagine: << Quando una forma spontanea di servizio sociale a beneficio della collettività di un’area disagiata rischia di trasformarsi in una “professione”. Tra aneddoti e curiosità>>. Tale frase è preceduta da un’altra assai significativa, posta al centro della terza di copertina: << Una volta qualcuno mi ha detto che gli amici veri sono quelli che, se li chiami alle 4 di notte, arrivano. Ecco, questa sono io! >>. In tali due brevi annotazioni c’è la carta di identità del libro e della sua Autrice. La grafica di copertina è stata curata dal nipote Michele Litterio. Non è indicata la tipografia che ha stampato né la data. L’opuscolo è dedicato a tutti i paesani. E allora andiamo a leggere i brevissimi tredici racconti, quasi un flash su episodi di vita realmente vissuta.
SALUTISSIMI
Caro Tito, evidenziando Mercede Lina Giaccio, intendo rendere omaggio a tutti gli altruisti di questo mondo, in particolare coloro che agiscono nei borghi spopolato. Senza gli altruisti e gli eroi del quotidiano (come li ho definiti nel 1995 in “Prima del Silenzio”) l’Umanità sarebbe ancora più degradata di quanto già non lo sia. Nel ringraziarti per la gentile pubblicazione di questa “Lettera n. 483” (cui tengo assai per dare merito, nel mio piccolo, a chi fa del bene, specialmente ai fragili e disabili), ti do appuntamento per un altro tipo di altruismo e di volontariato … quello che dal 1991 assicura l’Associazione culturale LA RADICE di Badolato, il mio paese natìo, nella Calabria jonica in provincia di Catanzaro. A presto, dunque, e buon fine-settimana! Domenico Lanciano (www.costajonicaweb.it)
ITER-City, giovedì 14 settembre 2023 ore 16.10 – Da 56 anni ormai (dal settembre 1967) il mio motto di Wita è “Fecondare in questo infinito il metro del mio deserto”. Le foto non si riferiscono all’opuscolo della signora Lina Giaccio, ma sono state in gran parte prese dal web e sono utilizzate per commentare (in qualche modo) il testo.
RACCONTI DEL TASSISTA (quasi) ABUSIVO
PREMESSA
35 anni fa iniziai a lavorare in Agnone con un’impresa di pulizia. Tutte le mattine partivo da Poggio Sannita verso le 6 e mezza del mattino e, spesso e volentieri, portavo i miei paesani anziani che invece di aspettare il pullman, preferivano un passaggio. Tutte persone che avevano necessità di andare in ospedale per le loro esigenze. Verso mezzogiorno, quando era previsto il mio ritorno a casa, mi aspettavano per farsi riportare al paese, evitando il pullman dell’una e mezza. Visto che i miei viaggi erano quotidiani, mi chiedevano di ritirare anche i loro referti medicini e, puntualmente, facevo loro questo favore… Naturalmente, vista la grande riconoscenza dei miei compaesani, ognuno di loro mi portava i prodotti della propria campagna.
Posso dire che, in 40 anni che vivo a Poggio Sannita, non ho mai avuto bisogno di comprare olio, frutta e verdure! Circa 10 anni fa, rimasta senza lavoro, ne inventai uno nuovo, anzi, io, in realtà, già lo stavo facendo: la tassinara assistenzialistica! A tutte le persone anziane che volevano, ho dato la disponibilità di assisterle in tutte le pratiche che riguardavano i loro problemi di salute, pensioni e bollette: sarei andata dal loro medico, alle poste, in farmacia, negli uffici, patronati e li avrei accompagnati nei vari ambulatori medici. Addirittura anche disponibile per lavori domestici vari. E così è iniziato questa mia nuova attività, questa mia nuova vita.
Poi è arrivato il COVID! Sono nate altre esigenze: chiusi dentro per le nuove normative antivirus, poveri anziani, non capivano bene cosa stesse accadendo, abituati a uscire anche solo fuori il portone di casa per chiacchierare un po’. Allora, con una mia amica abbiamo preparato le mascherine di stoffa e poi mi sono adoperata a per qualsiasi loro esigenza, come le prenotazioni per i vaccini, naturalmente accompagnarli uno alla volta per le nuove normative antivirus, procurargli il greenpass, ma soprattutto, con la mia presenza, ho dato loro la speranza che presto sarebbe finito il periodo di così estrema solitudine. Quindi, anche oggigiorno, non è più il servizio “TAXI ABUSIVO”, come scherzosamente dicono, ma assistenza 24 h al giorno!!! Purtroppo in paese, come in tutto il Molise, c’è stato un grande calo demografico, sia perché molti giovani sono andati via per migliori opportunità di lavoro, sia perché la popolazione molto anziana è passata a miglior vita. Con questo mio libro, racconto qualcuno dei tanti episodi belli e brutti che mi sono capitati in questi anni.
