Il Consiglio direttivo della Camera Penale di Catanzaro – in una nota firmata del presidente, avvocato Valerio Murgano, e del segretario, avvocato Francesco Iacopino – interviene sul tema della presunzione d'innocenza traendo spunto dal caso di un magistrato “ingiustamente esposto alla gogna mediatica”.
“Qualche giorno fa – si legge nella nota di Murgano e Iacopino – un magistrato oggi in pensione che per anni ha amministrato la Giustizia nel nostro Distretto, distinguendosi per le sue elevate doti umane, culturali e giuridiche, ha rievocato una brutta vicenda giudiziaria che lo ha visto, suo malgrado, ingiustamente esposto alla gogna mediatica. Le infamanti accuse che gli venivano mosse (avere aiutato le cosche nell’esercizio delle sue funzioni) si sono rivelate, a un vaglio meno sommario e superficiale, così prive di fondamento da indurre lo stesso Ufficio di Procura ad avanzare richiesta di archiviazione, accolta dal giudice”.
Le sue amare considerazioni sui corsi e ricorsi della storia, e sul carico di sofferenza personale e familiare subito a causa della macchina del fango, mediatica e sociale, attivatasi immediatamente al primo ‘strillo’, costituiscono uno stimolo alla riflessione sulla realtà del nostro tempo. Dagli anni ‘90 a oggi, nulla è cambiato. Anzi. Le patologie del sistema si sono cronicizzate”.
Per i rappresentanti della Camera Penale di Catanzaro “nonostante le battaglie di civiltà promosse dall’Avvocatura e dalla più avveduta Accademia, siamo costretti a subire la mutazione genetica del diritto penale, oramai trasformato da ‘limite’ alla pretesa punitiva dello Stato a strumento vendicativo e parossistico di lotta sociale. Queste sono le conseguenze del Leviatano sciolto dalle catene (l’espressione non è nostra ma di Domenico Pulitanò) e del conseguente dosaggio eccessivo del farmaco penale, convertito da strumento terapeutico a intossicatore individuale e sociale. Le regole della nostra civiltà – affermano gli avvocati – sono ‘saltate’”.
I marchi dell’infamia sono impressi col fuoco nelle immancabili conferenze stampa (in violazione delle direttive europee e in barba alle minacce di infrazione sovranazionali per violazione del principio di presunzione di innocenza), con conseguenti inevitabili sentenze di condanna sociale pronunciate sulla base delle spinte emotive e irrazionali indotte da letture unilaterali e colpevoliste di una sola parte, l’accusa. Come ha ben scritto, sul tema, la Camera penale di Palmi in un proprio recente j’accuse, ‘molto pesa il fatto che le condanne anticipate a mezzo conferenze stampa sulle catture, si coniugano con i rituali della promozione delle carriere e della raccolta di consensi intorno all’azione repressiva delle forze di polizia e della magistratura inquirente'”.
Le vicende di Enzo Tortora e di tutti i Tortora della storia (una media ‘certificata’ di 3 persone al giorno, 1000 all’anno, oltre 26.000 negli ultimi 25 anni, per i quali lo Stato ha pagato oltre 800 milioni di euro di ingiusta detenzione) non ci hanno insegnato nulla.
"Oggi più che mai vi è l’esigenza di una Avvocatura (sostenuta dall’Accademia) ancora più forte e compatta, pienamente consapevole del proprio ruolo di garanzia e della propria funzione sociale. Di un’Avvocatura all’altezza delle sfide che l’attendono. Che alle componenti ‘emotive’ e ‘irrazionali’ che agitano le piazze sappia ribadire l’irrinunciabilità del rispetto delle regole che stanno alla base del nostro patto sociale e mantenere ferma e rigorosa la difesa delle libertà individuali. Capace di non arretrare di un millimetro rispetto alla tutela del nucleo assiologico che costituisce il fondamento del diritto penale liberale. Di un’avvocatura, detto in sintesi, che al moderno diritto penale di lotta, sappia opporre una moderna lotta per il diritto"
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