di MARIA GRAZIA LEO
Il 25 maggio di 100 anni fa nasceva a Sassari, da una storica famiglia della borghesia liberale, una personalità che -insieme ad Aldo Moro- ha segnato la vita politica, i destini, le speranze di cambiamento di un paese inteso nella sua trasversalità, dalle istituzioni, alla società, dal mondo produttivo alla cultura, dalle famiglie alle singole persone e soprattutto ai giovani: Enrico Berlinguer, “il piccolo sardo muto” si disse di lui ma che poi alla fine tanto muto quel sardo non si rivelò -anzi- eccome… e se… e quanto parlò…Ma andiamo con ordine.
Nasce da Mariuccia Loriga e Mario Berlinguer un rispettato avvocato e politico democratico e antifascista. Sembrerebbe indirizzato ad una vita serena, tranquilla, carica dell’amore familiare essendo egli il primogenito ed invece la sofferenza si presenterà presto nella sua infanzia; sua mamma si ammalerà gravemente e resterà presenza silenziosa nella casa per ben 10 anni, incapace di intendere, di parlare, di muoversi. Enrico quindi, crescerà solo tra gli affetti del padre, della nonna, degli zii e delle zie paterne che non gli faranno mancare nulla. Diventerà un ragazzo colto che si formerà nel Liceo Classico sassarese “Azuni” e successivamente s’iscriverà alla Facoltà di Legge con buoni profitti anche se poi non concluderà gli studi; stava preparando la tesi di Laurea su Filosofia e Filosofia del Diritto da Hegel a Croce e Gentile quando la politica lo travolse, lo contagiò -idealmente tanto- che scelse di seguirla con una passione e una dedizione, ineguagliabile. Sono gli anni della seconda guerra mondiale e lui segue gli eventi, ascoltando radio Londra o incontrando qualche sovversivo; respira -quindi- gli ideali liberali, democratici e antifascisti di papà Mario, iscritto al partito d’Azione prima e dopo la guerra a quello socialista.
A guerra appena finita, con la morte di Mussolini ma con il fascismo non ancora sconfitto definitivamente, il Partito comunista italiano viveva in clandestinità ed Enrico Berlinguer vi si iscrive nel 1943 formando un circolo giovanile – la Gioventù comunista- L’Italia è spaccata in due: il Sud è stato liberato dagli anglo-americani, il Nord è sotto il controllo tedesco e l’isola della Sardegna vive in piena povertà ed isolamento, manca tutto…il pane, la farina , il carbone , i medicinali, il sapone ecc.…che restano privilegi per pochi e per i gerarchi fascisti che ancora comandavano. Ed è in questo contesto che inizia la storia politica di Berlinguer, con un atto di ribellione, la sua partecipazione ai moti del pane al saccheggio dei forni e dei luoghi dove erano nascoste le provviste ed i beni di prima necessità nel 1944. Enrico ed i suoi compagni verranno arrestati e trattenuti in carcere per 3 mesi, per tutelare l’ordine pubblico e preservare da un attentato la vita del Prefetto. Con le conoscenze del padre poteva uscire subito dalla galera ma rifiutò e preferì uscire insieme agli altri compagni, cosa che avvenne in seguito dopo essere stati tutti prosciolti. Una ribellione che manifestò anche individualmente, in occasione di una molestia subita da un fascista, qui Enrico reagì decisamente spaccandogli la chitarra in testa. Un piccolo sardo muto ed anche un giovane ribelle …teniamo sempre in mente questo fermo immagine! La decisione di Berlinguer di non continuare gli studi universitari se crea da un lato una delusione in famiglia per non poterlo vedere come un affermato Avvocato, dall’altro genera orgoglio per l’avventura politica che il giovane comunista di Sassari si sarebbe apprestato a compiere. Egli vuole essere presentato -tramite l’intervento del papà Mario che era stato suo compagno di studi- al Segretario nazionale del Pci, Palmiro Togliatti. Così la svolta avviene nel 1944, in una Roma oramai divenuta città liberata dai fascisti, Enrico si presenta in via Nazionale -sede di allora del Partito comunista- e si mette subito a lavorare ad orario continuato, con un gruppo di giovani compagni e ad una paga di 400 lire al mese. Si occupava del Fronte della Gioventù comunista che coinvolgeva tutte le organizzazioni partigiane. Sempre infaticabile ma non per questo non si riservava momenti spensierati, in allegria con gli amici, dalla partita a calcetto organizzata nel cortile della sede del partito, a serate al cinema o in pizzeria. Era inoltre un appassionato di musica e di buone letture. Ma il suo hobby preferito era il mare! Amava molto il mare e la “sua” Stintino, meta preferita in cui si rifugiava- nel corso degli anni- per riposarsi dall’intensa attività politica, dedicandosi alle sue desiderate e rilassanti uscite in barca a vela.