BUFERA DI NEVE
Era il mese di gennaio di 30 anni fa e, dopo aver diseppellito l’auto dal cumulo di neve, stavo andando, come al solito, a lavorare a Agnone. C’era tanta neve, ma davvero tanta! Si, erano i tempi in cui l’inverno era veramente inverno! Da più di 20 giorni nevicava e la mia macchina di allora (una 127) era come uno spartineve. Era mattino presto e la strada era libera solo in una corsia Se avessi incontrato un’altra auto, ci sarebbero state difficoltà. Lungo un rettilineo, appena fatta la salita fino al bivio di Belmonte andò tutto bene. Lungo l’altro pezzo di rettilineo c’era una macchina ferma impantanata. Due persone, un signore di una certa età e una ragazza, probabilmente la figlia, erano fuori, nell’intemperie del tempo. Mi sono subito fermata per chiedere cosa fosse successo (anche se era evidente) e se potevo essere utile.
La ragazza doveva raggiungere l’ospedale per lavoro e il padre aveva cercato di accompagnarla. Li ho fatti salire e siamo ripartiti. Erano di Belmonte, mi disse l’uomo, e mi raccomandò di essere prudente. Mi sono accorta che balbettava e che poca era la fiducia nei miei confronti, probabilmente perché ero una donna e, nonostante lo rassicurarsi che avevo molta esperienza nella guida proprio per i miei viaggi quotidiani con qualunque condizione meteorologica, lo sentivo agitato. Prima di arrivare al bivio di Villa Canale, incontrammo uno spartineve proprio in mezzo alla strada. Nonostante andassi pianissimo, rallentai e l’auto iniziò leggermente a sbandare.
– “Signò, n-n-n-n … ” – iniziò a dirmi il signore di Belmonte. Quando finì la frase – ” nn frenà! ” – la mia auto si era già rigirata su sé stessa, in direzione opposta alla nostra destinazione. Impaurito, scese subito dall’auto ed io, anche se avevo avuto un po’ di paura, mi dovetti trattenere dal ridere … Alla fine, ho rigirato l’auto ed ho dovuto insistere parecchio per farli risalire. Visto che il tempo era peggiorato e c’era una bufera di neve, sono stati costretti per sopravvivenza. Siamo riusciti poi ad arrivare a Agnone sani e salvi.
SOTTO IL CAPPOTTO NIENTE
Alfredo e sua moglie erano davvero persone perbene! Emigrati in Germania in giovane età, avevano formato una bella famiglia con tre figlie. Ma col passare degli anni, hanno desiderato tornare nel paese natìo per trascorrere la propria vecchiaia in tranquillità e semplicità; le loro figlie, invece, hanno preferito vivere fuori dal Molise per avere opportunità lavorative certamente diverse e migliori. Quindi, conosciuta la mia disponibilità, sono presto diventata il loro punto di riferimento per qualsiasi loro esigenza. Infatti, la moglie, ammalata di diabete, aveva necessità di molte visite specialistiche ed io l’accompagnavo sempre dove e quando mi veniva richiesto. Ma, a volte, quando si crede di aver raggiunto l’età del giusto riposo, la vita è beffarda e il povero Alfredo rimase presto solo, senza la compagnia preziosa di sua moglie. Così fu costretto ad assumere una badante che andava da lui spesso per accudirlo in casa, mentre io gli facevo la spesa e le necessarie visite mediche. A volte mi ha chiamato anche solo per avviare la lavatrice! E’ stato uno dei miei ” vecchietti – clienti ” migliori, perché si faceva sempre scrupoli nel chiamarmi in quanto mi diceva: “Non voglio dare troppo fastidio “… Ma quale fastidio, poi??? … è stato sempre generoso e gentile e, spesso, mi invitava a prendere un caffè al bar vicino casa. Nel periodo natalizio, mandava mio marito a comprare due provoloni Auricchio (gli piacevano tantissimo !!!), uno per lui e l’altro per me ed ogni anno era così, augurandomi serenità ed abbondanza.
