di MAURIZIO ALFANO
È un momento di forte travaglio interiore quello che i corpi e le anime di questo tempo vivono. Nell’era della mobilità sociale, dove oltre la metà dell’intera popolazione mondiale ogni anno si sposta per volare da una capo all’altro del mondo, ora la medesima è imprigionata all’interno dei propri Stati, città, quartieri, case. Una regressione dalla possibilità di potere agire la propria libertà di movimento ora tradottasi, tramutatasi in isolamento sociale. Una forte battuta d’arresto soprattutto per l’uomo bianco ed i suoi innumerevoli egoismi.
E dall’isolamento sociale, ogni volta che ne è contemplata la possibilità, si passa al distanziamento sociale che ritorna come un ulteriore contrappasso per chi abituato a frequentare di contro posti affollati, messe commerciali, ammucchiate consumistiche. Cambiamenti epocali negli di stili di vita ci attendono e che si sommano a quei cambiamenti in atto dei quali ne viviamo le ripercussioni nonostante ne ignoriamo la loro portata. Il mutamento delle relazioni interpersonali imposto alle nostre vite da Covid 19 si somma difatti ai violenti mutamenti climatici in corso ed ai forti mutamenti sociali come conseguenza dei primi.
La loro preoccupante radicalizzazione ridisegna un nuovo mondo mentre noi agiamo e ci muoviamo ancora in quello precedente senza cogliere e per tempo nelle mutazioni in corso la dissonanza significativa in atto. I mutamenti climatici dunque, come i cambiamenti sociali e la progressiva crescita demografica con spostamenti di uomini e donne dentro confini sempre meno geografici concorrono a ridisegnare i confini del nostro orizzonte prossimo sempre più meticcio, sempre più attento per necessità al concetto di finitudine.
È la contraddizione dei cambiamenti che strutturano altre modalità di vita mentre le società si muovono ancora nel passato. Mentre alcuni invocano, predicano il nazionalismo, è il cosmopolitismo di contro l’unica via per la sopravvivenza della specie umana resa sempre più interdipendente. Non è forse il motto dell’intero pianeta nessuno si salva da solo? Non è forse il verbo pasquale e come tale predicato nel vuoto di una Piazza San Pietro che inchioda ognuno a prendersi cura dell’altro in questo momento di grande fragilità delle anime? Il Covid 19 attraversando questa fase delle festività pasquali per il suo tramite ci restituisce la possibilità però di potere ridisegnare le parti più significative di essa a partire proprio dalla crocefissione del Cristo e dunque di ogni essere umano inchiodato a modelli di vita che hanno derubricato l’importanza della specie umana alla sua consistenza economica. E il peccato di non rubare arrossisce, rabbrividisce di fronte alla forza straripante dell’evasione fiscale, della corruzione, delle attività criminali che rubano il futuro ad ognuno di noi. Che ha rubato la possibilità di sopravvivenza agli anziani morti senza alcun conforto mentre si chiedevano negli ultimi attimi della loro vita che fine avessero fatto i loro familiari.
Ecco la croce alla quale siamo crocefissi. È la croce del tradimento del proprio simile, dell’individualismo quale negazione della stessa Creazione a subordine del benessere dell’umanità nel suo insieme, e non per parte di essa. Allora è necessario arrivare alla fase della deposizione come quella del Cristo deposto dalla croce per essere affidato alle braccia della madre. Ecco, l’umanità ha necessità di deporre la sua voracità, la sua corsa di consumare senza alcun raziocinio in dispregio al principio delle pari opportunità le risorse di un pianeta sempre più caduco, sempre più malato, sempre meno capace di soddisfare la pratica immorale dell’accumulazione di capitali attraverso lo sfruttamento di risorse naturali e umane come se le stesse fossero a privilegio di pochi. È tempo di una deposizione della nostra supponenza che rende l’esistenza un continuo modo di sottrarre alla vita anziché dare. È tempo di deporre l’essere umano tra le braccia di sua madre, di madre natura, di affidarlo ai suoi ritmi, alle sue cure, a quella premura propria della natura che come ogni madre si prende cura di ognuno, nessuno escluso. È tempo di crocefiggere le condizioni di povertà che creano i poveri. È tempo di una deposizione che renda giustizia a quanti finora esclusi finanche dalla portata minima dei diritti umani che come tali sono inviolabili, indefettibili, sacri. È giunto il tempo della resurrezione del Cristo, e con esso il tempo di una resurrezione dei diritti di ogni uomo, donna che con essi nascono.
È tempo, assieme al tempo della resurrezione del corpo di quel Cristo che parlava di uguaglianza tra gli esseri umani, che predicava forme di comunismo ancora inesplorate, che vibrano nell’aria pregna di fame di giustizia, di insurrezione. Insurrezione delle anime, dei cuori. È tempo di un’insurrezione quale naturale evolversi della resurrezione a nuova vita altrimenti inutile. È tempo di insorgere, disobbedire, che faccia giustizia dei morti ammassati nelle fosse comuni degli USA, dei respiratori negati ai diversamente abili, degli anziani morti in solitudine come appestati, e di quanti muoiono perché non hanno i soldi per curarsi, per quanti discriminati in quanto esseri economici e non essere umani. Dalla resurrezione del corpo all’insurrezione dello spirito è il nuovo viaggio che ci attende per superare e davvero fino in fondo quanto Covid 19 quale sommatoria dei Sacerdoti del tempio, della politica, della finanza, dell’egoismo ci ha scaraventato addosso e senza alcun preavviso dandoci la possibilità di un cambiamento possibile. Abbiamo l’occasione per non rendere vano la morte di migliaia di Cristi sacrificati alle croci della nostra indifferenza asintomatica. Ecco, ora che abbiamo scoperto di essere asintomatici alla vita, appropriamoci di essa condividendola con tutto ciò che ci è prossimo, a persino a noi ignoto. Solo questa forma di insurrezione dell’anima potrà renderci parte significativa di una vita, la nostra, altrimenti vissuta e rubata da altri.
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