di MARIA GRAZIA LEO
30 aprile-3 settembre 1982 due date apparentemente lontane e distinte ma in realtà fortemente intrecciate ed emotivamente legate alle vite spezzate di due coraggiosi servitori dello Stato -Pio La Torre parlamentare e segretario regionale siciliano del Pci ed il Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa nominato dal Governo nazionale a Prefetto antimafia- uccisi da Cosa nostra a Palermo rispettivamente in una nuvolosa mattina di primavera il primo e in una calda sera di fine estate il secondo.
Tante sono le coincidenze ed i luoghi dei quali diventeranno protagonisti a volte a loro insaputa, per un destino infausto, a volte per un positivo diretto intervento dell’uno verso l’altro.
Ma andiamo con ordine e partiamo dal ricordo di Pio La Torre. Dalle origini umili, figlio di contadini nascerà nel 1927 e crescerà ad Alterello di Baida un quartiere periferico di Palermo che dopo la guerra diventerà una borgata ad alta densità mafiosa. Si formerà da solo negli studi, senza aiuti esterni…iscrivendosi prima ad ingegneria e poi conseguendo la laurea a pieni voti in Scienze Politiche, diventando quel che è stato con la tenacia e l’entusiasmo sinergico che lo hanno sempre caratterizzato. È stato un uomo animato dalle grandi motivazioni ideali e da un forte spirito di missione civile in ogni cosa che faceva sempre al servizio del paese, del partito e soprattutto pensando e riversando il suo agire a favore del destino della comunità tutta e della sua terra, prima che del proprio. Una motivazione che è diventata il suo pensiero di vita, il suo sogno reale in cui credere fino in fondo senza se e senza ma. Fedele espressione di quel modo di sentire la politica tipica degli anni 70, come forma alta, nobile…un luogo in cui si sprigionavano, liberavano le passioni più pure, più belle e di ciò Pio La Torre ne è stato espressione e testimone diretto. Basta rammentare come lottava a difesa dell’assegnazione delle terre ai braccianti, ai contadini e ai mezzadri che non ne possedevano - erano i tempi dell’applicazione dei decreti Gullo contenenti la riforma agraria e che tanto fastidio e danno arrecava ai ricchi baroni latifondisti che fecero di tutto- pure ricorrendo alla mafia- per fermare anche con la morte i capi lega dei contadini ribelli e i dirigenti politici, reclamanti i fondi agricoli - e per il riconoscimento dei loro diritti. Tanto che negli anni 50 il giovane La Torre- a causa di questo impegno a difesa della giustizia sociale- fu arrestato e recluso all’Ucciardone per 17 mesi. Ma il dirigente comunista è ricordato maggiormente nella matura età, per altri suoi slanci ideali: A) È il pacifista che si è distinto per la forte opposizione alla costituzione di una base Nato nella cittadina di Comiso, contro la quale organizzerà -con la sorpresa del suo stesso partito- una grande mobilitazione di massa, con la raccolta di un milione di firme a sostegno della sua causa di pace, che resterà nella memoria storica una bella e limpida lezione di coraggio politico. B) È l’ambientalista che ha cercato di fermare “il sacco di Palermo” ovvero le ingenti colate di cemento destinate a continue costruzioni edilizie, a scopo prevalentemente economico-speculativo. C) È l’ideatore e il primo firmatario del disegno di legge- diventato il 13 settembre testo normativo dello Stato n.646 - che prevedeva l’istituzione del reato di associazione di tipo mafiosa e il sequestro e la confisca dei beni e dei patrimoni acquisti illecitamente dai mafiosi.
Ma già prima di diventare parlamentare a partire dal 1972 ed entrare come componente della stessa, Pio La Torre da segretario regionale siciliano del Pci darà il suo notevole contributo e preziosi spunti di lavoro alla prima Commissione antimafia parlamentare istituita nel 1963 e che chiuderà i battenti 13 dopo, con una relazione di maggioranza e due di minoranza, stilate dagli esponenti comunisti e missini. Lavorerà alla relazione di minoranza avvalendosi del supporto del giudice Cesare Terranova, eletto come indipendente di sinistra nelle liste del partito comunista italiano, di altri giuristi di area e di studiosi quali lo storico Francesco Renda. Valorizzerà molto le importanti audizioni rese alla commissione, tra le quali quella resa dal colonnello Carlo Alberto Dalla Chiesa che lavorava già in quegli anni nella sua regione. E soprattutto riempirà la relazione di minoranza di contenuti, analisi, proposte sulla base di fatti, contesti sociali e politici che egli ha vissuto, interpretato e inquadrato nel corso della sua carriera di consigliere comunale, dirigente sindacale oltre che di politico, nella quale si è battuto contro corruzione e clientelismo. Ricordiamo due passaggi fondamentali e in un certo senso antesignani di quello che sarebbe successo molti anni dopo la sua uccisione, sul piano dei provvedimenti antimafia presi; i commissari comunisti, socialisti e della sinistra così scrivevano nel 1975: ” Occorre cambiare profondamente i rapporti fra lo Stato e i cittadini in Sicilia e avviare un processo di rinnovamento delle strutture economiche, sociali e politiche….Le misure di prevenzione e di repressione vanno perseguite con le necessarie garanzie costituzionali e considerata la natura politica del fenomeno mafioso, è necessaria l’istituzione di un organismo di coordinamento nazionale dell’azione repressiva”.