Ma un pomeriggio di febbraio avvertì un forte malessere e, sempre per ” non disturbarmi troppo”, non mi chiamò! Non capì subito la gravità del suo malessere, fino a quando, verso le due di notte, mi chiese aiuto: non riusciva ad urinare da parecchie ore! Non c’era tempo da perdere! Avvisata telefonicamente la guardia medica dell’ospedale che avrei portato Alfredo al pronto soccorso, indossai solo il cappotto sopra la sottoveste, un paio di calze e, in pantofole, corsi a prelevare Alfredo da casa sua. Passarono almeno un paio d’ore e finalmente, nella sala d’attesa, arrivarono il dottore e l’infermiera a rassicurarmi che Alfredo era fuori pericolo. Fu in quel momento che l’infermiera si accorse che ancora indossavo il cappotto e mi invitò a toglierlo per il gran caldo che c’era in ospedale. “Non posso. ” le risposi io. “Perché?” mi chiese incuriosita lei ed io in tutta risposta aprii il cappotto e dissi: “SOTTO IL CAPPOTTO NIENTE! Sarà stato per la tensione allentata, sarà stato effettivamente il caldo, sarà stato l’imbarazzo del momento, scoppiai a ridere contagiando tutti … e nessuno riusciva a smettere!
I “DUE MATTI” DI VILLACANALE
Erano le 6,30 di una bellissima giornata del mese di luglio e, come tutte le mattine, sono partita da Poggio Sannita per andare a lavorare. Lungo la strada, dopo la “Fascianella”, l’incrocio Agnone-Bagnoli incontrai due persone che chiedevano l’autostop. Due uomini sulla quarantina, ben vestiti, anzi, elegantissimi… Ho pensato subito che avessero avuto un guasto alla loro auto e, quindi, mi sono fermata, ma senza abbassare il finestrino, ho chiesto cosa fosse accaduto e come potessi aiutarli. Mi risposero che dovevano raggiungere in fretta Villacanale. Ma era sicuramente un percorso che mi avrebbe fatto arrivare in ritardo a lavoro ed inoltre, non avrei mai fatto entrare sconosciuti nella mia auto. Il più grande di età di loro due, molto gentile, ma quasi mi pregava di dare loro un passaggio e che non dovevo assolutamente avere timore di loro due, in quanto persone perbene. Mi sono fatta convincere e li ho fatti salire e, in auto, approvavano la mia diffidenza verso tutti, perché in giro, c’erano tanti delinquenti.
Arrivati al paese ho chiesto loro dove precisamente dovessi farli scendere. Sempre il più grande rispose: Ci lasci qui, alla Casa famiglia, dove siamo ospiti! Sconvolta e incredula, appena scesero dalla mia auto, scappai in tutta fretta. Mi informarono che erano due ospiti che si allontanavano spesso dalla struttura e che avevano questa abitudine non sembravano pericolosi, comunque erano mentalmente instabili. Li incontrai di nuovo nei mesi seguenti, sempre allo stesso incrocio, ma non mi fermai più!
DOPPIA TARIFFA
Un giorno mi trovavo in sala d’attesa a fare la fila con una signora che aveva avuto necessità di un parere dello specialista, nell’ambulatorio dell’ospedale. Insieme a noi erano presenti tante persone di Agnone, di Trivento e due compaesani, moglie e marito, di Poggio Sannita. Di quest’ultima coppia, era stato l’uomo ad accompagnare la moglie, nonostante avesse problemi a una gamba e, quindi, avvertiva dolore per lo sforzo fatto nel guidare. Si aprì così il discorso in generale sui figli che non hanno mai tempo per aiutare i propri genitori. Certo viviamo in un’epoca un po’ triste, in questo senso … È da tempo che i giovani italiani non si sentono ben voluti dal proprio Paese e dai propri territori di origine, sempre più spinti a cercar fortuna altrove.
La via per l’estero o dell’alta Italia si presenta loro quale unica scelta da adottare per la risoluzione di tutti i problemi esistenziali (autonomia, serenità, lavoro, ecc.). Quindi sono costretti ad allontanarsi dalla famiglia d’origine e, quando i propri genitori invecchiano, non li possono accompagnare in questo ultimo percorso e devono chiedere un supporto esterno. Ma anche questa scelta a volte è difficile da accettare da parte dei genitori di essere diventati deboli… e non vogliono essere aiutati da gente estranea alla famiglia. Quindi ecco che nascono quei sentimenti negativi che fanno dire, come in questo caso specifico, che i figli sono ingrati. Parlando così vivacemente, l’infermiera è stata più volte costretta a uscire dallo studio medico, invitando tutti ad abbassare il tono di voce, ma inutilmente, in quanto, appena ritornava dentro l’ambulatorio, ricominciava la lamentela contro i propri figli.
