di IACOPO PARISI
«La vera criminalità oggi non ha la coppola né la lupara: sta dentro le istituzioni, usa carte bollate e proiettili istituzionali».
Con queste parole Luigi de Magistris scuote la platea accorsa per la presentazione del suo nuovo libro Poteri occulti. Dalla P2 alla criminalità istituzionale: il golpe perenne contro Costituzione e democrazia. Non una provocazione, ma una diagnosi precisa e documentata: il potere criminale non ha più bisogno di minacciare lo Stato, perché si è ormai saldato ad esso.
L’occasione è stata l’XI edizione della rassegna “Libri e Bollicine”, curata da Salvatore Sangiuliano e dall’agenzia Annozero Eventi, ospitata al Parco Commerciale Le Fontane. A dialogare con l’autore, la giornalista Elisa Chiriano, in un confronto serrato e lucido, capace di scuotere coscienze e riaprire interrogativi fondamentali sul presente della nostra democrazia.
Al centro dell’opera, e della riflessione dell’ex magistrato, c’è una denuncia chiara: in Italia esiste da tempo un potere parallelo e occulto, che agisce dall’interno delle istituzioni. Un sistema che ha abbandonato la via della forza militare per abbracciare quella più subdola e più efficace della legalità deviata.
«Oggi – afferma De Magistris – non c'è bisogno delle armi. Bastano le carte bollate, le raccomandazioni e i proiettili istituzionali». La mafia non combatte più lo Stato: lo penetra, fino ad assumere le sue stesse sembianze.
Uno dei passaggi più forti è il parallelo con il “Piano di Rinascita Democratica” di Licio Gelli. «Un tempo era considerato eversivo. Oggi sembra il programma di governo». Separazione delle carriere, repubblica presidenziale, controllo dei media, riduzione dei parlamentari: secondo De Magistris, non solo sono temi attuali, ma stanno diventando realtà politiche.
«Quel piano, che avrebbe dovuto farci paura, è oggi normalizzato. Si discute in Senato e alla Camera come se fosse ordinaria amministrazione».
Nel cuore della riflessione, l’ex magistrato rievoca il caso Aldo Moro come snodo cruciale della storia italiana contemporanea.
Moro, promotore del compromesso storico tra Democrazia Cristiana e PCI, rappresentava un rischio per l’equilibrio geopolitico dell’epoca. De Magistris racconta un episodio documentato: poco prima del suo rapimento, il presidente DC fu ricevuto dal Segretario di Stato americano Henry Kissinger. Quando illustrò il progetto di apertura verso l’URSS e il dialogo euro-mediterraneo, si sentì rispondere: «Se continua così, la pagherà cara».
E così avvenne. Durante i 55 giorni del sequestro, pezzi dello Stato sapevano dove si trovava Moro, ma scelsero di non intervenire. Secondo De Magistris – e secondo molti atti parlamentari e inchieste giornalistiche – il sequestro fu gestito da una “cabina di regia” i cui membri erano appartenenti alla loggia P2. Lo confermò anche il giornalista Mino Pecorelli, ucciso un anno dopo.
«La morte di Moro – afferma – non fu una tragedia inevitabile. Fu una scelta politica, presa fuori dal Parlamento, con il consenso di apparati deviati dello Stato e poteri internazionali».
E non fu un caso isolato. «Da Mattei a Piazza Fontana, da Ustica al Rapido 904, fino al ’92–’93: il messaggio è sempre stato lo stesso. In Italia non è concesso decidere liberamente un cambiamento politico».
La testimonianza personale di De Magistris si inserisce come prova vivente di quel meccanismo che colpisce chi tocca fili scoperti. Da magistrato a Catanzaro ha aperto inchieste scomode su colletti bianchi, politici, criminalità economica. Tra queste, quella sulla depurazione, l'inchiesta Poseidone: «Avevamo ricostruito milioni di euro sperperati. Ma siamo stati bloccati. E oggi, vent’anni dopo, nulla è cambiato: i depuratori non funzionano, i soldi continuano a sparire».
Il sistema reagì: lui e la sua squadra furono trasferiti, ostacolati, isolati. «Non è stata la ‘ndrangheta a farci fuori. Sono stati pezzi dello Stato. Avevamo la fila di persone pronte a denunciare: le abbiamo tradite».
A rendere il tutto ancora più grave, le parole scritte da Luca Palamara – ex presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati – nel libro Il Sistema: «De Magistris non era uno di quei magistrati che faceva la fila per chiedere raccomandazioni. Era uno di quelli che indagava su tutti e tutto. Perciò l’abbiamo fatto fuori». Un’ammissione che la dice lunga.
Centrale, nel pensiero dell’autore, resta la Costituzione italiana, che De Magistris considera non solo un testo giuridico, ma un testamento morale e civile dei padri fondatori. «La Costituzione non è un libro da biblioteca. È il battito della democrazia. Chi la tradisce, tradisce il Paese».
La difende con passione, ricordando cosa c’è dietro quelle parole:
«Perché questi qua, i costituenti, si sono fatti ammazzare, torturare. Ci hanno consegnato la più bella Costituzione per poter essere liberi. Ma noi, per essere davvero liberi, dobbiamo fare i conti con la storia. Se non riconosciamo che la nostra democrazia è stata insanguinata da apparati interni allo Stato, e non solo dalla ‘ndrangheta o dall’ultimo mafioso di strada, allora continueremo a vivere in un Paese tradito».
Richiama con forza tre articoli della Costituzione, da riscoprire come strumenti di resistenza:
l’articolo 1, che afferma che “la sovranità appartiene al popolo”: un monito, dice, a non credere che il cittadino venga “dopo” le istituzioni;
l’articolo 3, secondo comma, che impone alla Repubblica – non solo allo Stato, ma anche al popolo – il compito di “rimuovere gli ostacoli” che impediscono la piena uguaglianza;
e l’articolo 11, sul ripudio della guerra, oggi secondo lui tradito da chi governa e finanzia conflitti anziché evitarli.
«Chi si batte per la giustizia purtroppo affronta una strada in salita», conclude, «ma chi non lotta ha già perso. E io, di questa Repubblica ferita, non voglio essere spettatore. Voglio ancora credere che possa guarire».
La rassegna "Libri & Bollicine" prosegue questo pomeriggio, sempre al Parco Commerciale "Le Fontane", con la presentazione del libro "Liberata" di Domenico Dara alle ore 18:00.
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