Marcello Furriolo: "Cortellesi arriva dove tanti anni di propaganda femminista, soprattutto della sinistra, non è mai arrivata"

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Marcello Furriolo
  12 novembre 2023 11:14

di MARCELLO FURRIOLO

 Tre donne. Non è il titolo di un racconto di Anton Cechov. Giorgia Meloni, Elly Schlein e Paola Cortellesi hanno poco da spartire con le “ tre sorelle” uscite dalla penna e dalla fantasia del sommo scrittore russo.

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Potremmo dire che si tratta dell’ “esergo”, la sintesi del momento assai complesso che sta vivendo la società italiana. Accanto a noi divampano due guerre sanguinarie e sconcertanti, che mettono a dura prova gli equilibri su cui si fonda il modello di convivenza pacifica faticosamente costruito nel dopoguerra. In Italia si vive uno dei momenti più complessi dal punto di vista economico e sociale per il peso di una congiuntura europea e mondiale che mette in gioco la tenuta democratica del paese e fa dei nostri confini il primo attracco all’assalto di migliaia di disperati senza patria e senza futuro. E  sempre più lunga e angosciante e’ la stagione dei diritti negati e delle violenze alle donne e ai più deboli.

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In questo contesto tre donne si trovano a recitare un ruolo decisivo nella vita civile e culturale del Paese. Forse loro malgrado. Sicuramente è la prima volta nella nostra storia che tre donne  vivano da protagoniste, anche se con sensibilità, storie e culture diverse, una fase di cambiamento così significativo della nostra comunità.

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Giorgia Meloni è la prima donna eletta alla guida del Governo italiano dalla nascita della Repubblica. Ed è la prima donna a capo di una coalizione di destra, con una militanza nelle piazze e nelle sezioni del partito di Almirante, ma anche di Fini e Tatarella, a debita distanza da quelle frange estremiste, che hanno attraversato le cronache dell’eversione in una tragica e sanguinaria competizione con le BR e con il movimentismo rosso. Di quella storia Giorgia Meloni ha tratto la grande padronanza del linguaggio, dei gesti e delle posture che la rendono leader naturale e carismatica, capace di conquistarsi spazio e credibilità nei salotti, assai selettivi e prevenuti, della politica internazionale, dopo i primi mugugni e perplessità specie, al solito, di francesi e tedeschi. E quando necessario ha saputo sacrificare il privato alle regole della politica. Di fronte alla eccezionalità della situazione internazionale, il Premier ha scelto di alzare sensibilmente la posta sul tavolo politico nazionale, ricercando una soluzione esterna all’intricato problema dell’immigrazione e degli sbarchi, in un patto a due con l’Albania di Edi Rama, che si presta alle più estreme letture e che comunque è ultroneo rispetto agli impegni e alle declamazioni preelettorali. E, come se non bastasse, ha aperto in modo accelerato il percorso delle riforme costituzionali con l’ipotesi di Premierato con elezione diretta del Capo del Governo. In un nuovo assetto istituzionale con il Presidente della Repubblica eletto dal Parlamento e il Presidente del Consiglio dalla maggioranza degli elettori. Una sfida che prima di lei hanno perso personaggi del calibro di Berlusconi, D’Alema e Renzi e che, pur rispondendo ad una avvertita esigenza di stabilità del sistema di governo, che in 77 anni di storia repubblicana ha visto susseguirsi 68 Presidenti del Consiglio, tuttavia non costituisce la domanda prioritaria nei desiderata degli italiani per uscire dal tunnel della crisi sociale e la disaffezione per la politica.

Appare in chiara difficoltà nel leggere la complessità dell’attuale situazione nazionale e internazionale il Capo dell’opposizione e Segretario del PD, primo partito della sinistra: Elly Schlein, giovane donna con tre passaporti, grande padronanza delle lingue che contano, multigender nella vita intima e profeta dell’ armocromia, catapultata il 13 marzo scorso nella palude congressuale del PD di Bonaccini e Letta. Senza tessera di Partito ha promesso la rivoluzione, il cambiamento, un nuovo corso nelle imborghesite stanze del Nazareno, in cui il mantra degli ultimi anni è stato: l’importante non è vincere le elezioni, ma governare. Dopo questi mesi l’impressione è che il messaggio di Elly sia solo un urlo identitario più che il lancio di una sfida politica ad una destra che, in queste condizioni, sembra destinata a consolidare il suo primato elettorale, già dalle prossime europee. E anche la manifestazione di ieri a Roma, che doveva segnare la riconquista della piazza da parte della sinistra, è stata costruita in modo decisivo con il soccorso della CGIL e poco entusiasmo degli iscritti, che appaiono disorientati dall’inseguimento della Segretaria alle posizioni estreme di Conte e dei suoi Cinque Stelle. Così la Schlein rischia di perdere anche il riferimento con quel mondo dei diritti, su cui ha concentrato la sua opposizione al femminile alla Meloni. La sua ambiguità paragiustizialista, la timidezza nella linea sulla Palestina, la contraddittorietà sulla politica dell’emigrazione e, soprattutto, l’incapacità di pensare un modo attuale per disegnare il ruolo della donna, con i suoi diritti e la sconfitta culturale della violenza di genere, che non si esaurisca nella ricerca di nuove fattispecie di reato e inasprimento delle pene, stanno facendo perdere a Elly Schlein la chance di essere la vera alternativa democratica a Giorgia Meloni nel futuro del paese.

Come una meteora luminosa è apparsa in questi giorni sulla scena, non solo dello spettacolo cinematografico, una giovane donna, una brava attrice, Paola Cortellesi, che si è improvvisata regista con uno spiazzante “ C’è ancora domani ”, coraggiosamente  in bianco e nero, che sta sbancando i botteghini dei cinema italiani. Il film rappresenta in modo semplice ma efficace, suggestivo e a volte poetico, l’Italia in cui da poco sono cessati i rombi dei cannoni  e degli aerei da guerra, ma vigilano compiaciuti i militari americani nei caseggiati popolari di una Roma che si risveglia all’alba della democrazia. Che si anima della voglia di riconoscersi in una comunità finalmente libera e pronta a lottare con dignità contro le nuove disuguaglianze e le vecchie povertà. E si sprigiona anche la grande voglia di libertà di Delia, che vuole sfuggire alle violenze e alle sottomissioni familiari e conquistarsi lo spazio di donna, a partire dal suo ruolo di cittadina. Siamo nel 1946 con le prime elezioni a suffragio universale a cui decide di partecipare Delia/Cortellesi,  sfuggendo agli schiaffi e alle umiliazioni del marito per realizzare la sua rivoluzione, la sua emancipazione. Scrivendo con il sacrificio, la pazienza, la determinazione, il coraggio un vero trattato di femminismo vissuto, con il linguaggio di un nuovo “neorealismo” civile e culturale.

Cortellesi arriva con il suo film dove tanti anni di propaganda femminista, soprattutto della sinistra, non è mai arrivata e racconta una comunità che crede con forza e fierezza che c’è ancora domani.

Paola Cortellesi, senza essere una politica come Meloni e Schlein, dimostra ancora una volta che l’arte, la cultura, nelle sue espressioni migliori, arriva direttamente nei cuori e nella testa della gente e il suo messaggio di liberazione e di bellezza è più forte di qualsiasi programma politico e di partito.      

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