Allora, per sedare gli animi dissi io: “Calmatevi, altrimenti l’infermiera dovrà di nuovo rimproverarvi! Quando avrete di nuovo bisogno che qualcuno vi accompagni, ci sono io, chiamate me! “Alcuni, sapevano già che spesso accompagnavo gente in questo tipo di difficoltà e, uno di loro, sorridendo disse che avevo trovato la soluzione. I due compaesani invece, irritati, reagirono dicendomi che loro non avevano bisogno di nessuno. Tutti si indignarono per l’atteggiamento altezzoso e sprezzante nei miei confronti, anche quando aggiunsi che la mia era stata solo una battuta per farli smettere di parlare ad alta voce. Allora un ragazzo di Trivento chiuse la conversazione dicendomi: Signò, se un giorno ti dovessero chiamare, fagli pagare doppia tariffa! Passarono due anni. Verso le 10 di sera, mi chiamò proprio la signora in questione e mi chiese se il mattino dopo avrei potuto accompagnarli a una visita. Il marito si era operato a un piede e non poteva guidare. Vi immaginate la soddisfazione??? Mi fecero trovare anche il caffè con il cornetto caldo, e quando mi pagarono, senza che avessi chiesto davvero la doppia tariffa, aggiunsero loro un’extra.
INFARTO ALLA “BENZINA”
Un giorno venne a chiamarmi il sig. G., come era solito fare spesso, per portarlo in contrada Scalzavacca (una contrada di Poggio Sannita). Circa un’oretta prima dell’arrivo del pullman che l’avrebbe potuto portare in campagna, preferiva chiamare me; mi pagava la benzina, oppure mi dava le uova che trovava nel pollaio, fresche di giornata. In auto si chiacchierava un po’ di tutto, anche della sua malattia, l’insufficienza renale. Infatti, era in dialisi due volte a settimana nell’ospedale di Agnone. Nei giorni che non dializzava, andava in campagna. Quel giorno fatidico, io, affacciata alla finestra, gli risposi: Oggi non mi sento. Tanto fra poco arriva la corriera! Così mi salutò e si avviò all’entrata del paese dove c’era la fermata del pullman che, noi di Poggio, la chiamiamo ” la benzina” perché, anni prima, c’era un distributore. Prima di arrivare sul posto, provò a chiedere un passaggio anche a un altro compaesano proprietario di un bar, ma anche quest’ultimo gli rispose: Ormai mancano solo dieci minuti. Aspetta il pullman! Arrivò sotto la pensilina e, a pochi minuti dall’arrivo del mezzo, ebbe un infarto e morì. Quando l’ho saputo, sono rimasta molto dispiaciuta e stupita: in effetti non avevo mai detto di no, era stata la prima e unica volta… Però, riflettendoci, sarebbe morto nella mia auto!?!
PRONTO SOCCORSO (… senza luci …)
Vi è mai capitato di rimanere senza luci dell’auto, mentre state viaggiando? A me sì! Erano le 11, 30 di una notte in pieno inverno e la badante straniera di una signora di 90 anni venne a chiamarmi per un’urgenza: bisognava chiamare il 118 in quanto la signora in questione aveva un malore importante e necessitava di un controllo medico. Arrivata l’ambulanza, insieme alla badante, ci accodammo dietro nel percorso Poggio Sannita – Agnone, con la speranza che l’anziana signora non venisse invece ricoverata a Isernia. Purtroppo, negli ultimi anni, una cattiva gestione politica del nostro sistema sanitario ha fatto in modo che l’ospedale di Agnone, da punto di riferimento di tutto l’alto Molise e delle regioni confinanti, è stato ridotto ai minimi termini, con pochi servizi essenziali, a danno di tutti e, soprattutto, della popolazione anziana (che rappresenta nel Molise la maggioranza, infatti risulta……..), che viene sballottata di qua e di là per la Regione per visite e controlli specialistici e, molte volte, anche fuori regione. Inutili le tante proteste e manifestazioni organizzate e anche morti colpose per i lunghi trasporti fatti da un ospedale e l’altro, soprattutto nei periodi invernali, col disagio per la neve… una tristezza e rabbia infinita.
