M. Claudia Conidi Ridola: "Presunzione di innocenza a due velocità: la politica che resiste, le professioni che crollano"

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L’avvocato Claudia Conidi Ridola
  10 settembre 2025 10:34

di MARIA CLAUDIA CONIDI RIDOLA*

 Il recente caso che ha visto protagonista il Presidente della Regione Calabria, Roberto Occhiuto, dimessosi a seguito di un avviso di garanzia e contestualmente ricandidatosi alle elezioni anticipate, solleva interrogativi che vanno oltre la cronaca politica. Esso richiama infatti l’attenzione del giurista sul delicato equilibrio tra potere giudiziario e potere politico, sulla legittimità delle dimissioni e della ricandidatura, ma soprattutto sulla ricaduta che simili eventi hanno sulla fiducia dei cittadini nelle istituzioni.

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L’articolo 97 della Costituzione italiana sancisce che i pubblici uffici siano organizzati secondo disposizioni di legge in modo da assicurare il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione. È evidente che il concetto di “buon andamento” postula continuità, efficienza e stabilità: elementi che vengono messi in crisi quando un’inchiesta giudiziaria – seppur nella fase embrionale e dunque ancora priva di un accertamento di responsabilità – determina le dimissioni del vertice politico e, conseguentemente, lo scioglimento dell’organo legislativo regionale.

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Da un lato non può dimenticarsi il principio fondamentale sancito dall’articolo 27 della Costituzione, secondo cui l’imputato non è considerato colpevole sino a sentenza definitiva, né può una misura di garanzia quale l’avviso di garanzia trasformarsi in una condanna anticipata. Dall’altro lato, occorre interrogarsi su come questo stesso istituto, concepito a tutela dell’indagato, finisca per produrre effetti destabilizzanti sull’amministrazione, inducendo dirigenti e assessori a paralizzare la loro attività per timore di ulteriori conseguenze, fino a generare una situazione di stallo che sfocia in dimissioni e nuove elezioni.

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Qui si manifesta la tensione tra il principio della separazione dei poteri, sancito dall’articolo 104 della Costituzione in riferimento all’indipendenza della magistratura, e quello della rappresentanza politica, espressione della sovranità popolare di cui all’articolo 1 della stessa Carta. Se è vero che la magistratura opera in piena autonomia e indipendenza, è altrettanto vero che le sue iniziative, soprattutto in ambito politico-amministrativo, possono avere conseguenze dirompenti sulla stabilità delle istituzioni.

A questo quadro, già complesso, va aggiunta un’ulteriore considerazione che riguarda la disparità di trattamento tra categorie. Un Presidente di Regione, come Occhiuto, pur colpito da un’inchiesta, ha potuto scegliere di dimettersi per poi immediatamente ricandidarsi, senza che la sua carriera politica subisse un’interruzione irreversibile. Diverso è il destino dei liberi professionisti, avvocati o medici, i quali, in caso di sottoposizione ad indagini anche solo embrionali, si troverebbero davanti a conseguenze assai più drastiche: sospensione dall’ordine, compromissione della propria credibilità professionale, esposizione mediatica che rende difficile, se non impossibile, un reinserimento rapido.

In altri termini, mentre per il politico l’avviso di garanzia può diventare quasi un ostacolo temporaneo, superabile anche con la forza di una nuova legittimazione elettorale, per il professionista può trasformarsi in una vera e propria condanna anticipata, con effetti devastanti e difficilmente reversibili. La presunzione di innocenza, che dovrebbe valere egualmente per tutti, in concreto diviene allora presunzione “rafforzata” per alcuni – i politici che continuano ad avere agibilità e possibilità di riproporsi – e presunzione “svuotata” per altri, come i professionisti, ai quali la sola indagine può compromettere irrimediabilmente la carriera. Questa sperequazione incide profondamente sulla percezione di uguaglianza di fronte alla legge, sancita dall’articolo 3 della Costituzione, e mina la fiducia nelle istituzioni stesse, poiché il cittadino avverte l’asimmetria: in un caso l’indagine non preclude la possibilità di riciclarsi, nell’altro segna la fine di un percorso.

Da ciò discende un interrogativo di fondo: come possono i cittadini, e soprattutto i giovani che si avvicinano per la prima volta al voto, avere fiducia in un sistema che appare così instabile e diseguale? I ragazzi che entrano nella vita politica e istituzionale con entusiasmo, con le vele spiegate verso il futuro, vedono spesso la propria rotta interrotta da venti contrari. Basta un’inchiesta giudiziaria per smantellare in poche settimane un paradigma politico sul quale si era costruita un’intera campagna elettorale. In questo scenario la fiducia si sgretola, la progettualità cede il passo al disorientamento, e la partecipazione rischia di trasformarsi in disillusione.

Il caso Occhiuto, dunque, non è solo un fatto di cronaca: è un banco di prova per la nostra democrazia costituzionale. Se da un lato si deve garantire l’autonomia della magistratura e l’obbligatorietà dell’azione penale (art. 112 Cost.), dall’altro occorre preservare il buon andamento della pubblica amministrazione e il principio di uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge (artt. 97 e 3 Cost.). La sfida è trovare un punto di equilibrio, affinché le inchieste giudiziarie non diventino fattore di destabilizzazione istituzionale sproporzionata e affinché non si consolidino disparità di trattamento tra categorie che rischiano di annientare la credibilità stessa del sistema. Solo così sarà possibile ricostruire una fiducia autentica e duratura nelle istituzioni, senza la quale la nostra democrazia rischia di restare un guscio vuoto.

*avvocato

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