di EMILIO GRIMALDI
Se sei un calabrese in buona salute, leggilo. Se sei ammalato leggilo lo stesso. Se poi sei del Nord d’Italia: emiliano, lombardo, o più a Nord in Europa: olandese, lussemburghese, svizzero (sono i posti di cui racconta) non ti fare condizionare dalla lontananza, ciononostante leggilo. Ti appassionerà la denuncia e la protesta di uno spirito greco e di un cuore passionale. Il libro è Malacura di Ercole Cavaliere, edito da Officine editoriali da Cleto.
Cavaliere, professore in “quiescenza” da soli due anni (è lui a usare questo sostantivo, non tanto in “pensione”, termine che si addice di più al trattamento economico dell’Inps che al meritato riposo del lavoratore) si ammala. Ha un cancro. Fino ad allora non aveva mai pensato e mai lontanamente immaginato che potesse capitare a lui. Da qui, in poi, la sua vita cambia. Radicalmente. Il suo andirivieni tra gli ospedali di Cosenza e Paola riflette una politica sanitaria fallimentare: di medici e personale sanitario e di strutture che mal si conciliano con i dettami della Costituzione in materia di diritto alla salute e con la nuova riforma del Servizio sanitario nazionale emanata nel 1978, l’anno dell’uccisione di Aldo Moro e della legge Basaglia. Non gli rimane che aggregarsi a quel 60 per cento della popolazione calabrese che si cura nelle città del Nord d’Italia, ad intraprendere uno dei tanti “viaggi della speranza”. Si reca a Bologna. Qui la sanità e la sua salvaguardia vengono viste in modo diverso, Ercolino prende nota, apprezza,si domanda perché, le persone e le strutture sono diverse: qui la cura non è un obiettivo da raggiungere ma il modo ovvio e privilegiato di gestione delle malattie.
Il racconto del professore è schietto sui contesti sociali che affronta ed esistenziale sulla malattia che non ti avvisa e che ti preannuncia qualcosa, che ti prefigura una nuova situazione per te, la tua famiglia e i tuoi cari. Il viaggio di Ercole è una via Crucis che ha superato solo grazie al suo enorme bagaglio culturale. Il suo ritorno in Calabria, il suo sballottamento tra ospedali, medici, esami e una considerazione della sanità e della cura lontane anni luce dalla dimensione umana, della pietà, della generosità e spesso vicinissima a quella dimensione dello stipendio a fine mese del posto di lavoro assegnato dal politico di turno per rispetto e riconoscenza, certo non per merito.
Più che una denuncia scandalo, lo scritto di Cavaliere è un messaggio di speranza. Ai calabresi, ai politici, allo spirito calabrese che se vuole può: ma deve rimboccarsi le maniche, a quella passione per la scienza radicata fin dall’Antichità.
Lui non ce l’ha fatta, se n’è andato subito dopo la stampa del suo appello. Ma noi facciamo ancora in tempo: il libro lo ha scritto per noi.
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