All’uscita del paese mi sono accorta che non funzionavano le luci, e ho acceso gli abbaglianti, ma dopo il bivio di Belmonte del Sannio, si sono fulminati anche quelli. Poiché non si poteva fare altrimenti, ho proseguito stando a distanza ravvicinata all’ambulanza. Ma, all’improvviso, per un peggioramento delle condizioni della paziente, ha dovuto accelerare, cosicché mi sono dovuta fermare sul ciglio stradale. Ho aspettato che passasse qualche auto da seguire. ma passavano solo in senso inverso, e allora ne approfittavo per proseguire per pochi metri. Alla fine, ci è voluta un’ora e mezza per arrivare a destinazione. E’ stata proprio una brutta e rischiosa avventura!!!
A ISERNIA SENZA DOCUMENTI
Questa è la storia di Pasquale e Maria (nomi di fantasia). Non avevano figli. La loro vita si svolgeva in campagna, infatti, tutte le mattine con il proprio motozappa e tornavano di sera, per ora di cena. Tutti i giorni sempre uguali, non andavano mai da nessuna parte. L’alternativa erano le visite mediche o in ospedale. Molto raramente (per loro fortuna). La domenica mattina, lei cucinava e lui sempre seduto sulla panchina a chiacchierare con i passanti. Partecipavano a qualche messa, ma soltanto in occasioni funebri. Il lunedì si ricominciava, sempre tutto uguale e sempre gli stessi orari. I prodotti della terra e l’olio venivano venduti ai privati, in quanto genuini e buoni. Ma un giorno, lavorando con il trattore, ci fu un infortunio. Una gamba rotta e alcune costole fratturate, quindi fu ricoverato.
Quando ritornò a casa fu chiamato da l’I.N.A.I.L. per la visita di accertamento. Chiamarono me per accompagnarlo a Isernia e di mattina partimmo. Arrivati negli uffici, l’impiegato chiese i documenti di riconoscimento. Pasquale rispose: Ma io non ho niente! – e la moglie altrettanto. Io consigliai di guardare nella borsa per controllare se c’era anche la tessera sanitaria o qualsiasi documento … Aperta la borsa, invece c’era: un panino con la mortadella, uno con il salame, una bottiglia d’acqua e una piccola di birra ( … per me non c’era niente…).
L’ impiegato esclamò: Ma questa non è mica una scampagnata! Loro, quasi in coro: I documenti stanno a casa, perché se si perdono poi come facciamo? Io e l’impiegato abbiamo fatto fatica a rimanere seri, cercavamo una soluzione, ma non si trovava. Anche se ho proposto di ritornare con i documenti, erano preoccupati di perdere un altro giorno per i loro lavori in campagna. Nel frattempo è arrivato un agente delle forze dell’ordine che conoscevo bene. Ha risolto lui il problema, garantendo lui che i documenti sarebbero stati consegnati successivamente e , intanto la richiesta dell’infortunio è stata inoltrata.
PASTA IN BIANCO
Era la fine di agosto e l’aria era molto afosa. Una signora mi chiese di accompagnarla in campagna a prendere le bottiglie di pomodoro che aveva preparato il giorno prima. Le aveva fatte bollire in un grande bidone per ed era necessario andarle a ritirare. Poiché ero a conoscenza che il suo compagno era un tipo manesco e “particolare”, mi volevo prima assicurare che non fosse presente nella casa in campagna distante 5 chilometri dal paese, ma lei “falsamente” mi rassicurò e così partimmo. Arrivate sul posto, però, c’era la necessità di lasciare l’auto a 200 mt dalla casetta in legno (una piccola baracca) e, quindi, bisognava raggiungerla a piedi. Dalla porta di ingresso, uscì il compagno completamente nudo ed io mi fermai all’istante per il disagio e l’inquietudine. Mi arrabbiai molto con la donna perché mi aveva mentito dicendomi che non sarebbe stato presente il suo uomo.
