Maria Grazia Leo: "Se migrare è un diritto, salvare è un dovere"

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images Maria Grazia Leo: "Se migrare è un diritto, salvare è un dovere"

  12 marzo 2023 18:00

di MARIA GRAZIA LEO

“Ancora una volta non ci hanno visti arrivare” …parafrasando una frase molto in voga in questi  giorni, (usata per motivi squisitamente politici che qui non analizziamo) a due settimane dal naufragio di migranti -avvenuto domenica 26 febbraio- sulle coste calabre di Steccato di Cutro, potremmo dire che chi di dovere o non li ha proprio visti arrivare, o si è girato colposamente, per errore o sottovalutazione dall’altra parte… non cercandoli, non trovandoli, non salvandoli dalle onde tempestose. Che cosa è successo ci chiediamo attoniti e sgomenti perché e come è potuto accadere ciò?

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Abbiamo ancora il cuore colmo di dolore e gli occhi pieni di lacrime, ogni volta che rivolgiamo lo sguardo e accendiamo i nostri ricordi verso quella tragedia che ad oggi conta 79 morti in mare, 80 superstiti e tanti dispersi.

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Ci sono volute 7 ore, da quando l’aereo dell’agenzia europea Frontex ha avvertito le autorità italiane di competenza dell’avvistamento di un barcone di legno che pur essendo inizialmente stato segnalato in un buon stato di galleggiabilità, con forte presenza termica a bordo, e senza salvagenti visibili sarebbe -poi-nel corso delle ore successive andato incontro ad un mare forza 4 o se non di più forza 7, per rendersi conto a strage avvenuta del dramma posto in essere. Sette ore di inspiegabili incertezze, sette ore di incredibili attese, sette ore di probabili falle, sette ore di presunti rimpalli di passaggi di consegne, sette ore di incomprensibili momenti di indecisioni nello stabilire il passaggio da un burocratico controllo o procedura di polizia a scopo di ordine pubblico e sicurezza ad una scontata- ci permettiamo di alludere- e immediata operazione di ricerca e salvataggio di migranti- o per meglio dire- semplicemente di vite umane. Ricerca purtroppo mai avviata, forse mai pensata, magari solo sussurrata nella catena di comando che ha visto inizialmente protagoniste, da un lato la Guardia di Finanza con due unità operative in mare poi rientrate perché impossibilitate nel controllo di polizia a causa delle avverse condizioni climatiche, e dall’altro lato come attore non protagonista la Guardia Costiera, passiva fino a naufragio avvenuto. Come mai? È stata avvertita la Guardia costiera o non è stata avvertita e se sì quando ed in che termini? Sapeva o ha sottovaluto la presenza di migranti in pericolo, su quel barcone? Se i dubbi restano e le domande sono tante, urgono e necessitano altrettanto risposte chiare di verità e giustizia. Di certo si sa che nessuno ha aperto una pratica di evento Sar (soccorso in mare) nella notte tra sabato 25 febbraio e la prima mattina della domenica seguente. Eppure il Piano nazionale per la ricerca ed i soccorsi in mare detto Piano SAR -redatto nel 1996- e aggiornato nel 2020 dall’allora ministro dei trasporti e infrastrutture, Paola De Micheli ha ridato priorità al salvataggio sulla scia delle principali Convenzioni internazionali di diritto del mare. Si stabilisce che l’obbligo giuridico del soccorso richiede una precisa responsabilità ed un impegno di coordinamento per le autorità statali. “Quando si presume che sussista una reale situazione di pericolo per le persone si deve adottare un criterio non restrittivo, nel senso che una notizia con un minimo di attendibilità deve essere considerata veritiera a tutti gli effetti. Alla ricezione della segnalazione le Capitanerie di porto o U.C.G. devono intervenire immediatamente…l’evento Sar si deve aprire anche in una situazione di incertezza”. Ma nulla di tutto ciò è accaduto nelle acque mosse e pericolose del mare ionio calabrese. Spetterà- ovviamente- alla magistratura valutare eventuali responsabilità penali su quanto sia accaduto dal momento della partenza a quello del soccorso mancato. Ma delle responsabilità politiche, delle sgrammaticature nelle comunicazioni rese da questo governo di centrodestra, in merito alla tragedia di Cutro se ne può e se ne deve parlare sicuramente. Non possiamo restare silenti o indifferenti!

