di MARCELLO FURRIOLO
Altri tempi! Verrebbe voglia di dire, dinanzi allo spettacolo modesto offerto in questi giorni dal gruppo dirigente nazionale e regionale del PD, nel corso della missione speciale affidata dal segretario Enrico Letta all’uomo per tutte le stagioni Francesco Boccia e all’eterno commissario Stefano Graziano, con il compito di trovare un candidato giusto alla guida della Regione Calabria, dopo le bizze prevedibili di Nicola Irto, stanco delle meline del suo partito.
Il tutto secondo una vecchia prassi e una residuale liturgia del vecchio Partito Comunista, che subito dopo la guerra, negli anni cinquanta e sessanta, in piena guerra fredda, si garantiva il controllo totale anche delle periferie del Partito, quando sorgevano delle grane, inviando nelle sezioni gli uomini più rappresentatitivi e di stretta osservanza del “centralismo democratico”. Questi uomini si chiamavano Mario Alicata, Alfredo Reichlin e, in circostanze particolari, addirittura Giorgio Napolitano. Arrivavano a Catanzaro o a Cosenza o a Reggio, vestiti dell’immancabile impermeabile beige a baveri alzati, richiamo non tanto velato alle missioni degli agenti del KGB, occupavano le sale del Comitato Federale, in cui campeggiava il ritratto carismatico di Vladimir Lenin, accanto a quello più rassicurante di Antonio Gramsci, sopra la mitica bandiera rossa, in un ambiente avvolto nel fumo delle tante sospirate sigarette, Super senza filtro, ma anche sofisticate Giubek. La parola veniva affidata al funzionario di partito che reggeva la Federazione o il Comitato Regionale, che di quei tempi erano figure di assoluto rilievo, come Giovanni Di Stefano o Paolo Cinanni. Si apriva un breve dibattito, con l’immancabile intervento di qualche vecchio compagno, che si vantava di conservare ancora la prima tessera con la firma del Migliore, Palmiro Togliatti. Quindi l’attesa parola dell’inviato del Comitato Centrale per le conclusioni e l’indicazione della linea vincolante per tutti. Senza replica. Questo era il centralismo democratico, anche nella sua versione ortodossa calabrese. E tutti tornavano a casa fiduciosi che il sole sorgerà ancora.
Francesco Boccia, si è presentato in Calabria per un tour che avrebbe dovuto chiarire la posizione del PD in ordine alla tortuosa vicenda della scelta del candidato del centrosinistra alle elezioni di ottobre, con l’obiettivo prioritario di far rientrare la grana Irto. Ma di questi tempi il PD tutto sa fare meno che avere una linea e allora si è verificato che, non appena atterrato in Calabria il suo amico Giuseppe Conte ha fatto sapere che il M5S è pronto a sedersi al tavolo con il centrosinistra per la scelta di un candidato unitario, con un profilo, però, esattamente opposto a quello dell’incolpevole Nicola Irto. A tarda ora di giovedì il Corriere della Sera rivela che al Nazareno, finalmente hanno avuto un colpo di genio e hanno individuato in Enzo Ciconte, l’apprezzato studioso e storico calabrese, autore di alcune delle opere fondamentali sulla criminalità meridionale e mondiale, quale candidato di superamento per la guida della più tormentata regione italiana. A questo punto che è venuto a fare in Calabria lo sbigottito responsabile degli Enti Locali, voluto personalmente da Letta? Si sa Boccia, che non ha brillato come Ministro delle Regioni nel Conte bis, non è nè Alicata, nè Reichlin, nè tanto meno Giorgio Napolitano. Non indossa vecchi impermeabili impregnati di fumo, ma ben modellati abiti di sartoria con le giuste cravatte di Marinella, frequenta i salotti della Roma che conta assieme alla sua affascinante moglie Nunzia De Girolamo, definitivamente passata dalla politica al mondo dello spettacolo televisivo. Ma sopratutto Boccia, accompagnato da uno spaesato più del solito Graziano, non ha una linea nè politica, nè elettorale per concludere positivamente la sua improbabile missione calabrese. Ed allora ecco che le conclusioni imbarazzate sono che Irto, che non può essere troppo mortificato, nè buttato definitivamente alle ortiche, viene promosso “leader della coalizione” di centrosinistra e potrà sedere alla destra del Segretario Letta agli incontri con le altre delegazioni dei partiti, compresi i cinquestelle di Conte. Sicuramente un grande onore, che lo allontana, però, definitivamente dalla strada della Cittadella, ma gli apre una speranza per il Senato alle prossime politiche. Almeno per ora. Per non fare un buco totale, Boccia tenta anche un passaggio al miele nei confronti di Enzo Ciconte, che viene invitato a dare il suo apprezzato contributo di grande intellettuale per “allargare” l’area del centrosinistra. Una toppa più sgradevole del buco. Perchè questo PD ormai brancola nel vuoto della mancanza assoluta di linea politica, che non sia quella di inseguire disperatamente l’alleanza con il Movimento di Conte e Di Maio. Senza un’idea per quello che riguarda il futuro dei giovani, nel Paese, ma principalmente in Calabria. Senza una linea credibile per quanto la giustizia, che costituisce il vero spartiacque della democrazia in un Paese, che da Tangentopoli in poi sta vivendo la stagione più oscura e inquietante per i diritti e le garanzie dei cittadini.
Eppure proprio l’individuazione di una figura come quella di Enzo Ciconte, forte di una robusta esperienza politica, di adamantino rigore morale e di profondo amore e conoscenza delle più complesse dinamiche sociali e culturali di questo territorio, finalmente potrebbe ridare fiducia e speranza a tantissimi giovani e tanti cittadini tenuti lontani dalle prassi consunte di questa classe politica. Una “lotta tribale”, come la definisce lo stesso Ciconte, con al centro non gli interessi della Calabria, ma la sopravvivenza di un ceto politico autoreferenziale e ormai ineluttabilmente avviato verso il buio della notte.
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