di MARCELLO FURRIOLO
La sera ci vedevamo all’Uno più Uno. Non è il titolo di un romanzo della nostalgia, né di una serie streaming. E’ la sintesi di una stagione esaltante della vita della città. Ma anche della nostra generazione. Entrambe definitivamente passate. E non è colpa di nessuno. Solo del tempo.
Stagioni in cui Alfonso Muleo, affettuosamente Fofò, era uno dei protagonisti. Punto centrale della vita sociale della Catanzaro, a cavallo di un ventennio straordinario, i fantastici anni 70 e 80 in cui la città ha conosciuto una irripetibile fase di sviluppo civile e sociale.
Fofò era poliedrico giovane operatore economico, impegnato in politica all’interno dell’Amministrazione Comunale, ma soprattutto nel mondo sindacale in rappresentanza delle categorie commerciali, che lo porteranno, meritatamente, alla guida prestigiosa della Camera di Commercio, la cui presidenza era stata appannaggio di personaggi di grande spessore politico e umano come il senatore democristiano Elio Tiriolo.
Ma il vero capolavoro di Muleo fu la creazione, assieme ad una figura geniale di imprenditore e di politico come Vittorio Nisticò, socialista e appaltatore edile, di un gioiello unico e irripetibile come il ristorante bar Uno + Uno, all’interno della Galleria Mancuso, nel cuore della città.
Fofò democristiano, Nisticò socialista interpretavano la perfetta coalizione politica che governava, con risultati apprezzati, tutte le istituzioni locali. Caratteri diametralmente opposti: Vittorio esuberante, personalità debordante, burbero benefico, intelligente e ingegnoso, Alfonso concreto, riflessivo, resiliente, grande galantuomo, di buon gusto sopratutto in cucina. Insieme realizzarono l’unico e l’ultimo ristorante nel centro storico del dopoguerra, con il culto della ristorazione di qualità ereditato da Vittorio dalla madre la favolosa Donna Cecilia, personaggio mitico che aveva animato il 21R a Piazza Roma nel dopoguerra. Ma l’Uno+Uno è stato un’altra cosa. Non solo dal punto di vista della ristorazione, quando non esisteva il fast food o, come oggi la città non era invasa di locali improvvisati, che durano lo spazio di una notte e sono incentivati da una logica che premia il mordi e fuggi e la movida fracassona.
L’Uno+Uno di Fofò e Vittorio si è guadagnato un posto insostituibile nella storia dell’accoglienza e della ristorazione della città. In quei favolosi locali adorni di palissandro e sfumata moquette, arredati con grande cura e appropriatezza di colori e calore dal grande Pino Casale, si consumavano i pasti e le cene che oggi avrebbero trovato spazio nei migliori menù degli chef stellati. Gli “spaghetti all’Uno+Uno” elaborati dal fantastico Mimmo o la crema chantilly preparata dallo straordinario pasticciere Nando Tafuri hanno accompagnato serate memorabili, che fanno parte del vissuto della migliore gioventù catanzarese nella lunga stagione in cui Catanzaro aveva una qualità della vita pari alle grandi città come Roma e Milano. L’Uno+Uno era l’omologo del ristorante Al Moro di Vicolo delle Bollette a Roma, dove gli stessi abituè catanzaresi si ritrovavano nelle frequenti vacanze romane e gli spaghetti di Mimmo se la battevano con la carbonara del Moro.
Ma l’Uno+ Uno in versione bar era anche il punto di riferimento e il luogo di ritrovo serale per studenti del Liceo Galluppi, giovani professionisti, imprenditori, politici che salivano e scendevano le scale che portavano alla frequentatissima sede della Democrazia Cristiana del Commendatore Vitale e oggi melanconica sede di un mediocre compromesso storico logistico tra il PD e un rabberciato Nuovo Udc in cerca d’autore.
L’Uno+Uno è stato anche luogo di incursioni mirabolanti, tra poesia musica e interminabili bevute di Piero Ciampi, con l’indimenticato fratello Roberto e Pino Pavone, l’ultimo cantore di una città perduta.
Ma sopratutto teatro e palcoscenico della meravigliosa stagione della Serie A di Ceravolo e Seghedoni, in cui all’Uno+Uno si decidevano i destini di allenatori e centravanti. E si improvvisavano trasferte romane, al seguito dei giallorossi di Palanca e spensierati intrecci di amori e pallonate, anche in fuori gioco, passioni libere e coraggiosi dribbling al bigotto provincialismo.