I suoi compiti lo portarono anche a fare la spola tra Roma e Milano città in cui conobbe Gillo Pontecorvo e Giancarlo Pajetta. Quando tornava nella capitale lo si vedeva sulla sua potente Harley Davidson, cosa che poi il partito gli proibì di fare per motivi di sicurezza. Questo è l’ultimo episodio di vita privata di Berlinguer conosciuto dal pubblico. D’ora in poi Enrico ed il partito diventano una cosa sola, una cosa unica. Assisteremo ad una netta separazione tra vita privata e vita pubblica. Nel 1944 nasce al posto del Fronte della Gioventù comunista, la F.G.C.I (La Federazione giovanile comunista italiana) della quale Berlinguer sarà segretario fino al 1956:” Noi non vogliamo educare dei monaci, se pensassimo come monaci che la terra è una valle di lacrime, che siamo nati per soffrire…noi sappiamo che la terra può diventare una valle di gioie, di sorrisi per tutti e siamo comunisti per questo”. Il -piccolo sardo muto- inizia a farsi conoscere… Al primo Congresso dei comunisti usciti dalla clandestinità Enrico vi partecipa e viene inserito da candidato nel Comitato centrale, composto da 70 persone, fino a divenire alla sola età di 26 anni -in rappresentanza dei giovani del Pci- componente della Direzione nazionale del partito. È una carriera politica in ascesa la sua ma c’è anche il tempo di una pausa, da riservare ai sentimenti e per costituire famiglia. Si innamora e poi sposa nel 1957 Letizia Gaulenti, una donna caratterialmente opposta, esuberante lei- schivo lui, estroversa lei- introverso lui, di compagnia lei-riservato e tranquillo lui…ma è un amore grande il loro, rispettoso delle idee reciproche e fondato su un rapporto paritario e su una stima profonda.
Nel 1958 ritorna in attività -a tempo pieno- nel partito, entra nella segreteria nazionale e affianca il vice segretario Longo con compiti di coordinamento delle varie Sezioni del Lavoro. Nel 1962 è nominato responsabile dell’ufficio di segreteria e lavora intensamente e a stretto contatto con il Segretario nazionale fino al 1964 anno in cui Togliatti morirà.