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L’imbarcazione salpata dalla Turchia- una delle rotte conosciute tra le più pericolose e battute da potenziali richiedenti asilo, rifugiati, migranti- quella sera trasportava famiglie, singoli uomini, donne, bambini provenienti dalla Siria, dall’Iran, dall’Afghanistan, dal Pakistan partiti con un misto di coraggio e di paura alla ricerca di un futuro migliore o per meglio dire facendo nostre le parole del presidente della Repubblica, Mattarella “ in cerca di un futuro altrove”, con l’obiettivo di dare un senso ed una svolta alla loro vita, una vita segnata dalla disperazione dovuta alle violenze subite, alla mancanza di libertà e di diritti,  alle carestie, alle guerre, alla mancanza di istruzione. Difronte questo scenario di sofferenza e criticità dilagante nei loro paesi d’origine è naturale che essi proveranno a scappare con tutte le forze umane e con tutti sacrifici economici possibili ed inenarrabili, cercando di attraversare e superare mari agitati, venti in tempesta, fili spinati, muri innalzati, respingimenti alle frontiere. Non è facile “leggere” e comprendere fino in fondo quel coraggio, quella paura che spingono queste persone ad abbandonare la loro terra ma certamente conoscere è necessario per capire e rispettare le loro scelte e non colpevolizzarle quando si rischia magari anche di morire in viaggio. Pertanto restiamo amareggiati, risentiti, increduli dinanzi alle parole rese dal ministro degli interni Matteo Piatendosi a poche ore dal naufragio avvenuto, con i corpi esanimi che ancora venivano ritrovati- con difficoltà- nelle acque di Cutro- e con i sopravvissuti accolti sulle spiagge calabre con un grande spirito di solidarietà e partecipazione sincera e calorosa dei cittadini cutresi e di quelli dei paesi più vicini, a quel tratto di costa. “La disperazione- ha dichiarato il rappresentante del Governo Meloni- non può mai giustificare condizioni di viaggio che mettono in pericolo la vita dei propri figli. Bisogna non partire, fermare le partenze” Spiace dirlo ma al “pensiero” di Piatendosi siamo -purtroppo- già abituati da tempo; chi non ricorda il momento dello sbarco di migranti da lui voluto “selettivo” e del “carico residuale” che non sarebbe potuto scendere tranne che per problemi sanitari, dalla nave Humanity delle Ong, salpata dopo ore di attesa al porto di Catania? Oppure quando affermò che era in corso da molto tempo una vocazione alle partenze dei migranti nonostante il maltempo e le condizioni climatiche avverse. Ci chiediamo come si possono mai accettare, se non addirittura pensare e giustificare queste dichiarazioni e se per caso il ministro abbia provato a riascoltarsi un attimo e a provare a commentarsi da sé, perché altrimenti tentiamo noi in modo sintetico a definire le sue parole: semplicemente disumane nel cuore, inqualificabili moralmente e indegne per chi ha responsabilità politiche ed istituzionali verso il Paese. Attribuire ai migranti, ai profughi la colpa dei naufragi, in parallelo alle gravissime responsabilità degli scafisti, trafficanti di esseri umani, che sfruttano e speculano sulle situazioni di disagio e sulla posizione di debolezza in cui si trovano costoro, è veramente troppo, si supera ogni ritegno. Stiamo assistendo -su questo tema in particolare- ad un linguaggio politico dominante negli ambienti della maggioranza di governo a dir poco stucchevole, frutto di un retaggio culturale, securitario che ci permettiamo di definire malsano troppo ancorato ad un concetto velato o meno che sia di fastidio, di paura dello straniero, del diverso visto inizialmente come nemico dal quale bisogna proteggersi, soprattutto magari se è arabo e di religione musulmana. È da questo “stile” comunicativo che un giorno sì ed un giorno no siamo bombardati da affermazioni quali “agiamo per la difesa e la protezione dei confini” come se fossimo attaccati da qualcuno, di “pericolo o attenzione per l’arrivo di clandestini o di presunti terroristi” che poi magari sono soltanto irregolari o persone che hanno addirittura diritto di chiedere l’asilo politico e avere la protezione umanitaria. Assistiamo -purtroppo- ad una filosofia dell’assurdo, del preconcetto, del tutto precompilato quando invece il tema dovrebbe essere politicamente e logicamente relativizzato e visto con gli occhi dell’umanità e dei diritti posti a sua tutela. Questa tendenza si sente, è nell’aria non solo in Italia o in Europa ma proporzionalmente in tutti i paesi occidentali, che pur avendo tanti e indiscutibili meriti e pregi in molti campi, su questo si macchiano di una certa ipocrisia. Non dimenticandoci