di FRANCESCA FROIO
La pandemia ancora in corso ha turbato animi e vite sparse in ogni angolo del mondo. Nessuno escluso, perché chi ha avuto la fortuna di non essere stato toccato fisicamente ha comunque subito, in miliardi di modi differenti, un qualcosa che ha segnato per sempre.
Davide Costa
E se l’aspetto sanitario è da un anno ormai al centro dei nostri pensieri, quello sociale, per certi versi rimasto silenzioso, sta pian piano venendo fuori, come accaduto nella breve analisi “Il tunnel: frammenti di sociologia visuale" , portata avanti da due giovani calabresi: Davide Costa, dottore in sociologia e segretario regionale dell’Associazione Sociologi Italiani e Anna Rotundo, dottoressa in linguaggio dello spettacolo del cinema e dei media.
Noi de La Nuova Calabria li abbiamo raggiunti telefonicamente e attraverso una piccola intervista abbiamo scoperto qualcosa di più su questa profonda e originale analisi.
L’intervista:
Il lavoro che avete realizzato è un lavoro a quattro mani, fra sistemi di comunicazioni visuali e sociologia, tra arte e interpretazione, in cui tutto si fonde. Come è nata questa esigenza?
Siamo due persone molto diverse e al tempo stesso similari, nel senso che tendiamo a cogliere gli stessi elementi con strumenti differenti, ovvero da un lato la fotografia e dall’altro la sociologia. Se parliamo di ‘esigenza’, entrambi abbiamo sentito da un lato la necessità di voler dare voce alle situazioni che tormentano i nostri animi, dall’altro per la necessità di dire qualcosa di diverso. E’ nella diversità che si svela la particolarità!
Perché “Tunnel” della pandemia?
Il tunnel perché da un punto di vista ‘di senso comune’, rappresenta lo spazio che dalle tenebre porta alla luce, ma anche un collegamento tra ciò che c’è prima e ciò che c’è dopo. Dal tunnel, così, si può sempre uscire. Infondo si trova la luce, però prima bisogna attraversarlo.
Un ruolo centrale in questo lavoro lo ha svolto la fotografia. Fotografia come osservazione, ma anche come strumento che ha molto in comune con la sociologia. Emerge nel percorso una parte dedicata proprio a questo legame …
Per comprendere in pieno una fotografia, come nel nostro caso, è fondamentale l’utilizzo e il supporto della sociologia perché solo così possiamo comprendere nella totalità quello che sta succedendo nel mondo. Inoltre, da un punto di vista sociologico, anzi metodologico in senso lato, l’atto di osservare è l’atto scientifico per eccellenza. Lo sguardo e l’osservazione sono il medium per ogni tipo di scoperta sia essa relazionale o di altro tipo.
Lavoro e pandemia: fra Smart working e il silenzio dei meno abbienti. Cosa racchiude questo pensiero?
Il timore di un ritorno alla divisione in classi, e quindi un mondo fatto di confini rigidi e difficili da superare. Questa pandemia, ha per così dire, riaperto vecchie ferite sociali: basti pensare al fatto che non tutti sono dotati di una connessione internet; e poi si parla del silenzio. E’ quasi un anno ovunque regna la mancanza di suoni, quelli un tempo più familiari. Un tempo il ‘proletariato’ era la classe ‘rumorosa’, oggi, i suoi eredi si sono adeguati al silenzio, o forse gli è stato imposto. Il tutto, poi, fa da corollario alla decadenza del mercato del lavoro, che soprattutto, a chi come me è ancora in formazione, comporta non poca preoccupazione.
Ad un certo punto tra le immagini spunta una fotografia denominata “Senza meta”, cosa narra questo scatto?
Da un punto di vista fotografico si mettono a confronto due generazioni fondate principalmente sullo stesso concetto: non capire il ruolo che si ha nella società. L’anziano viene visto come un relitto, il giovane privo di qualunque stimolo. Da un punto di vista sociologico, invece, ricorda la questione della distanza, del qui e dell’altrove.Tra presenza e assenza,questa pandemia ha sovvertito un po’ questi concetti, come quello tra positivo e negativo, i quali sono stati simbolicamente invertiti. Ma è anche un chiaro richiamo alla defuturizzazione, ossia alla perdita di prospettiva verso il futuro. Ormai la nostra quotidianità è scandita da indici e colori, e non più e non solo dalle nostre esigenze.
E a proposito di immagini, ne avete usate diverse, c’è tra queste qualcuna che secondo voi più di tutte racchiude il momento che stiamo vivendo?
Sicuramente “Senza Meta” e “Nascondere le rovine”. Della prima ne abbiamo già parlato mentre ne “Nascondere le rovine” si è cercato di cogliere l’animo umano totalmente pervaso da quello che ha vissuto in questo lungo periodo, cercando, però, di nasconderlo ricorrendo all’indifferenza. Si tratta di un’immagine che, come abbiamo già riportato nella nostra riflessione, richiama il concetto della morte di Dio di Nietzsche, e quindi il declino di tutti i valori e sicurezze, un uomo in balia della propria ‘croce’, nella solitudine più totale in questa web-society.
C’è poi un particolare che emerge all’interno di un paragrafo dedicato a “Dispositivi di protezione individuale impedimenti e scorci di difficoltà”, di cosa si tratta?
A riguardo è singolare il fatto che proprio quest’anno Carnevale e San Valentino coincidano, perché proprio come ha imposto questa pandemia, i rapporti sono diventati ‘mascherati’ all’interno di mascherine, guanti e tute, il che non è solo negativo, anzi, sta rendendo un po’ tutti noi più attenti a gesti che fino a qualche tempo fa erano connotati come ‘irrilevanti’. E’ così, come dicevamo in precedenza, lontananza e vicinanza si relativizzano, assumono nuovi connotati.
Il lavoro si conclude con una meravigliosa riflessione: “È certo che niente sarà più come prima, e al di là dei tuttologi e delle previsioni a lungo termine, che non tengono conto della mutevolezza umana, siamo innanzi ad un bivio…”. Secondo voi c’è una luce fuori da questo tunnel?
Da un lato c’è una luce, anzi una penombra, personalmente, credo e spero che prima o poi usciremo da questa situazione funesta, ma i nostri animi rimarranno segnati per sempre(Anna). Non c’è una risposta netta SI o NO, questa pandemia, ci sta insegnando il concetto di equilibrio, che è figlio del relativismo, e quindi della medietà delle posizioni. Nello specifico potrà esserci in parte la ‘luce’ e in parte il ‘buio’, ma dipende da noi scegliere se e come cogliere entrambi.
Scegliere è un atto particolare, intimo e individuale, perché come ricorda Eraclito “Ogni giorno, quello che scegli, quello che pensi e quello che fai è ciò che diventi”(Davide).
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