Nonostante il desiderio di continuare ad occuparsi solo di politica all’interno del Pci, Berlinguer viene candidato per la prima volta nel 1968 e poi nelle successive legislature in Parlamento, alla Camera dei deputati dove verrà eletto con una stragrande preferenza dagli elettori- rispetto ai compagni di partito già rodati- da Longo ad Ingrao, da Amendola a Pajetta. Nel 1968 diventa vice segretario nazionale fino al raggiungimento dello scranno più alto-nel 1972- quando la malattia che aveva colpito il segretario Longo portandolo a rassegare le dimissioni, spingerà il partito a scegliere per acclamazione all’età di 50, proprio lui “il piccolo sardo muto”, “il giovane ribelle”, il colto, il mite, il timido per la sua impareggiabile discrezione: si proprio lui Enrico Berlinguer, il segretario dal sorriso dolce ma dai valori saldi come la moralità, l’onestà, l’intransigenza, la responsabilità. Alla base della sua azione c’era solo l’interesse generale, il bene comune. Alla domanda su quale fosse la sua principale qualità, in una famosa intervista dichiarò: “quella di essere rimasto fedele agli ideali della mia gioventù e non amo sentir dire che sono un uomo triste, perché è un’affermazione che non corrisponde al vero”. Ma Enrico aveva un’altra qualità che mise a disposizione del partito quella della mediazione, che applicò nel dirimere lo scontro in atto a seguito della scomparsa di Togliatti, tra l’ala della destra di Amendola che parteggiava per promozione di un partito socialista che facesse da collante a tutte le ramificazioni della sinistra italiana e l’ala di Ingrao più movimentista che propendeva per un’alleanza con i gruppi della sinistra rivoluzionaria. Su questo Berlinguer intervenne nettamente e ricompose il partito: “Occorre applicare tolleranza ed evitare esasperazioni, preservando democrazia e unità politica”. Con la sua segreteria il Pci conquista alle amministrative del 1975 le grandi città da Milano a Roma, da Venezia a Napoli da Bologna a Firenze. È il periodo più bello e gratificante di successi politici, ottenuti grazie al lavoro zelante e proficuo di Berlinguer fino alla sconfitta alle politiche del 1979, in cui i comunisti persero un milione e mezzo di voti. Gli anni settanta sono bagnati dal sangue del terrorismo rosso e nero e l’anno più tragico e drammatico per la democrazia e la Repubblica italiana è il 1978 nel quale domina tragicamente il sequestro e l’omicidio del Presidente del Dc Aldo Moro di cui abbiamo già parlato in occasione della Giornata della memoria, con tutte le conseguenze che ne sono poi derivate- Ma qui è doveroso ricordare anche il pensiero di Enrico Berlinguer sul fallimento del compromesso storico che fu l’esempio più alto, più autentico di offrire un’alternativa politica al governo del paese, attraverso l’incontro ed il dialogo tra due grandi forze popolari la Dc ed il Pci delle quali Moro e Berlinguer ne erano garanti. Egli così sentenziò: “E’ fallita la caricatura che ne hanno fatto del compromesso storico, presentandolo come una pura formula di governo, peggio come un accordo di potere tra noi e la Democrazia cristiana”. Egli credeva fortemente nella bontà e nella serietà del progetto di costruzione di un governo di solidarietà nazionale tanto che mise tutto se stesso per rendere credibile e rassicurante il suo partito come forza legittimata a diventare partner di maggioranza nell’esecutivo della Repubblica. Ma quel filo di speranza si spezzò prima, tranciato dal piombo delle P 38 e non solo. Anche sul piano della politica estera Berlinguer si distinguerà per il coraggio, per le idee innovative che avvicineranno il Pci più verso l’Europa dell’Ovest e il cappello protettivo dell’alleanza atlantica che verso l’Europa dell’est e dei paesi del socialismo reale, legato all’Unione Sovietica. Basta ricordare quando nel 1969, in veste di vice segretario, prende parte alla Conferenza internazionale dei comunisti ed esprimerà il dissenso dei comunisti italiani nei confronti della politica stalinista e da segretario nazionale -nel 1975- sancisce la rottura, “lo strappo” con Mosca, criticando la forte ingerenza sovietica nella politica dei partiti europei di matrice socialista e comunista; da qui l’idea di percorrere la strada dell’Eurocomunismo attraverso la quale si sarebbe potuta affermare una vera autonomia dei partiti suddetti, dall’Urss. L’intuizione di costruire una società socialista nei paesi capitalisti con riforme economiche e sociali conseguenti, nel rispetto delle democrazie parlamentari, non era un’idea sbagliata semmai è stata troppo nuova, anticipatrice per quei tempi e per certi apparati di partito “culturalmente” conservativi e refrattari ai cambiamenti. Tant’è che la via dell’Eurocomunismo venne poi abbandonata per i contrasti di vedute che coinvolsero i tre segretari dei rispettivi paesi socialisti e comunisti più forti numericamente in Europa, Francia, Spagna e Italia.
