di LUCA MUGLIA*
Quando ho assunto le funzioni di Garante regionale dei diritti delle persone detenute mi sono ripromesso di esercitare tale ruolo, alquanto delicato, evitando di entrare nel merito delle questioni processuali che riguardano le persone private della libertà. Allo stesso modo ho sempre ritenuto che fosse indispensabile un dialogo ed un confronto costante con la magistratura requirente e giudicante e con i Tribunali di sorveglianza competenti, limitando le sollecitazioni alle situazioni di urgenza che richiedevano un mio intervento e/o alle battaglie – a volte comuni – che riguardavano l’attuazione dei diritti fondamentali. Ho ritenuto, altresì, che fosse opportuno, in alcuni casi necessario, confutare determinate scelte legislative, cercando tuttavia di non invadere campi o settori riservati ad altri organi e/o istituzioni dello Stato.
Bene, in questa giornata, tutto ciò mi viene veramente difficile. Esco, infatti, dalla sezione di un carcere calabrese in cui ho avuto modo di incontrare una giovane mamma detenuta da qualche mese insieme al suo bimbo di appena un anno e mezzo. Che dire, se non che sembra impossibile immaginare che, in pieno terzo millennio, possano presentarsi scene di questo tipo. Lo sgomento non involge, evidentemente, il merito processuale che ha portato la giovane donna ad essere collocata in carcere. Ho rispetto del lavoro dei magistrati e dell’applicazione delle norme vigenti. Né tantomeno lo stupore è da ascrivere all’Amministrazione penitenziaria, ove si consideri che nel caso di specie la Direttrice, la Polizia penitenziaria, l’Area educativa e sanitaria hanno dimostrato sensibilità e grande attenzione ai bisogni del minore e della madre. Lo sdegno, così si può e si deve chiamare, riguarda la possibilità – prevista e contemplata da una legge dello Stato – di privare della libertà personale una creatura così indifesa ed innocente. Per tutti noi era il primo giorno di primavera, allietato da un cielo terso ed un sole caldo. Ma sono sensazioni, odori e colori che quel bambino senza colpe non ha provato o visto e, chissà per quanto ancora, non proverà o vedrà. Il suo gioco era, oggi, un piccolo evidenziatore dal colore blu. Un tempo “sbarrato”, che non può non lasciare segni nella mente e nel cuore di questo piccolo grande uomo.
Tutto ciò interroga le nostre coscienze e ci induce a riflettere sulla violenza delle nostre leggi. Cambiare le cose è sempre possibile. Chi ha la responsabilità politica ed istituzionale può certamente farlo. Ma occorre farlo presto. Stiamo rubando il futuro a creature fragili ed innocenti. E’ proprio vero, il carcere è il posto dove parlano gli occhi. Lo sguardo di questo bimbo ci seguirà, inquieterà le nostre notti fino a quando qualcuno, un nobile giorno, non porrà fine allo scempio dei bambini in carcere.
*Garante regionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale
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