"L’Ilva di Taranto nella giurisprudenza nazionale e sovranazionale". L'intervento dell'avvocato Stefania Valente

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images "L’Ilva di Taranto nella giurisprudenza nazionale e sovranazionale". L'intervento dell'avvocato Stefania Valente

  31 ottobre 2019 12:30

di STEFANIA VALENTE*

In un mio recente viaggio di lavoro a Strasburgo, ho avuto il piacere di conoscere ed intervistare il Prof. Ledi Bianku, uno dei giudici della Camera della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo che si è pronunciato sul caso ex Ilva di Taranto con sentenza del 24 gennaio 2019.

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La storia dell’IlVA (nome femminile toponimo, di probabile origine etrusca e significante “ferro”) affonda le sue radici nel processo di industrializzazione dell’Italia del secolo scorso, in cui l’acciaieria fu per anni protagonista all’interno del settore siderurgico italiano ed europeo. Successivamente, e per l’avvento della normativa comunitaria ispirata ad una logica di sviluppo sostenibile, e per la crescente sensibilità dell’opinione pubblica in materia ambientale, il problema della nocività delle emissioni di diossina e benzo(a)pirene in atmosfera da parte degli stabilimenti di Genova e Taranto, condusse alla chiusura dello stabilimento di Genova nel 2005 e al sequestro di Taranto nel 2012. L’avvio della vicenda nacque dalla pronuncia della Corte di Giustizia dell’Unione Europea (Corte di Lussemburgo) del 30 marzo 2011, che condannò l’Italia per infrazione della legge comunitaria, dando inizio ad una serie di inchieste, processi penali ed amministrativi e reazioni a catena tanto da indurre il Governo, dalla fine del 2012, ad adottare corposi interventi normativi tra cui i cosiddetti Decreti Legislativi “Salva Ilva”. Nel tentativo di uscire da questo cortocircuito, con D.P.C.M. del 29 settembre 2017, il governo italiano abbozzò un Programma Ambientale di risanamento dello stabilimento di Taranto incentrato su tre punti prioritari: la valutazione del danno sanitario provocato a cittadini e lavoratori, la decarbonizzazione dell’area inquinata entro il 2023, l’adeguamento alle prescrizioni AIA dettate dalla direttiva IED. Inoltre, veniva concessa un’immunità amministrativa e penale alle persone responsabili di garantire il rispetto dei requisiti ambientali, in particolare all’amministratore giudiziario ed al futuro acquirente dell’azienda.

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In questo clima incandescente - a seguito di due ricorsi presentati contro l’Italia da 180 ricorrenti che vivono attualmente o hanno vissuto in passato nel comune di Taranto o nelle zone limitrofe - la CEDU ritenne, all’unanimità, violato da parte dell’Italia l’art. 8 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti e delle libertà fondamentali, posto che la “persistenza di una situazione di inquinamento ambientale ha messo in pericolo la salute dei ricorrenti e, più in generale, quella dell’intera popolazione residente nelle aree a rischio, rimaste prive di informazioni su come procedere nelle operazioni di bonifica del territorio in questione”. Essa, pertanto, rilevò che le autorità nazionali non erano riuscite ad adottare tutte le misure necessarie per garantire una protezione efficace del diritto dei ricorrenti alla loro vita privata. Non era, quindi, stato assicurato il giusto equilibrio tra l’interesse dei ricorrenti, a non essere assoggettati al grave inquinamento ambientale potenzialmente in grado di influire sul loro benessere e sulla loro vita privata, e gli interessi della società nel suo complesso. Di conseguenza, posto che “il lavoro di bonifica della fabbrica e delle aree colpite dall’inquinamento ambientale sono essenziali ed urgenti, il piano ambientale approvato dalle autorità nazionali, che ha stabilito le necessarie misure ed azioni per garantire la protezione dell’ambiente e della salute della popolazione, dovrà essere implementato il più rapidamente possibile”.

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In seguito alla pronuncia della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, la questione venne rimessa alla Corte Costituzionale dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Taranto che con l’ordinanza dell’8 febbraio 2019 sollevò la questione di legittimità costituzionale del D.L. n.1/2015 nella parte in cui proroga i termini per l’attuazione del Piano Ambientale alla scadenza dell’AIA (ad oggi fissata al 23 agosto 2023 in base al DPCM 29/09/2017) e prevede che “le condotte poste in essere in attuazione del piano non possono dar luogo a responsabilità penale o amministrativa del commissario straordinario, dell’acquirente e dei soggetti da questi funzionalmente delegati, in quanto costituiscono adempimento delle migliori regole preventive in materia ambientale, di tutela della salute e dell’incolumità pubblica e di sicurezza sul lavoro”. Tale immunità penale, determinerebbe una presunzione iuris et de iure di conformità e di legalità circa le azioni (ed omissioni) del Commissario p.t. e degli altri soggetti impegnati ad attuare il Piano e, ad avviso del GIP, ciò creerebbe un sottosistema penale connesso a questa particolare realtà industriale, confinato in zone di difficile perseguibilità, se non di sostanziale irrilevanza penale, dove la tutela dei beni primari deve subire vistose deroghe per garantire la continuità d’impresa e comunque per ragioni economiche.

E’, tuttavia, di qualche giorno fa la notizia del voto in Senato di un emendamento al decreto Salva-imprese che ha cancellato lo scudo penale a favore dell’ex ILVA. Ciò ha determinato una reazione accesa da parte dei sindacati per i quali è un fatto grave che aggiunge ulteriore incertezza al futuro dell’acciaieria nel nostro Paese.

C’è da chiedersi, in mezzo a questo caos normativo, amministrativo e giudiziario quale sia il futuro dello Stabilimento e quale sia la sorte, dolorosa quanto quella dei cittadini, dei lavoratori dello stabilimento che verrebbero nuovamente esposti ad emissioni di polveri sottili e rischi di malattie, nel caso in cui non si provvedesse in tempi celeri al necessario risanamento dell’ambiente di lavoro.

Occorre, infatti, garantire il diritto alla salute attraverso misure ben più incisive di quelle ad oggi realizzate, che abbandonando logiche temporanee ed inadeguate, consentano lo svolgimento del lavoro in ambienti sicuri e protetti.

Il diritto al lavoro deve esercitarsi nel rispetto di tutti i diritti fondamentali, implicando la tutela del lavoro, imprescindibilmente, quella della salute e della dignità umana.

 

*Avvocato già Assessore all’Ambiente e alle Politiche Sanitarie del Comune di Catanzaro

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