di FRANCO CIMINO
Per l’anniversario , il trentacinquesimo, della morte di Giancarlo Siani, persino il presidente della Repubblica, che sul fronte della ferocia della mafia quarant’anni fa ha pagato un prezzo altissimo con l’assassinio del fratello Piersanti, presidente della regione Sicilia, ha offerto il contributo della sua alta carica per ricordarlo. Sergio Mattarella è stato proprio oggi a Napoli per una breve celebrazione nel corso della quale l’Ordine dei giornalisti ha consegnato alla famiglia la tessera di giornalista professionista. Quella alla quale, quel giovane “ apprendista”, tanto ambiva e che più che con un concorso, banale e ordinario in tutte le sue vecchie tecniche di svolgimento, voleva onorare con lo spirito autentico della missione. Nel quale sta l’eroismo della fatica normale, o della normalità, che la retorica di sistema vorrebbe invece trovare puntualmente nelle tragiche morti di chi fa il duro mestiere di informare.
Non c’è giornalismo senza eroismo, come non c’è sacerdozio senza martirio e Politica senza la totale donazione di sé. Questo vale anche nei paesi democratici. Perché di informazione libera, paradossalmente, ne hanno più bisogno questi, per il potere di offuscare, distorcere, nascondere, in parte o in tutto, la verità che hanno i diversi e molteplici poteri, che proprio la Democrazia consente di costituirsi, sia pure soltanto sul terreno della legalità. Nei paesi illiberali o autoritari i giornalisti veri, che sono solo quelli liberi, sanno di rischiare la vita non appena soltanto pensano di fare questo mestiere. Chi lo fa, sa già in partenza di subire minacce, violenze di ogni genere e di incorrere nel pericolo di perdere la vita. Se della Democrazia la libertà ne è l’anima vitale, il giornalismo genericamente inteso, ovvero la libera informazione, ne rappresenta una delle principali fondamenta. Infatti, le società più deboli o le democrazie che perdono di consistenza, sono quelle in cui il sistema di informazione si indebolisce progressivamente venendo surrettiziamente infine sostituito con una voce monocorde all’interno di una cultura monolitica. Quella in cui la realtà viene fatta vedere per come al potere unificante( oggi più di ieri quello economico- finanziario) maggiormente conviene.
Sono due le vie che questo nuovo autoritarismo mascherato di democrazia e dell’illusione di un uso generale e paritario della tecnologia, usa per trasformare la democrazia, per come la storia e il pensiero illuminista e l’anima cristiana dell’Europa ce l’hanno trasmessa, in un soggetto diverso. Un mostro dalle cento teste. Una è l’indebolimento dei sistemi formativi, strutture scolastiche e università in primis. La seconda, è svuotare di risorse e strumenti il sistema in cui si organizza il dovere sociale della libera informazione. Della scuola finora, su questo lontano processo, si è detto molto. Le drammatiche vicende Covid e le enormi risorse che si stanno impiegando nella Scuola, si spera possano finalmente invertire questa tendenza, anche se la Scuola oltre che di soldi per banchi ed aule, ha bisogno di contenuti nuovi . Quelli che sappiano unire la necessità dell’apprendimento delle nuove scienze, per le nuove professioni, alla cultura umanistica, per la più raffinata sensibilità, di cui l’Italia è madre e maestra. Un nuovo progetto costruito con i docenti che stanno in cattedra e ad essi affidato, insieme a un adeguamento del loro stipendio non dico agli standard europei, ma a quelli della dignità di una professione-missione tra le più importanti in assoluto. Non abbiamo però detto, se non per la voce di qualche isolato giornalista o pensatore libero, dell’inesorabile processo di indebolimento del “ giornalismo”. Quello antico e romantico su carta, con l’inchiostro che si respirava con la notizia che scappava dalle dita battenti vorticosamente sulla machina da scrivere. E quello digitale, che sembrerebbe alleggerire la fatica di cercare la notizia e di farla camminare più estesamente possibile.
Questo sistema è stato indebolito non dalla rete che trasforma gli spioni, che tutti siamo diventati, in giornalisti, come per convenienza si continua a dire. È stato volutamente piegato alle logiche dei “padroni della rotativa”, che, asserviti ai poteri finanziari, dai quali molto di loro, improvvisati editori, fanno dipendere gli affari dello loro altre attività più redditizie. I giornali, quasi tutti, in rete o in cartaceo, si servono di pochi giornalisti “ certificati”( a migliaia hanno perso, nel silenzio tombale, il posto di lavoro), che sono retribuiti male e a singhiozzo, mentre sono sottoposti continuamente, sotto ricatto strusciante, a un lavoro massacrante in una giornata che non finisce mai. Per il resto, il lavoro, specialmente quello esterno, viene offerto alla passione di chi sogna di fare il giornalista e per questa accetta i pochi euro, privi di qualsiasi garanzia sociale, pagati (e quando?) per un articolo. Un articolo che, si badi bene, lungo o corto, è sempre frutto di un enorme lavoro. I giornalisti uccisi dalle mafie fisicamente, e quelli che da altre mafie nascoste nel potere legale sono uccisi moralmente, ovvero “ esistenzialmente”, non hanno salvato, perché non avrebbero potuto, la democrazia con il loro eroismo. E poco hanno prodotto sul rafforzamento della coscienza politica e sociale delle varie generazioni di giovani, che si sono susseguite in questi lunghi cinquant’anni( non si dimentichi il palermitano Mauro De Mauro, fatto sparire nel nulla proprio il sedici settembre del 1970). Soffocare questa verità sotto il pesante manto della retorica nazionale, non fa bene al Paese. Non aiuta la Democrazia. Fa male alla Verità.
Le mafie, si abbia il coraggio di riconoscerlo, non hanno perso ancora un solo grammo della loro forza. Ed è così proprio in ragione di quelle due suddette debolezze, delle quali questa odierna brutta politica ne rappresenta la più evidente conseguenza. Le mafie hanno ucciso i giornalisti non solo quel giorno, ma tutti i giorni in cui non è stato invertito il corso deviante che la nostra Democrazia ha subito. Tuttti i giorni in cui non ci è accorti di quanti colpi subivano i luoghi della promozione della libertà. Tutti i giorni in cui ci siamo adattati al nuovo che avanzava con le sue promesse bugiarde di farci tutti ricchi e felici senza dover fare più alcun sacrificio o fatica, perché c’è un Lui nascosto che pensa per tutti noi. Il grande fratello, che ci controlla ventiquattr’ore su ventiquattro e tutto decide per noi. Di noi. Le mafie finora hanno vinto perché sono più intelligenti di chi ci governa sotto i crismi della “ democrazia formale”. Le mafie rischiano di vincere quando lo Stato celebra, senza successivi atti di coraggio, l’eroismo degli uomini soli. Drammaticamente soli, perché abbandonati, come il tragico destino di Giancarlo Siani dolorosamente dimostra.
Oggi, a questo giovane di belle speranze e dall’animo acceso, che voleva vivere e non essere considerato eroe, è stata consegnata la tessera di giornalista professionista. Una sorta di romanticismo mediocre dovrebbe sollecitare la commozione e il pianto. Ma sorridere con sottile ironia, quella che più somiglia al giovanile umore di Giancarlo, dinanzi alla data, che gliela consegna, in quella tessera di lucida pelle marrone, dopo trentacinque anni, non è meglio di questo pianto d’occasione? Ma sì, meglio sorridere. La tessera odierna profuma di nuovo e di pulito. Quella del vero giornalista puzza di sudore e di lacrime. Di fatica e di tormento. Profuma di libertà.
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