L'intervista, l'intimo racconto del lockdown di Cristiano Fantò nel libro "Penso positivo" tra paure, speranze e sogni

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images L'intervista, l'intimo racconto del lockdown di Cristiano Fantò nel libro "Penso positivo" tra paure, speranze e sogni
Cristiano Fantò
  06 dicembre 2021 19:10

di EDOARDO CORASANITI

C'è una verità che devo svelare prima di presentare l'autore del libro. Al di là della stima e fiducia che ci lega da qualche anno ormai (potremmo dire "dai tempi dell'università", per darci un tono), prima di dire sì a Cristiano gli ho confessato che semmai dovessimo presentarlo da qualche parte vorrei che partecipasse una persona a lui molto cara: Ilario Ammendolia, giornalista, docente, intellettuale che non corre dietro ai tormentoni per discreditare Calabria e calabresi. 
Invece l'autore di "Penso Positivo" (L’Ancora - Viareggio) è Cristiano Maria Fantò, 32 anni, di Caulonia. Professione: avvocato ma già autore in www.ciavula.it. In Penso positivo racconta il primo lockdown, mettendo in luce le emozioni e gli stati d’animo che hanno attraversato le giornate da marzo a maggio del 2020. Un racconto intenso, intimo, dal cuore e per i cuori solitari. Dalla finestra.

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Visto che tra conoscenti è possibile rompere le consuetudini, partiamo da un capitolo che farebbe incuriosire tutti. “Harry Potter e i prigionieri del Coronavirus”. Cristiano, di che parli?

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Sono molto affezionato al mondo di Harry Potter, poiché mi riporta a piacevoli ricordi d’infanzia. Nel corso del lockdown, l’appuntamento settimanale con gli episodi della saga hanno consentito a tutti gli appassionati di evadere per qualche ora dal contesto truce in cui versava il mondo intero. Harry Potter ha quindi avuto per me una funzione lenitiva, se non addirittura salvifica: in mezzo a tutta quell’incertezza, mi piaceva abbandonarmi a qualcosa di cui conoscessi il finale. D’altronde è risaputo che, quando intorno a loro incede il caos, gli esseri umani abbiano bisogno di certezze alle quali aggrapparsi.

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 Rimettiamo in ordine il calendario. Cristiano, il 21 febbraio 2020 sembrava un giornale come tanti, un venerdì come un altro. Invece?

Invece è stato il giorno in cui, per l’Italia e per gli italiani, ha avuto inizio un periodo delicato e anomalo destinato a cambiare il corso della storia. In quella data, infatti, è stato individuato il primo italiano positivo al Covid-19. Nelle ore successive è apparso chiaro che la situazione fosse ben più grave del previsto; ciò che ne è seguito, appartiene indelebilmente alla memoria di tutti noi.


Subito dopo il Paese assiste a quella che tu definisci la “migrazione al contrario”. Parlacene.

Quando ha iniziato a circolare la voce che, per la prima volta nella storia del nostro Paese, alcune aree del nord sarebbero state dichiarate Zona Rossa andando incontro a numerose restrizioni, sono stati tantissimi i meridionali che hanno preso d’assalto i treni diretti verso il Meridione. Si è trattato di un gesto istintivo, figlio del timore generato dal diffondersi di un virus sconosciuto nonché del disperato bisogno di trovare rifugio nella propria terra natia. Nel libro parlo di “migrazione al contrario” per evidenziare come in quella circostanza lo spostamento di massa avvenisse da Nord verso Sud, contrariamente a quanto avviene di solito in Italia. I rientranti in fuga, considerati potenziali portatori del Covid-19, venivano però additati con diffidenza e livore da parte degli abitanti delle regioni del Mezzogiorno. Ciò mi ha spinto a una riflessione di carattere generale, che può essere sintetizzata nel seguente assunto: dietro i fenomeni migratori si celano quasi sempre le paure e i bisogni di chi è spinto a partire; chi è chiamato a ospitare, di contro, diviene facile preda del timore che, al pari di un’infezione, i nuovi arrivati possano insediarsi nell’organismo e comprometterne l’equilibrio. Tale ancestrale dualismo può essere superato solo attraverso la conoscenza e la comprensione.