Invece lei proseguì ed iniziò ad offenderlo: ” ZUZZUS! ” e altre parolacce che è meglio non ripetere. Con la paura addosso di essere coinvolta nelle loro quotidiane violenze verbali e fisiche, cercai di
calmarla e che dissi che sarebbe stato meglio andare via. Ma lei non mi ascoltava nemmeno e iniziò a prelevare le bottiglie di salsa dai bidoni, caricarli nei secchi di plastica che aveva portato e trasportarli in auto. Nel frattempo lui aveva indossato i pantaloni, rimanendo in silenzio, senza rispondere nulla alla compagna, ma in una mano aveva preso un’ascia!!! ………… 200 mt la distanza per raggiungere la macchina, ma il terrore me li fece sembrare 200 km e i secchi pesanti 200 kg … Mai più ci sono ritornata quando lei me lo richiedeva e la mia risposta era: FATTI LA PASTA IN BIANCO!!!
ARRIVO DELL’AMBULANZA (…e lui non vuole salire …)
Per un anno e mezzo, due volte a settimana, ho accompagnato una fisioterapista in una casa privata in campagna, nella località VALLE DEL PORCO, a circa 6 km da Poggio Sannita. La dottoressa preferiva non guidare. C’erano due persone anziane di circa 80 anni in quella casa, due brave persone con una figlia che lavorava a Roma e, quindi impossibilitata a accompagnare il padre ad Agnone tutte le mattine per fare fisioterapia! Inoltre, era anche difficoltoso scendere le scale di casa, sali e scendi dall’auto per “Zio ” Vittorio (lo si chiamava così affettuosamente da tutti). Così incaricarono una fisioterapista che veniva da Isernia per lavorare in una Casa di Riposo a Agnone e si aggiunse pure lui per due volte a settimana a domicilio. Andavo a prenderla e la portavo dai due vecchietti che conoscevo da tanto tempo; mentre aspettavo, mi intrattenevo o con la moglie di zio Vittorio, oppure con i vicini loro di casa. Era diventata un’abitudine fissa del martedì e il venerdì, per un anno e mezzo e, a volte, gli portavo anche la spesa che mi ordinavano e i medicinali che gli prescriveva il loro dottore.
Zio Vittorio era molto contento perché, a parte la cura che si era prolungata, aveva piacere di vederci per chiacchierare un po’. Si era creato così un bel rapporto di fiducia, di stima e di amicizia e, quando c’è stata la ricorrenza dei loro rispettivi compleanni, la dottoressa ha portato la torta, festeggiando con gioia questi eventi. Ma zio Vittorio e sua moglie ricambiavano spesso, specialmente nel periodo invernale, facendoci trovare “merende” al prosciutto, salsicce secche e formaggio! Ma vi chiederete ” la figlia dov’era?” … Tornava tutti i fine settimana. Cercava di essere presente appena gli era possibile, ma, come ormai accade da tempo nel nostro territorio, il lavoro si trova sempre fuori e ti allontana dalla famiglia e dai propri luoghi…
L’impegno della fisioterapista è durato tantissimo tempo, ma è subentrata anche la volontà di poter fare compagnia a queste due persone deliziose; sarebbe opportuno creare altre figure di professionisti che dovrebbero avere proprio l’obbiettivo di ” curare ” con la propria compagnia la “solitudine ” di tante persone, in campagna e nei paesi del nostro territorio. Certamente ci sono già associazioni efficienti di volontariato che svolgono, questo tipo di attività, ma solo nelle strutture e non casa per casa.
Zio Vittorio, a causa di altre patologie importanti, peggiorò il suo stato di salute e, un venerdì la figlia mi chiamò per essere aiutata, perché suo padre aveva necessità di essere ricoverato in ospedale, ma lui si rifiutava di andare. Nel frattempo l’ambulanza stata raggiungendola l’abitazione. Chiamai anche la fisioterapista e insieme andammo, come se fossimo di famiglia. Il dottore lo visitò e confermò la necessità del ricovero, ma zio Vittorio, al momento di salire in ambulanza, con la valigetta preparata dalla figlia per ciò che era utile in ospedale, si rifiutò categoricamente e disse che voleva essere accompagnato da me. L’ambulanza ripartì senza paziente.
