Anche gli avvocati catanzaresi Ottavio Porto e Francesco Iacopino hanno partecipato a Roma alla maratona oratoria per la verità sulla prescrizione per sostenere l’iniziativa dell’Ucpi.
Di seguito l'intervento dei due legali:
Il fondamento giustificativo della prescrizione, per com’e noto agli addetti ai lavori (e per come dovrebbe suggerire la ragione), è quello di contemperare le esigenze di difesa sociale con quelle di tutela delle libertà individuali. Ad avviso dei penalisti, se, da un lato, è innegabile l’esigenza dello stato di reprimere i fenomeni di criminalità a tutela della collettività, dall’altro lato, è impensabile che una persona accusata di un reato (come tale assistita dalla presunzione di non colpevolezza), possa essere esposta al processo penale senza un ragionevole limite temporale.
Chiaramente fanno eccezione i reati di elevato allarme sociale, i quali, anche questo è noto, già con l’attuale assetto normativo sono imprescrittibili o, comunque, non si prescrivono (praticamente) mai.
L’abolizione della prescrizione - che entrerà in vigore l’1 gennaio 2020 - mortifica il principio della durata ragionevole del processo e quello della presunzione di non colpevolezza, lede il diritto di difesa, contrasta con la finalità rieducativa della pena, archivia il valore del personalismo, quello della centralità della persona e dei suoi diritti nei rapporti con il più terribile dei poteri, quello ‘punitivo’ dello Stato (Maiello).
L’abolizione della prescrizione cancella il diritto di programmare il proprio futuro che rappresenta il sale della libertà; abolisce il diritto di organizzare la propria esistenza.
Viene da chiedersi: qual è la quota di tempo che un individuo deve ipotecare nel suo rapporto con gli organi della giustizia penale? Per quanto tempo la possibilità di pensare al proprio futuro dovrà restare ibernata?
In un sistema liberale e democratico lo Stato non può tenere sotto scacco (e tendenzialmente sotto ricatto) il cittadino; viceversa in uno Stato autoritario il suddito è nelle mani del potere che può decidere di tenerlo in sospeso sine die (Romano).
Con la riforma Bonafede giungiamo al paradosso.
Il codice Rocco, approvato nel 1930, in pieno regime fascista, registra una regolamentazione della prescrizione ispirata al canone della ragionevolezza, disciplinandola all’interno del diritto penale sostanziale (a differenza del codice liberale Zanardelli che la inquadrava come istituto di natura processuale).
L'avvocato Ottavio Porto
Il legislatore pantastellato, nell’anno Domini 2020, nella cornice della democrazia costituzionale che disegna il nostro ordinamento giuridico, dall’alto della sua scientia iuris, pretende di cancellare con un colpo di spugna un principio di civiltà giuridica sull’altare del diritto penale simbolico; dietro l’apparente quanto fraudolenta promessa di sicurezza sociale, dietro il mantra della certezza della pena, si nasconde una scellerata politica criminale che sta progressivamente affermando il diritto penale massimo, totale, no limits. L’arroganza del potere, sordo a ogni appello della comunità scientifica, nasconde l’incapacità della politica di affrontare strutturalmente e organicamente la riforma della giustizia. Nasconde l’incapacità di confrontarsi con gli operatori del diritto sul terreno delle idee, sui binari della ragione e sugli effetti devastanti della novella, oramai prossima ad affermare il principio dell’imputato per sempre, dell’ergastolo processuale. Con tutte le intuibili macerie che si accumuleranno sul piano umano, giuridico ed economico, non solo per gli imputati, ma anche per le vittime, esposte a un ‘sistema giustizia’ inefficiente e ineffettivo.
E' necessario, allora, che il pensiero penalistico e chi lo interpreta svolgano oggi la funzione di militanza civile, di cittadinanza qualificata. Com’è stato efficacemente sostenuto da Maiello “questo non è più il tempo della cesellatura dogmatica delle categorie teoriche, questo è il tempo in cui occorre lottare per le idee, occorre lottare per i principi e difendere gli esiti che noi ritenevamo irreversibili del processo di civilizzazione delle strutture punitive che rappresentano la forma -se vogliamo- più rozza, più retriva, più reazionaria, più autoritaria, delle istituzioni pubbliche. Per raggiungere quegli esiti la storia dell’umanità ha conosciuto momenti anche drammatici; quei momenti oggi si vogliono cancellare, in vista di una riaffermazione di valori semplicisticamente primitivi. Tutto questo è uno schiaffo che noi dobbiamo neutralizzare e rispetto al quale dobbiamo mobilitare il meglio della nostra coscienza civile”.
È quanto è accaduto e sta accadendo, in questi giorni, con la maratona oratoria promossa dall’Unione delle camere penali italiane.
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