Poi iniziano le puntante di una serie che abbiamo già sentito e raccontato: “Io resto a casa”, i balconi, la Dad, lo swart working. Il tuo lockdown com’è stato?

Mi considero fortunato perché ho potuto trascorrere il lockdown serenamente, insieme alla mia famiglia. Ci sono stati comunque momenti in cui ho avuto paura, come spesso accade quando si affronta l’ignoto. Molte sfaccettature del nostro vivere quotidiano sono mutate rapidamente, insieme al nostro modo di percepire la realtà. Durante le lunghe giornate in cui siamo stati costretti a osservare il mondo attraverso la finestra, ho avvertito l’esigenza di scrivere per dare sfogo alla sensazione di smarrimento che in quel periodo storico pervadeva me ma anche tutte le persone che, in Italia e nel mondo, affrontavano la medesima situazione. È nata così l’idea di realizzare un libro.

In tutto questo periodo c’è stata la sensazione di vivere una dimensione temporale diversa, completamente nuova. Nel tuo libro ne parli.

Ritengo sia stato proprio questo uno degli aspetti più interessanti del lockdown, pur nella sua drammaticità. Facciamo parte di un sistema sociale in cui prevale la malsana idea che si debba sempre correre per restare al passo e che rallentare equivalga a perdere tempo. Durante il lockdown, invece, il mondo si è fermato e noi siamo stati costretti a porre un freno ai ritmi frenetici di cui siamo schiavi. Ciò, paradossalmente, ha favorito la riscoperta di attività e interessi che tendiamo a trascurare ma che invece sarebbe opportuno continuare a coltivare. È fondamentale che l’umanità riprenda il proprio cammino all’insegna della normalità; cionondimeno, talvolta risulta necessario sapersi fermare per apprezzare la bellezza del viaggio.

 Non si salva nessuno da solo.

Verissimo. Si tratta di un concetto universalmente valido, che la terribile emergenza causata dal Covid-19 ci ha solo ricordato. Non a caso, ciò che racconto dei giorni in lockdown è accompagnato da continui riferimenti alle persone che fanno parte della mia vita: soltanto grazie a loro il libro ha preso forma e possiede un’anima. In generale, proprio nel momento in cui siamo stati costretti al distanziamento interpersonale, tutti noi abbiamo compreso quanto l’altro sia importante, poiché la vita è molto più bella quando viene condivisa. Malgrado la distanza, ci siamo sentiti più vicini e più simili: tutti ugualmente fragili eppure straordinariamente forti; tutti, semplicemente, esseri umani. Non dimentichiamo, tra l’altro, che solo la cooperazione internazionale e la solidarietà tra i popoli ci hanno permesso di affrontare l’ora più buia della pandemia.

Il lockdown è finito ma il virus resta, e l’unico modo per sconfiggerlo sembra il vaccino. Che diciamo ai No-vax?

In generale non mi piace impartire lezioni agli altri, né sono nella posizione di poterlo fare. È la storia tuttavia a dirci che le gravi malattie del passato sono state debellate grazie ai vaccini, i quali da sempre rappresentano un’imprescindibile conquista per la tutela della salute. Sono sicuro che anche il Covid-19 possa essere sconfitto solo attraverso una campagna vaccinale diffusa su larga scala: naturalmente ci vorrà del tempo, ma rispetto alla fase più critica della pandemia sono già stati fatti passi da gigante. Il problema è che oggi tutti credono di essere competenti su tutto, e purtroppo l’ampia diffusione di fake news non ha fatto altro che amplificare una pericolosa sfiducia nella scienza. A tal proposito mi sento di dire una cosa: è fondamentale documentarsi mediante fonti d’informazioni attendibili, tenendo sempre presente che gli organi scientifici rappresentano un punto di riferimento per la nostra società.

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