Purtroppo tutte le relazioni messe a punto e presentate alle Camere poco prima del loro scioglimento, resteranno lettera morta in quanto non vennero oltre che essere approvate nemmeno discusse, restando solo fonti di lavoro per gli studiosi. Pio La Torre fu tra i primi politici ad ipotizzare e denunciare i rapporti di collusione affaristica tra una parte della politica locale e nazionale e Cosa Nostra, indicando i protagonisti di ciò in alcune figure di esponenti democristiani dal parlamentare Salvo Lima a Vito Ciancimino divenuto sindaco di Palermo, a Giovanni Gioia…dell’area prevalentemente andreottiana che dominava e primeggiava nel bello e nel cattivo tempo sulla vita dei siciliani onesti e bisognosi. Venne perciò fermato dal fuoco di Cosa nostra, in via Li Muli il 30 aprile del 1982, insieme al suo stretto collaboratore e amico, Rosario Di Salvo. “Ora tocca a noi” così si intitolerà il docufilm a lui dedicato a firma del regista, scrittore e politico Walter Veltroni, che verrà trasmesso su Rai 3 in ottobre. Ora tocca a noi era un’espressione che La Torre usò e proferì -al suo amico e compagno politico Emanuele Macaluso- forse come una profezia, forse come un’assunzione di responsabilità e di sprono nel non arrendersi a ridosso dei delitti politico-mafiosi che si susseguirono negli anni 80…dall’omicidio del segretario provinciale della Dc di Palermo Michele Reina, al Presidente della regione Piersanti Mattarella. Era una forma di consapevolezza di quello che sarebbe potuto accadere successivamente ma anche un monito per continuare a contrastare la criminalità mafiosa con coraggio, a testa alta con atti concreti per la gente e non solo sussurrati, in nome della legalità, della giustizia, per il mantenimento di quella dignità di sentirsi cittadini liberi, considerando che la mafia non era stata ancora vinta e osservandola in tutte le prospettive nei vari rapporti e nei variegati gangli relazionali con pezzi della politica, dell’imprenditoria, dell’economia, dei servizi segreti deviati, delle forze dell’ordine corrotte, che tanto sangue hanno arrecato a Palermo e non solo e che molto hanno condizionato la vita pubblica del nostro Paese.
L’Onorevole La Torre resterà esempio vivo e modello di riscatto per tutti ed in particolare per i giovani che lo hanno conosciuto direttamente o attraverso le cronache e le testimonianze. Mi piacerebbe chiudere questa parte con una frase di un pezzo Rap, che i ragazzi dell’Istituto penale minorile di Catania hanno composto e a lui dedicato, in occasione del quarantennale della sua barbara uccisione: “Ci vuole cultura, ci vuole coraggio, non ci adeguiamo…questo è il nostro viaggio”. L’eliminazione dell’esponente politico regionale al vertice dell’opposizione, anche nel ruolo di deputato nazionale della Repubblica italiana segnerà uno spartiacque sul piano dell’impatto e dell’interesse mediatico nel rendere partecipe l’opinione di quanto stesse accadendo in Italia e in Sicilia e della conseguente risposta da adottare da parte del governo e di tutte le forze parlamentari.