Elio Colosimo era il simbolo di una gioventù brillante, senza complessi, smisuratamente simpatico, fascista e sodale di Giorgio Almirante in una stagione in cui si poteva essere seriamente amici senza essere obbligati a fare professione di antifascismo. Elio imperversava in mezzo al guado dell’affetto e della polemica politica con Alfonso Pucci e Agazio Loiero.
Fofò governava con garbo e acuta saggezza la comunità che cresceva all’interno della Galleria Mancuso al top della sua vitalità.
A destra del ristorante era il regno indiscusso delle signore bene di Catanzaro, che si affidavano alle cure estetiche sofisticate di Concettina, depositaria assieme al marito Carlino, di tutti i segreti più intimi delle donne più invidiate della città. Scendendo alcuni gradini a sinistra dell’Uno+Uno esercitava con garbo e tanta disponibilità, il giovane figaro Gaetano sulle cui poltrone sono passati tutti i personaggi più in vista della città e circolava il gossip più spinto, sotto il controllo arguto, profondo e intelligente del vero dominus della Galleria in quella straordinaria stagione, il grande Giovanni Squillace. Uomo dalle mille risorse, imprevedibile e generoso, con lui un dopo cena poteva concludersi con un viaggio improvvisato a Parigi al Lido, ballerine e champagne.
Elegante e raffinato, di intelligenza e simpatia senza confini, grande collezionista d’arte Giovanni incontrava un limite alla sua esuberante vitalità solo nello sguardo sorridente e sornione di Marcella, sua straordinaria compagna della vita. Forse troppo presto dimenticati.
Occupavano storicamente gli altri locali la frequentatissima Profumeria Miceli, l’Agenzia Viaggi di Gabriele Tauro che vendeva biglietti aerei e regalava tanti sogni a buon mercato.
E poi l’eterno Papavero Blu dell’inossidabile Angelo Orlando, nel cui deposito custodisce ancora un vero museo della Moda italiana a cavallo di due secoli.
Ma il luogo più ricercato della Galleria era la storica Libreria Giuditta, che Mario Giuditta, impareggiabile e raffinato intellettuale. editore e promotore d’arte, aveva realizzato trasferendo a Catanzaro atmosfere culturali di New York e della Parigi del Nouveau Realisme di Pierre Restany e dei boulevard di Nicola Simbari, ma sopratutto contribuendo in maniera decisiva a far conoscere al grande pubblico Mimmo Rotella, anche nei momenti complicati della vita del grande artista catanzarese.
Alfonso Muleo, con la sua discrezione, intelligenza e saggezza era il punto di riferimento anche del mondo dell’imprenditoria sana catanzarese, Che proprio al primo piano del palazzo all’ingresso della Galleria, negli uffici della Strimes di Raffaele Amato, aveva il punto di ritrovo per uno sguardo motivato e interessato sulla politica, gli affari e lo sport. L’avv. Giuseppe Talarico, Guglielmo Papaleo, Gioacchino Carrozza, l’avv. Nicola Ceravolo, il cav. Giovanni Colosimo, Giovanni Squillace in quelle anguste stanzette hanno tracciato, con passione, spirito visionario e grande amore per questa terra, partendo dall’Us Catanzaro, l’immagine di una città moderna, disincantata, all’avanguardia non solo in Calabria, per qualità della vita, rispetto della persona umana e dei valori della libertà.
Alfonso Muleo era in quegli anni il fedele custode di quel mondo che si proiettava fuori dalla Galleria Mancuso.
Poi fu il buio della notte, del declino e dell’abbandono.
Oggi l’Amministrazione Comunale cerca di ridare vita a quel mondo e combattere il degrado attraverso interventi edilizi di manutenzione straordinaria.
Ma sarà difficile, se non impossibile, ricreare un mondo fatto di passione, intelligenze, cultura, elevata sensibilità ad una qualità della vita cosmopolita di uomini che hanno segnato gli anni più significativi di questa città.
Quello che può fare oggi l’Amministrazione Comunale e l’intera comunità è non disperdere la memoria di quegli anni e sopratutto l’esempio di uomini come Alfonso Muleo, che ha dedicato tutto se stesso ai destini della sua Catanzaro. Per sempre indissolubilmente legato a Maria, splendida compagna di una vita, amata e rispettata “come una dea“.
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