che anche noi italiani, e non solo noi siamo stati migranti in vari modi, in vari mondi e in diversi tempi ma lo siamo stati -con umiltà, dignità e orgoglio- nonostante tutte le difficoltà logistiche, sociali, ambientali, e abbiamo servito, valorizzato, dato lustro a quel paese, a quella regione, a quel comune che ci hanno ospitati. Perciò bisognerebbe usare e applicare nella vita concreta parole come integrazione, inclusione, accoglienza che seguendo l’esempio di Papa Francesco, deve essere gratuita, perché l’altro deve essere accolto non per quello che dà ma per quello che è. Ci preme osservare che è proprio la disperazione a spingere quella umanità dolente, con quel poco di libertà, di autonomia economica, di resistenza fisica, di dignità mai persa a reagire portando il cuore oltre l’ostacolo, cambiando rotta, cambiando approdo, cambiando latitudine ma partendo comunque! I segnali e la continua propaganda di un certo modo di fare politica di questo governo di centrodestra, così come è avvenuto con quello giallo-verde (M5s-Lega)  del 2018/2019, finalizzati nel dire che i porti italiani saranno chiusi, che non si concederà lo sbarco nel porto più vicino e sicuro secondo quanto invece previsto dalle leggi e dalle convenzioni internazionali, paventare il blocco navale o di mettere cavilli e continui ostacoli al soccorso in mare operato dalle Ong, il tutto allo scopo di porre un freno o fare da monito che possa scoraggiare eventuali nuove partenze, sono e resteranno segnali e tentativi vani e infruttuosi. Per cui è meglio non persistere su questa strada e capire che anche coloro che provengono da altri mondi hanno diritto ad una vita libera e dignitosa senza distinzioni di sesso, di razza, di religione, di lingua, di opinioni politiche, condizioni personali e sociali come la stessa nostra Costituzione ci insegna. Nel momento che queste persone deboli, fragili hanno attuato il viaggio su barconi fatiscenti ma che per loro sono palafitte mobili di speranza, invece di lasciarli in balia di un destino effimero difronte alle avversità sopraggiunte durante la traghettata in mare, invece di gridare al lupo a lupo scagliandosi contro gli scafisti criminali, o colpevolizzando i padri di famiglia che hanno messo i propri figli sui quei barconi, una cosa solo si dovrebbe fare: salvarli, salvarli, salvarli. Le leggi del mare, dell’umanità, del diritto internazionale questo ci invitano a eseguire con il cuore prima e con la ragione dopo, senza se e senza ma. Portarli a terra, fornire loro una prima assistenza e poi rivolgersi al resto d’Europa che certamente non sempre risponde con solerzia nella redistribuzione dei migranti, mostrandosi timida e silente nel fare rispettare gli accordi presi tra gli Stati europei ma che però alla fine è presente grazie almeno alla generosità e solidarietà di alcuni paesi europei. È su queste lacune che si deve intervenire definitivamente ed in sinergia comune; l’Italia già da molti anni sta facendo opera di sensibilizzazione e pressione politica verso la Ue ma lo deve fare sempre con equilibrio, con spirito europeo non ricattatorio come è stato fatto in passato sulla pelle dei migranti, che non venivano fatti sbarcare nei porti italiani se non prima che i paesi europei si fossero fatti carico del ricollocamento o alzare la voce e presentandosi duri e forti ad ogni salvataggio compiuto- lodevolmente- dai volontari delle Ong. Semmai sul tema della ricerca e del soccorso marittimo occorrerebbe impostare un costante e proficuo rapporto di coordinamento tra le Ong e le autorità statali, con regole d’ingaggio chiari e condivise da tutti per il bene esclusivo della vita umana da salvare;  bisognerebbe incentivare economicamente- con fondi di investimento dedicati- quei paesi sottosviluppati che sono causa della fuga di una parte della propria popolazione; rivedere il Trattato di Dublino  che regolamenta -il tema migrazione- in particolare sul ruolo e sui compiti dei paesi di primo approdo; attivare e agevolare al massimo i corridoi umanitari con continuità e funzionalità, destinati all’accoglienza e integrazione di migranti indifesi e rifugiati, dando loro la possibilità di viaggiare legalmente ed in sicurezza; programmare regolarmente con progetti a lungo termine i flussi migratori su scala europea per dare la possibilità a chi arriva di essere inserito nel mondo lavorativo senza lasciarlo in balia della criminalità organizzata o dei caporali, seguendo il monito del Presidente della Repubblica quando in riferimento alla tragedia di Cutro ha affermato “Il cordoglio si traduca in scelte concrete dell’Italia e dell’Unione europea”