Non possiamo chiudere questo non esaustivo viaggio nella vita politica e privata di Enrico Berlinguer senza non toccare un punto che è stato fondamentale nel sentimento e nel suo agire politico: la questione morale. Di fronte agli scandali giudiziari che imperversavano -in Italia- dallo scandalo Lockheed ( pagamento di tangenti a politici, ministri, faccendieri per favorire la fornitura di aerei da trasporto, ricevuti dall’Aeronautica Militare ) allo scandalo e al fallimento del Banco Ambrosiano, alla scoperta della P2 – massoneria deviata con finalità eversive-, allo scandolo legato al cattivo uso di fondi destinati in Irpinia, dopo il terremoto del 1980, alla lotta intestina tra le correnti di partito finalizzate ad aumentare il potere più che ad affermare l’interesse generale prima che di quello di partito, il Segretario del Pci nella storica intervista concessa al Direttore de “La Repubblica” Eugenio Scalfari, parla chiaro e forte e testualmente afferma:” i partiti sono macchine di potere e di clientela, noi vogliamo che i partiti cessino di occupare lo Stato”. Sembra una profezia quella che Enrico denuncia e pronuncia, il segno di un sistema già malato e colluso che scoppierà negli anni delle inchieste giudiziarie di Mani Pulite del 1992. Se solo -allora- si fosse ascoltato bene e seguito con responsabilità e oculatezza il disarmante e accorato appello di Berlinguer, probabilmente tutto quello che sarebbe successo negli anni novanta non avrebbe mai avuto un impatto così devastante sulla tenuta politica, etica e sociale dell’Italia. Per Enrico la morale doveva essere messa al primo posto, poi veniva la politica, la lotta di classe. Con lui e grazie alla sua empatia assisteremo negli anni della sua segreteria ad un avvicinamento e ad una convinta adesione al Pci di italiani, cittadini che pur di sinistra non si sentivano di appartenere alla linea politica della dittatura del proletariato o alla nazionalizzazione dei mezzi di produzione e al partito unico…ed erano orientati verso il modello occidentale/europeo ma che vedevano positivamente nel Pci un modello di riferimento a difesa degli ultimi, delle classi disagiate, dei diritti civili, dei diritti umani.
Questo è stato il pensiero o meglio questi sono stati i pensieri lunghi-precorritori del riformismo odierno- di un “piccolo sardo muto”, di un “giovane ribelle” di un grande uomo, italiano e “comunista” che ha servito la politica fino alla fine dei battiti del suo cuore, accasciandosi, colpito da un ictus cerebrale -in quel 7 giugno del 1984 - sul palco di una piazza di Padova, mentre teneva un comizio in vista delle elezioni europee…non prima però di aver proferito il suo testamento ideale, con la passione e la tenacia di sempre: << Vi invito compagni e compagne ad impegnarvi tutti con lo slancio che i comunisti hanno sempre dimostrato…lavorate tutti casa per casa, strada per strada, azienda per azienda, ho la fiducia che la nostra causa che è la causa della pace, della libertà, e del lavoro …>> Le sue ultime parole, l’ultimo e più bel regalo che Enrico Berlinguer ci abbia potuto e saputo lasciare, nonostante il dolore e la malattia fulminante iniziasse ad invadere il suo fisico e la sua mente. Si spegnerà dopo 4 giorni di coma l’11 giugno…ma quello che succederà il 13 giugno -a Roma in Piazza S. Giovanni- giorno dei suoi funerali, sarà un’altra lunga ed emozionante storia che merita di essere raccontata a sé. Per ora lasciamo che Enrico ancora viva nei nostri ricordi più caldi, più veri, più attuali, perché il suo pensiero è un pensiero che non muore.
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