Alla figlia disse: ” Voglio andare con Lina, perché lei conosce tutti in ospedale. Sa quello che deve dire e fare, cosi io sto più tranquillo. “Io mi sono commossa davvero… Quando siamo arrivati all’ingresso lo vennero a prendere gli infermieri e mi fece promettere che dovevo andarlo a riprendere nel giorno in cui sarebbe uscito. Dopo una settimana però, zio Vittorio partì da solo …
DI RITORNO DALLA CASERMA
Una mattina, mentre stavo lavorando, mi chiama il maresciallo e mi chiede se avrei potuto accompagnare le due persone che erano state in caserma per una denuncia, appena sarei uscita da lavoro, verso le 11. Il pullman per Poggio Sannita partiva alle 2. Quando mi ha informato di chi erano, ho spalancato gli occhi!!! Erano due fratelli che conoscevo bene e sapevo cosa aveva l’abitudine di fare: litigavano sempre fra loro e , a turno, chiedevano l’intervento dei carabinieri. Era la loro storia di tutti i giorni! Quindi, prendendo in disparte il maresciallo, gli ho detto che già avevo tanti pensieri e non volevo assolutamente cacciarmi in un guaio! Avevo timore che litigassero anche nella mia auto! Ma perché avrei dovuto accompagnarli proprio io??? Ma il maresciallo ha insistito, mio malgrado. Terminato di lavorare, quindi, li ho chiamati. Erano in sala d’attesa e non si guardavano neanche in faccia. Li conoscevo da tempo e verso me erano stati sempre gentili e rispettosi, ma separatamente l’uno dall’altro! insieme come sarebbe andata? Saliti in macchina, cercavo di parlare del più e del meno, ma quando uno mi chiedeva qualcosa, l’altro, per non farmi chiacchierare col fratello, interrompeva e spezzava il dialogo parlando di un altro argomento. Ma anche l’altro fratello faceva allo stesso modo! UNA CONFUSIONE TOTALE!
Allora ho smesso di parlare e ho accelerato con la speranza di arrivare prima e così finiva la storia! Appena arrivata a casa, senza fortunatamente complicazioni, il maresciallo mi telefona per sapere com’è andata e mi confida che in realtà aveva agito così con la speranza che si sarebbero riappacificati grazie alla mia presenza. Mah, non sapevo cosa rispondere. Dopo un po’ di giorni, però, vennero, in tempi diversi, a casa mia ed ebbero la volontà di ringraziarmi per il passaggio con i prodotti dei loro rispettivi orti. Un’abbondanza di zucchine (era il loro tempo) incredibile che preparai tantissimi vasetti sott’olio. Probabilmente fecero anche in questo caso la competizione fra loro a chi me ne portava di più.
LAVORI INCOMPATIBILI
Un giorno ho accompagnato delle persone da Poggio a Agnone per una visita all’obitorio dell’ospedale. Stavo aspettando in macchina che facessero la visita al defunto. Arriva il carro funebre e si è accostato alla mia auto. L’autista mi ha fatto un cenno per farmi capire chi mi sarei dovuta spostare per fargli posto, ma visto che non c’era fretta ed altri parcheggi non ce n’erano, abbassando il finestrino gli ho detto che sarei andava via presto e che una delle persone che avevo accompagnato era un disabile. Allora l’autista del carro funebre è sceso dalla sua auto con molta calma e mi dice: certo che io e te facciamo due lavori proprio INCOMPATIBILI!!!
“DIO LI FA’, E IL DIAVOLO LI ACCOPPIA! “
Una mattina andando a lavoro, nei pressi della Fascianella, ho trovato una macchina ferma in mezzo alla strada con le portiere aperte da entrambi i lati. Mi fermo perché ho riconosciuto l’auto che, infatti, apparteneva ad un ragazzo di Poggio Sannita. Sul sedile posteriore c’era la moglie del ragazzo e lui la stava picchiando. Lei cercava di difendersi, ma lui era alto e muscoloso. Nonostante questo, ho cercato disperatamente di tirarlo fuori dall’auto, ma era fisicamente impossibile. Nel frattempo, per fortuna, altre auto si erano fermate e hanno allertato i carabinieri. Ho pensato che non avrebbero fatto in tempo a salvare quella donna, allora insistevo nel cercare di spostarlo da lei, ma si è fermato nel darle pugni dappertutto solo quando ha sentito la sirena dei carabinieri. In quel momento si è girato verso di me e mi ha colpito sul volto. Un dolore pazzesco! Ancora oggi avverto fastidi al naso! Se avesse colpito con più forza chissà cosa sarebbe potuto accadere anche a me…
I carabinieri lo hanno poi portato in caserma e sua moglie è stata trasportata al pronto soccorso. Passato del tempo, è venuto a chiedermi perdono, anche perché non ho voluto denunciarlo per non aggravare di più la sua situazione. Una coppia certamente problematica che un giorno vanno a passeggio per mano, il giorno dopo si ammazzano. E’ proprio vero il detto: Dio li fà e il diavolo li accoppia!!! Oggi lui vive in una comunità, lei vagabonda per il paese. Una storia che rattrista molto.