Il Governo Meloni e la premier in primis sono giunti in Calabria giovedì 9 marzo, dove è stato convocato a Cutro un Consiglio dei ministri nel quale si sono presi provvedimenti legislativi con l’approvazione di Decreto legge in materia di flussi di ingresso legale dei lavoratori straniere e norme di prevenzione e contrasto all’immigrazione irregolare. Analizzeremo in un'altra occasione i contenuti e l’efficacia del DL, che dovrà ancora essere convertito in legge e potrà subire modifiche. Ritorniamo invece sulla discesa dei ministri in Calabria che alcuni hanno definito una semplice passerella, un gesto tardivo, un tentativo di ripulirsi la coscienza per quello che si poteva fare e non è stato fatto o per dare copertura politica a ciò che è stato. Di norma o per consuetudine si dice che la verità sta nel mezzo, ma ovviamente ci sono delle eccezioni. La presenza dello Stato nei luoghi di eventi tragici è sempre un momento alto di testimonianza e condivisione e noi questo lo abbiamo visto bene e apprezzato molto quando il Capo dello Stato -Sergio Mattarella- si è presentato in silenzio, con commozione e affetto al Palasport di Crotone, per rendere omaggio alle bare dei naufraghi deceduti e visitare in ospedale i feriti ed incontrare i superstiti e le loro famiglie. Si è posto in ascolto ed ha dato loro conforto. Quello che -invece- non abbiamo visto è stata la presenza del presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, ribadiamo una presenza non pervenuta in modo tangibile, con la sensibilità e l’attenzione che il caso -invece- avrebbe richiesto, a partire da quella triste e drammatica domenica del 26 febbraio. Certo ci sono state blande e formali dichiarazioni di sgomento, ma proprio da lei che ci ha tenuto tanto a definirsi donna, madre, cristiana, facendone uno slogan elettorale permanente, non ce lo saremmo proprio aspettata di avvertire così tanto la sua assenza -nei luoghi della sofferenza- che oltre che sul piano istituzionale e etico, risuona e risalta sul piano umano. All’inizio del suo mandato aveva promesso che avrebbe stravolto i pronostici ma noi oggi da qui, da questo lembo d’Italia tutto questo stravolgimento dei pronostici, sinceramente non lo abbiamo visto neanche come una sottile linea di luce all’orizzonte. Il nostro stupore è aumentato quando abbiamo ufficialmente appreso che la Meloni -giunta a Cutro per presiedere il Consiglio dei ministri- non si sarebbe poi recata a Crotone -pur se invitata dal sindaco della città pitagorica, Vincenzo Voce -  per salutare e posare un fiore su quelle bare ancora presenti al Palasport, per portare un sentimento di compassione e vicinanza ai familiari e ringraziare quel Comune e il suo primo cittadino che tanto si erano prodigati nell’accoglienza, i calabresi solidali e quei pescatori che in primis non si sono sottratti con i pochi mezzi che avevano a disposizione, al buio, con il mare mosso ed il vento gelido nel fornire coraggiosamente, con dedizione e sentimento umano i primi soccorsi. Nulla di tutto ciò è stato fatto...eppure sembrava una cosa così ovvia se non alquanto doverosa, ed invece quel tutto ha preso il verso sbagliato, un verso che rasenta la vergogna, che è la rappresentazione plastica di una mancanza di pietas, di una superficialità nei comportamenti, nella valutazione dei contesti e dei tempi, sull’uso non empatico e freddo dei messaggi. Questo è lo spiacevole scenario che questa “cultura” politica di governo offre agli italiani. …E dopo il danno anche la beffa; la stessa sera del 9 marzo, leggiamo uno scarno comunicato di Palazzo Chigi che invita i parenti delle vittime a Roma. Sembra di assistere ad una recitazione grottesca per non dire drammatica…alla quale pongono fine gli stessi familiari delle povere vittime che con una grande lezione di dignità hanno declinato l’invito: gesto tardivo, luogo lontano. Avevano bisogno di un abbraccio cristiano, di una carezza di madre che asciugasse le loro lacrime, di un semplice mi dispiace/ ci dispiace per non averli potuti salvare, faremo il possibile per capire il perché di questa strage che non trova spiegazioni e certezze. Questo serviva, questo bastava per lenire i loro animi tristi e bisognava farlo, recandosi a Crotone il prima possibile. Ma così non è stato.

