La recensione di Marco Calabrese: "Cavalleria e Pagliacci al Politeama: troppi errori"

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images La recensione di Marco Calabrese: "Cavalleria e Pagliacci al Politeama: troppi errori"

  27 novembre 2023 07:59

di MARCO CALABRESE

L’opera lirica è oggetto di ammirazione per molti quasi ossessiva - i melomani per esempio - per altri suscita un totale disinteresse, e alcuni per passare una serata diversa scelgono un palco all’opera. L’Italia, patria dell’opera e specificatamente del melodramma, avrebbe un obbligo categorico nei confronti di questa arte: diffonderla in maniera capillare e intensa ovunque, indistintamente; in teatro, nelle scuole, nei cinema. Assistiamo invece ad un disinteresse sempre maggiore, e diversamente da quello che accade all’estero, l’opera diventa il posto di ritrovo di persone adulte, e raramente frequentata da giovani, che come abbiamo avuto il piacere di constatare, nei teatri d’oltralpe affollano le platee e i palchi con il loro atteggiamento curioso e a tratti impacciato, che suscita sempre una infinita tenerezza!

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I teatri d’opera in Italia, esclusi i colossi che sfornano opere forse più per marketing che per reale interesse, hanno poco cartellone e propongono poca opera. Va detto che i costi di produzione sono comunque alti: solisti, coro, orchestra, direttore e regista, e poi costumista, scenografo, truccatori, maestranze tecniche e di palco… una macchina gigantesca, se paragonata al teatro di prosa. Per fortuna di tanto in tanto spunta qualche titolo, nato in collaborazione con altri teatri o associazioni. E questo è stato il caso di Cavalleria rusticana e Pagliacci proposte nella serata del 25 novembre al Teatro Politeama di Catanzaro, grazie alla collaborazione della Fondazione Politeama e Sicilia Classica Festival. Facendomi portavoce dei molti appassionati di opera, esplicitiamo la nostra gratitudine al Teatro e a tutti quelli che si sono spesi nel proporre questi due titoli di “repertorio” del teatro d’opera. Alcune riflessioni però vanno fatte.

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L’opera si basa su un testo che viene musicato. Quindi il racconto, amplificato dalla musica, deve trovare altrettanto riscontro nel prodotto visivo, composto da scenografia e movimenti scenici (coreografia). Se il coro inneggia al Cristo risorto (“Inneggiamo il Signor non è morto, inneggiamo al Signore risorto”) e lo stesso Mascagni aveva previsto prima un coro fuori scena - esattamente un interno che proviene dalla chiesa - a cui il popolo in piazza si accoda, intanto che esce dal sacro tempio la statua del Cristo risorto, vorremmo vedere la statua in questione, e non quella della Madonna addolorata vestita di nero, tipica della processione del venerdì santo! L’opera si svolge il giorno di Pasqua. Sarà stata una svista, ma non è l’unica. Il coro-popolo fatto di contadini e gente semplice e umile, quasi in apertura dell’opera canta la fine del lavoro nei campi, e gli uomini provati dal duro lavoro, raggiungono le loro belle dagli “occhi di sole” con un trasporto musicale così ben dettagliato e accorato.

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Scenicamente abbiamo visto due gruppi distinti: gli uomini a destra, le donne a sinistra (che poi sarà sempre così in tutta l’opera!) che non interagivano tra loro… con nostra grande delusione. E intanto che le voci si intrecciano la staticità dei coristi regna sovrana, intanto che sei ballerine e tre ballerini, eseguono dei movimenti coreografici per nulla attinenti, accompagnati spesso da un nervoso e ripetitivo segno della croce, che ricorda, ma con il risultato di scimmiottare, i lavori teatrali di Emma Dante. I cantanti, seguendo le istruzioni registiche, non usano il proscenio e cantano proprio all’interno del palcoscenico, dove la voce resta imbrigliata dalle quinte di sforo. E allora, altra trovata poco geniale: microfoni posizionati sul palco che amplificano (in malo modo) le voci. E per fortuna che il regista Francesco Ciprì, come si legge dal programma di sala, è un cantante d’opera! L’orchestra spesso scollata, gli archi non sempre insieme; il direttore Aldo Salvagno cercava invano di tenere assieme buca e palco. 

Il dolcissimo “Intermezzo” ha visto in scena una croce trascinata a braccio, seguita dal coro con candele in mano… Ci ha ricordato Fantasia di Walt Disney; la celebre scena con l’Ave Maria di Schubert. Siamo esseri umani, e l’errore fa parte del nostro vivere; ma un errore clamoroso è stato fatto dalle Signore del coro che hanno attaccato il concitato coro “A casa, a casa” assieme ai Signori, per poi zittire e spegnere con non poco imbarazzo la grossolana svista dopo alcune battute. Questa è solo una piccola parte di un racconto che potrebbe risultare troppo lungo, e quindi non vogliamo affrontare un'analisi più attentamente musicale (e ce ne sarebbe da dire molto!), e intavolare le nostre considerazioni sull’altra opera: i Pagliacci. Non me ne si voglia se queste mie riflessioni non piaceranno risultando una critica evitabile o da “non fare”. Il teatro, che nella sua natura ha sempre suscitato discordie, veementi diatribe o solo e educati confronti, è anche questo. E lo si dice perché ci si augura che la prossima volta non si incorra negli stessi errori. Un po’ di attenzione in più, un'adeguata lettura del libretto, e un maggior numero di prove di assieme per stabilizzare la prestazione artistica di tutti, renderebbero lo spettacolo meno sempliciottto e scolastico di quello a cui abbiamo assistito.

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