E’ stato tale lo smarrimento e la shock che la reazione dell’esecutivo a guida del repubblicano Spadolini fu repentina rispetto al congelamento di una decisione- alla quale lo stesso Pio La Torre aveva dato il suo sostegno e appoggio- già presa ma messa per il momento nel cassetto: l’invio a Palermo del Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, una personalità ben allenata e preparata sulla scia dei successi avuti nel contrasto al terrorismo e che già aveva avuto occasione di conoscere i luoghi invasi e infetti dalla mafia -nel 1948, e poi tra il 1966 e il 1973- da Colonnello dei Carabinieri e prima da Capitano a Corleone. Qui farà una delle sue prime esperienze investigative con lo sfondo della mafia, indagando sulla scomparsa del sindacalista socialista Placido Rizzotto, ritrovando il corpo e attestando chiaramente che si trattasse di un omicidio da addebitare al giovane emergente boss della cupola Luciano Leggio, insieme a due suoi gregari. E Dalla Chiesa, di fresca nomina, appena atterrato nel capoluogo siciliano in quel tragico 30 aprile lo ritroveremo subito in prima linea- nelle prime ore del mattino- catapultato nella scenografica Piazza Politeama per fare di persona il sopralluogo- sul piano organizzativo- in vista del funerale del segretario regionale del Pci.
Ricordiamoci -per ora- Piazza Politeama…ma torniamo al neo prefetto- per molti il nuovo prefetto di ferro, alla Mori per intenderci- inviato a Palermo con compiti di coordinamento e stimolo alla lotta antimafia. Prometteva bene quest’uomo con gli alamari tatuati sul cuore, con la statura fisica e morale di integerrimo servitore dello Stato, con l’educazione di stampo militare e di tempra piemontese -essendo nato nel 1920 a Saluzzo- si distinse nella vita privata ad essere -nonostante i vari e impegnativi incarichi lo portassero su e giù per l’Italia- un padre ed un marito esemplare sposando prima Dora Fabbo dalla quale ebbe tre figli e dopo la sua scomparsa, in seconde nozze la giovane crocerossina Emanuela Setti Carraro che sposò nel luglio del 1982. Una bella storia d’amore piena di tenerezza, complicità, eleganza relazionale e perché no anche di una certa timidezza d’altri tempi che aveva incuriosito, appassionato, stupito positivamente ed emotivamente gli italiani…nonostante la notevole differenza di età tra di loro questa relazione è stata la dimostrazione plastica del fatto che i sentimenti non hanno una tempistica precisa, ma solo quella dell’orologio del cuore. Carlo Alberto Dalla Chiesa prenderà due lauree la prima in giurisprudenza, la seconda in scienze politiche, quest’ultima a Bari -negli anni 40 – dove seguirà alcune lezioni tenute dall’allora docente Aldo Moro. Parteciperà alla lotta di resistenza, poi entrato nei carabinieri sarà incaricato di porre argine al fenomeno del banditismo in Campania ed in Sicilia, oltre ad aver ricevuto -come abbiamo accennato prima- l’incarico negli anni 70’ di combattere, con poteri speciali il terrorismo. La nuova e gravosa responsabilità che gli verrà conferita dal Governo- nel 1982- lascerà il Generale Dalla Chiesa perplesso e titubante nell’accettarla convintamente ma con il delitto La Torre ancora caldo, il paese e le istituzioni disorientati dalla potenza di fuoco mafiosa, si lascerà convincere definitivamente dall’allora ministro degli Interni Virginio Rognoni che gli prometterà poteri speciali, con l’obiettivo di ottenere gli stessi ottimi risultati conseguiti contro le Br.
Ma passavano i giorni e quei poteri straordinari che gli avrebbero permesso di avere mani libere e legittimazione piena nell’intervenire sul piano investigativo e preventivo non arrivavano mai…certamente per resistenze di ambienti e salotti siciliani e romani di alto livello, corrotti e conniventi. Di questo il Prefetto se ne lamentò e lo fece presente ad alta voce. Era decisamente amareggiato per il mancato rispetto degli impegni presi dall’esecutivo e per non sentire l’appoggio reale dello Stato. Si sentiva solo. E lo fa intendere attraverso incontri e convegni soprattutto rivolti e dedicati agli studenti e con interviste tra le quali resterà testamento morale quella rilasciata a Giorgio Bocca il 10 agosto del 1982. “Mi mandano in una realtà come Palermo con gli stessi poteri del Prefetto di Forlì, se è vero che esiste un potere è solo quello dello Stato, delle sue istituzioni e delle sue leggi, non possiamo delegare questo potere né ai prevaricatori, né ai prepotenti, né ai disonesti”.