Dell’immediato arrivo del ministro Piatendosi, sui luoghi della strage in mare -lo stesso giorno del naufragio- rimane un infelice ricordo per la Calabria, con un risultato che non dimenticheremo molto facilmente ma che non commenteremo più se non per ricordare che stiamo aspettando -se non le dimissioni- almeno le sue scuse per quelle dichiarazioni rilasciate; e se -a maggior ragione- in un suo successivo intervento, reso in Parlamento, ha affermato che si dispiaceva per non essere stato compreso, allora quelle scuse sarebbero state non solo necessarie ma sicuramente doverose verso l’Italia che in quel momento stava rappresentando e che ancora rappresenta e verso le vittime, i dispersi che ancora il mare ce li fa udire, immaginare, che ci restituisce ancora oggi e nei confronti dei loro familiari, distrutti dal dolore. Ma forse chiediamo troppo, forse sembriamo troppo umani quando in realtà ci permettiamo soltanto di consigliare, invitare tutti a restare semplicemente umani. Chiudiamo queste lunghe riflessioni ringraziando quel pescatore, quella signora anziana, quel medico, quella studentessa, le tantissime persone di Crotone e della Calabria tutta che hanno saputo onorare la propria nazione, tenendo alta la bandiera del cuore, dipinta di dignità, senso civico e amore per il prossimo.  #BASTA STRAGI IN MARE!!!  

 

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