di FRANCESCA FERRARO*
In ogni parte d’Europa e d’Italia si stanno sviluppando progetti che puntano a ristabilire equilibri ecologici nelle città, arrestando l’avanzare del cemento e creando aree verdi, rigenerando spazi urbani in senso sostenibile, economico, sociale e ambientale. A Madrid si sta progettano una grande cintura verde attorno alla città, il cosiddetto “El Bosque Netropolitano”, l’Action Plan, per la Forestazione Urbana di Prato, ha puntato all’obiettivo di realizzare una “enorme giungla urbana” in cui ci sia almeno un albero per ogni abitante della città, Parigi sta diventando una “Città 15”, cioè una città in cui in un raggio di quindici minuti, si raggiunge a piedi o in bicicletta tutto quello che è necessario per vivere, dalle attività commerciali, alla scuola, ai servizi sanitari, agli spazi per il relax e per il tempo libero.
Insomma innumerevoli sono gli esempi che potrebbero fornire indicazioni, modelli, da poter seguire anche nelle nostre città.
Oltretutto sono in atto straordinarie occasioni di finanziamento, come il Decreto Interministeriale 395/2020 che consentirebbe ai comuni con una popolazione superiore a 60.000 abitanti, di rigenerare gli ambienti degradati dei territori urbani “in un'ottica di innovazione e sostenibilità (green)”.
Nelle nostre città la proliferazione di cemento in ogni parte del territorio, ha generato un continuum indistinto tra città e campagna, obbligando le reti infrastrutturali a disperdersi in ogni dove, generando spreco economico e di ambiente, procurando aree periferiche prive di qualità, senza servizi, ridotti a semplici dormitori. Il vecchio piano casa, con i suoi quartieri esterni alla città, è stato realizzato solo come residenze e mancano le cosiddette urbanizzazioni secondarie. Manca quindi la qualità dell’abitare che è fatto di promiscuità tra costruito e verde urbano, attività per il ristoro e il tempo libero.
La mancanza delle realizzazioni dei progetti per le aree delle urbanizzazioni secondarie, mai realizzate nelle periferie calabresi, hanno peggiorato la qualità della vita, generando degrado economico e sociale. Inutile cercare le colpe di quanto successo, ogni amministratore, oggi, potrebbe dire “è stata colpa degli altri prima di me”.
Ma da ora nessuno può essere scusato, si continua con lo spreco di territorio solo nel terzo mondo, ovunque si va verso la sostenibilità e il consumo di suolo zero e si provvede a rigenerare le aree urbane esistenti. In più, per le nostre città, il Decreto potrebbe rappresentare l’occasione per recuperare gli spazi residuali, suburbani, consentendo di riprogettare la periferia come luogo di relazioni di vita e di rapporti, salvandola dal ruolo di quartiere dormitorio.
Se le città calabresi oggi sono così in basso nelle graduatorie sulla vivibilità nazionale, molta responsabilità deve essere assunta dal fallimento dell’urbanistica perché è stata favorita la città diffusa, allargata e disomogenea, che ha fatto perdere il senso di socialità, abbassando la qualità complessiva dell’abitare.
Il programma incentivato dal governo potrebbe essere utilizzato proprio per i nostri territori perché punta a cinque linee di azione: riqualificare, incrementare e riorganizzare il patrimonio edilizio; rifunzionalizzare aree e immobili pubblici; migliorare l’accessibilità e la sicurezza; rigenerare gli spazi costruiti; individuare modelli e strumenti di gestione, inclusione sociale, anche con autocostruzione.
Le città calabresi appaiono brutte, poco ospitali, quasi considerate a livello nazionale come il paradigma della “mala gestio” perché non solo spesso i loro centri storici sono abbandonati, ma perché le loro periferie sono una specie di terrain vague che, nella miopi visioni amministrative, appiano immediatamente colmabili solo da colate di cemento che, se diventano interessanti nei render, generano solo ulteriore consumo di suolo e progressivo degrado del territorio.
L’uso della vegetazione nella rigenerazione urbana porta benefici contro l’inquinamento atmosferico, genera effetti positivi sul benessere dei cittadini, con il potente apporto del fogliame e dell’apparato radicale, svolge azione di contenimento dell’erosione del suolo e degli effetti disastrosi degli smottamenti e delle alluvioni, aumenta la biodiversità del territorio.
L’auspicio è che le amministrazioni delle città calabresi fuoriescano dal provincialismo autoreferenziale, che escano dalle spire avvolgenti e suadenti della speculazione edilizia, per canalizzare interessi economici verso attività prolifiche per tutti, in modo da rigenerare il tessuto socioeconomico in un’ottica di innovazione e sostenibilità e di pensare le città nel loro insieme, come corpo sociale in cui recuperare gli spazi residuali.
Si tratta di grandi opere di ricuciture di parti importanti di territorio utilizzando il verde, la forestazione urbana come elemento per riconnettere il tessuto urbano. Il decreto prevede che i progetti siano realizzati in un’ottica di sostenibilità, tenendo conto della gestione delle aree previste e non ci sono soluzioni fatte qui e ora senza pensare al dopo, perché anche le aree verdi hanno bisogno di manutenzione.
Quello che servirebbe ai calabresi è una classe dirigente capace di visione, di lungimiranza, di capacità di pensare al futuro valutando i costi, le forze impiegate, gli effetti sull’ambiente. Sull’uso del territorio si gioca una delle speranze per i calabresi, rigenerandolo si creeranno occasioni di lavoro, possibilità di sviluppo, perché entreranno in campo l’informatica, l’innovazione tecnologica e il miglioramento dell’aspetto sanitario e ambientale.
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