LU TRU’ACCHE
Un giorno sono andati a rubare per le case di Poggio e andarono anche a casa di un uomo che ora non c’ è più. Gli svuotarono la cantina di ferri vecchi, accette, botti per il vino ed altro ancora. Rubarono anche la vecchia mangiatoia per animali, in pietra lavorata, molto preziosa e di valore soprattutto sentimentale in quanto questo signore la conservava con molta cura nel suo orto. Chiamati i carabinieri lo invitarono a regolarizzare la denuncia in caserma. Naturalmente chiamò me, ma quasi quasi non sarebbe voluto andare per le sue incertezze nel ritrovamento della refurtiva. Ma alla mangiatoia ci teneva troppo e così si decise ad essere accompagnato. Era un uomo semplice e di gran cuore, ma parlava soltanto il dialetto caccavonese e aveva frequentato solo la prima elementare. Quindi avrebbe voluto la mia presenza al colloquio col maresciallo.
Il giorno stabilito, quando siamo entrati in caserma, abbiamo trovato un maresciallo arrivato da poco e che mi ha invitata ad aspettare in sala da attesa. Inutile è stato spiegargli da me ed il piantone di turno che sarebbe stata necessaria la mia presenza per “tradurre” il racconto del mio compaesano. -” Sono anche io molisano! Certamente lo capirò. – ribadì il maresciallo con tono orgoglioso. Allora rimasi a chiacchierare con l’appuntato, ma a poca distanza dall’ufficio, quindi era inevitabile sentire tutto ciò che veniva detto. La prima difficoltà presto arrivò già nel dover chiarire se nel suo cognome erano presenti due B o una. – E sacc ije! – rispose al maresciallo con tanta ingenuità. Poi iniziarono a fare l’elenco degli oggetti rubati. – Marescià, m so rubbat lu trùacche! – Immediatamente sentimmo un urlo del maresciallo: Signora Lina!!! … E fu così che, oltre a tassinara, diventai una traduttrice … In seguito, dopo poco tempo, il materiale è stato ritrovato e riconsegnato con grande felicità del derubato. Ed è stato fatto vedere al maresciallo com’era “lu trùacche”!
L'annotazione
Vedere la vita con gli occhi dei semplici è un merito. Che non può passare inosservato, in questo mondo di sofisticatissimi atteggiamenti e ridondanti pose. Descrivere la vita con la poesia semplice è altrettanto meritevole di attenzione. Essere semplici non significa essere superficiali: significa attuare la propria comunicazione in maniera pulita e comprensibile. Il grande pregio della poetessa Mercede Lina Giaccio sta proprio nella semplicità del suo verso, nella parola spogliata da sovrastrutture linguistiche che molto spesso rendono incomprensibile la comunicazione poetica.
Siamo grati a Mercede Lina Giaccio della sua presenza in questa antologia, perché andrà a far parte di quella “corrente letteraria” che noi stimiamo e che manifesta fino in fondo il coraggio della propria semplicità. (da Antologia “I poeti del ventesimo secolo” – pagina 294 – Editrice Seledizioni, Bologna 1989).
La biografia
Nata in Agnone (IS) il 22 gennaio 1956, è sposata e madre di due figli avuti dall’unione con il concittadino Antonio Moavro. Diplomata segretaria d’azienda, disoccupata, scrive poesie dal 1975 ed ha partecipato a diversi concorsi, ottenendo riconoscimenti e primi premi. Fra tutti si cita quello promosso dall’Accademia d’Europa di Napoli. Negli ultimi anni ha attenuato il suo impegno creativo, pur continuando a scrivere qualcosa, memore degli oltre cento diplomi, targhe e medaglie che arricchiscono il suo curriculum artistico; non può infatti rimanere assente dal panorama letterario nazionale. Scritti di Mercede Lina Giaccio sono presenti presso l’Editrice Seledizioni di Bologna: 1) nella Antologia di Arte e Cultura Europea “Difendiamo l’Europa” (1988) a pagina 393 e seguenti; 2) nell’Antologia “Poeti per la scuola” (1989) volume 4 pagina 10 e seguenti.
Il saluto
Una volta qualcuno mi ha detto che gli amici veri sono quelli che, se li chiami alle 4 di notte, arrivano. Ecco, quella sono io! – FINE –
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