di AMEDEO TORALDO
Che l’Alta velocità che si intende realizzare al Sud, con particolare riferimento alla linea Salerno-Reggio Calabria, sia un progetto faraonico che, in nome di un’aprioristica utilità, fa strame di qualsiasi ponderato ragionamento finanziario, di sviluppo socio-economico, di tutela ambientale, è un dato che balza evidente all’esame di tecnici disinteressati come agli occhi dell’uomo comune.
Il progetto sembra optare per un corridoio “interno”, che da Battipaglia arriva a Praia e procede per Tarsia e le aree interne: in altre parole un tracciato che “buca” l’Appennino calabro determinando investimenti elevatissimi. Complessivamente la linea Salerno-Reggio Calabria prevede oltre 160 Km di gallerie e un costo previsto di 30 miliardi. Senza contare quelli ambientali, non solo in termini di manomissione dell’ambiente. Come ricordavano, circa un anno fa, Paolo Beria, professore di economia dei trasporti, e Andrea Debernardi, ingegnere civile già consulente presso il Ministero delle Infrastrutture, se le 3,1 milioni di tonnellate di CO2 previste per la costruzione del traforo del Brennero (55 Km) saranno compensabili in circa 20 anni di esercizio a fronte di un traffico merci fra i 20 e i 30 milioni di t/anno, i tempi di recupero dei 160 Km di nuove gallerie al Sud possono definirsi biblici: «Il rischio… è quello di emettere nel prossimo decennio, una enorme quantità di CO2 recuperabile forse dal XXII secolo», «tenuto conto che l’interscambio merci terrestre da e per la Calabria è di 5 milioni di t/anno, non tutte intercettabili dal trasporto ferroviario»(“il Fatto Quotidiano” del 10/05/2021). In questo contesto progettuale, già abbondantemente “ipogeo”, spunta la realizzazione del raddoppio Paola/S. Lucido-Cosenza (nuova galleria Santomarco) – di cui si discute in questi giorni – che, nel Dossier di Progetto, viene «individuato come strettamente correlato alla realizzazione della nuova linea AV Salerno – Reggio Calabria e finalizzato a potenziare il traffico passeggeri/merci della linea». Il progetto va ben al di là del raddoppio della galleria Santomarco: prevede la sostituzione di quest’ultima con una nuova a doppia canna di 15,3 Km, cui seguiranno – lato Tirreno – altre due gallerie naturali di interconnessione a singola canna a singolo binario lunghe complessivamente 3.5 km, che costituiscono il raddoppio dell’attuale diramazione verso Paola e, ancora, il raddoppio della linea fino a Cosenza nonché una nuova stazione a Rende a servizio dell’Università della Calabria. In sostanza, si vorrebbe avvicinare Cosenza e la sua area alla rete ferroviaria principale senza attendere la realizzazione dell’intero, ciclopico progetto dell’AV. Il costo complessivo dell’opera è 1 miliardo e 400 milioni di euro, che – per avere un’idea – è pari a circa la metà del costo della tratta principale del TAV a carico dell’Italia. Viene detto che servirà a collegare alla rete merci il porto di Gioia Tauro, «nonostante – come sottolineato dai tecnici Beria e Debernardi – il porto sia oggi accessibile ai treni merci europei attraverso il corridoio adriatico-jonico (Bologna-Bari-Taranto-Sibari), approntato negli ultimi anni, a costi assolutamente inferiori, adeguando la rete esistente». Del resto, lo stesso Presidente della Regione Calabria, nell’intervista rilasciata a margine del primo dibattito pubblico sull’opera, ha affermato che la stessa è «non necessaria, ma importante» (“il Quotidiano del Sud” del 21/07/2022). E, allora, ci chiediamo: con quale coraggio si lamenta l’indisponibilità immediata di finanziamenti per un’opera “costosissima” e “non necessaria” quando la Calabria ha ben altre urgenze da porre all’ordine del giorno, ovvero la realizzazione dei progetti di elettrificazione della linea Jonica – cantieri fermi da due anni – e della Catanzaro-Lamezia – naturale prosecuzione del precedente – dagli investimenti più contenuti e dalle soluzioni più efficaci per il collegamento Tirreno-Jonio rispetto al raddoppio della tratta Cosenza-Paola-San Lucido?
Una pianificazione del territorio improntata ai criteri di razionalità, efficienza e risparmio economico dovrebbe portare tanto Rfi quanto il governo regionale a concentrare l’azione proprio sulle incompiute ferroviarie che riguardano il “corridoio” dell’istmo di Catanzaro e la dorsale jonica, che consentirebbero di centrare gli obiettivi di Rfi: potenziare il traffico passeggeri e quello delle merci. L’ammodernamento della Jonica potrà offrire treni più veloci e a lunga percorrenza ad un’utenza levantina di ben quattro province, mentre l’elettrificazione e la correzione del tracciato della Lamezia-Catanzaro consentirà di collegare velocemente, in modo organico, il Tirreno con l’intero versante jonico poiché la linea si sviluppa nell’area baricentrica della Calabria – servendo, cioè, una platea di territori ben più vasta di quella che il progetto della nuova galleria Santomarco ipotizza di raggiungere sullo Jonio – ; per non parlare dell’ulteriore vantaggio del corridoio istmico: unire l’intera regione al principale aeroporto calabrese. La stessa tratta porterà, inoltre, benefici anche al traffico delle merci, che potrà finalmente giovarsi dell’area istmica – la parte più stretta dell’Italia! –, naturale porta verso lo Jonio e alternativa già esistente all’altra trasversale Paola-Sibari, nella prospettiva di crescita dei volumi di trasporto. È obbligo, pertanto, che i cittadini calabresi di tutti quei territori “emarginati” a causa della carenza delle infrastrutture ferroviarie e “tagliati fuori” anche dall’irrealistico tracciato dell’AV, nonché i loro rappresentanti istituzionali di ogni livello, si oppongano a progetti calati dall’alto, per evitare il futuro scenario di una Calabria ancor più frammentata, con nuovi divari infrastrutturali e, di conseguenza, socio-economici.
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