Per Dalla Chiesa la lotta alla mafia doveva essere condotta strada per strada, mandando un messaggio chiaro alla criminalità…con la presenza visiva e imponente delle forze di polizia. Nell’intervista rilasciata a Bocca oltre che ad evidenziare come la mafia si fosse allargata in tutta la Sicilia, chiamando in causa le principali imprese edili residenti a Catania e operanti nella città capoluogo- dei Rendo, dei Graci dei Costanzo, dei Finocchiaro tutti nominati Cavalieri del lavoro- parlerà anche di Pio La Torre affermando che “…è stato ucciso per tutta la sua vita di combattente e militante politico e per quel disegno di legge considerato una minaccia grave poiché si proponeva di aggiungere l’associazione mafiosa nel Codice penale.”
Aveva già le idee chiare il Generale…era pronto a dare un forte colpo a Cosa Nostra- in sinergia con la magistratura- ma i giorni di attesa per quei poteri speciali promessi scorreranno invano, fino ad arrestarsi a 100, quando la sera del 3 settembre in via Carini poco distante da P.zza Politeama venne freddato sull’Autobianchi A112 insieme alla sua Emanuela e all’agente di scorta Domenico Russo. All’indomani dell’efferato agguato mafioso, apparve sul luogo della strage una scritta che impressionò e fece riflettere: qui è morta la speranza dei palermitani onesti. Una parte delle città si stava già fidando di lui…iniziava a respirare ventate di legalità e di libertà in divenire e grazie a lui una luce si stava accendendo.
L’omicidio La Torre non bastò a far svegliare in velocità, determinazione e coraggio la politica e i suoi rappresentanti del popolo nel mettere nero su bianco quell’importante suo disegno di legge contenente il reato di associazione mafiosa, perché servì attendere altro sangue versato, proprio quello del Prefetto Carlo Alberto Dalla Chiesa, perché servì ascoltare il richiamo delle coscienze e dell’orgoglio dei palermitani onesti, perché servì udire le parole rese nell’omelia dal Cardinale di Palermo, Salvatore Pappalardo- in occasione dei funerali delle vittime di via Carini- quando affermò: “ mentre a Roma si pensa sul da fare, la città di Sagunto viene espugnata dai nemici! E questa volta non è Sagunto ma è Palermo. Povera Palermo!”. Solo dopo aver visto ed udito tutto questo arrivò finalmente una scossa, uno scatto di reni in più da parte delle istituzioni e dei responsabili politici, che in 100 giorni si erano di nuovo addormentati, assopiti in parte in buona fede, in parte per convenienza, in parte per indifferenza al fenomeno mafioso da intendere come problema nazionale e sistemico associativo, circoscrivendolo solo in un ambito locale e territoriale.
E si perché solo il 13 settembre del 1982 le intuizioni e le proposte normative del parlamentare e segretario regionale del Pci siciliano videro la luce di legge dello Stato. Luoghi comuni dicevamo all’inizio di questa riflessione -Piazza Politeama- ma anche giorni comuni idealmente connessi che si legano ad entrambi i protagonisti a 40 anni dalla loro scomparsa, alle loro vite ed al loro esempio. Tutto si tiene, tutto si intreccia, tutto si incrocia in quel filo rosso della memoria che interesserà e avvolgerà da un lato le storie dei crimini mafiosi e dei responsabili degli stessi, dall’altro lato degli “eroi” antimafia che li hanno avversati e contrastati. I delitti politico-mafiosi Reina, Mattarella, La Torre, Dalla Chiesa sicuramente avranno fatto contenti molti in Sicilia e a Roma. Tutti in un modo o in un altro ne hanno tratto giovamento ed in tutti i casi si è spezzato, modificato il corso della storia, della società, della bella politica, dei sogni e delle speranze che quegli uomini fino al 1982 e poi anche oltre fino al 1992 come Chinnici, Scopelliti, Falcone e Borsellino avevano tentato di trasmettere, di lasciare in eredità alle coscienze e alle vite dei cittadini e dei giovani in particolare, con le loro lezioni di legalità, di amore per la libertà sempre con entusiasmo e con coraggio, avendo come guida la stella polare della Costituzione.
La legge La Torre-Rognoni costituirà la leva giuridica che quella parte della magistratura più impegnata nel contrasto alla mafia userà con saggezza e fermezza…e le condanne del maxi processo allestito dal Pool antimafia di Palermo, voluto dal Consigliere capo istruttore Antonino Caponnetto e nel quale come punta di diamante avrà magistrati come Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, ne saranno ulteriore conferma. Scriverà lo storico Francesco Renda: “senza La Torre non ci sarebbe stata la nuova legge antimafia ma senza Chinnici, Falcone e Borsellino sarebbe stata insabbiata e dimenticata”. Facciamone- quindi- tesoro tutti!
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