di MARIA MARINO
Che brutto giorno che è stato questo lunedì 2 novembre 2020. Sarà un lunedì da ricordare con tutta la tristezza e la paura che oggi abbiamo tutti dentro: chi resta chiuso in ospedale per un maledetto virus e chi, non infetto (ancora, per fortuna) puó liberamente andarsene in giro, magari proclamando anche che il virus non esiste.
Comunque vada, quella frase con tanto di arcobaleno al seguito, oggi diventa sempre meno credibile e perde, nella maledetta crescita dei numeri, ogni giorno un pó di quel speranzoso incoraggiamento che tanto ci aveva aiutati in primavera a sopportare l'isolamento forzato a cui tutti siamo stati obbligati. Ma è questo contesto che oggi mi porta a fare una considerazione, forse in maniera più profonda degli altri 2 novembre, che è e resta sempre il giorno in cui si commemorano i defunti, ma quest'anno credo che ce ne fossero molti di più da commemorare.
Quest'anno c'erano tutti gli Anziani che il virus maledetto si è portato via, tutti quelli della generazione che dalla lambretta sono passati alla Fiat 500, quelli che hanno vissuto gli anni del boom economico, delle rivolte studentesche e degli anni di piombo, di una Repubblica che cominciava a fare acqua, fino a sbracarsi del tutto nel '92, quelli che hanno vissuto la Prima e la Seconda Repubblica, fino a restar chiusi fuori da tutto con l' avvento dell'era digitale. Anche loro andavano commemorati oggi e invece... Tutto è andato avanti come se nulla fosse, tutti hanno continuato a fare ció che una fredda, anzi gelida, agenda comandava: riunioni, convegni, lavoro, shopping e quant'altro il mondo di un'oramai assurda vita impone a tutti.
Eppure un pensiero ai defunti, nostri o degli altri, il 2 novembre va proprio rivolto. Commemorarli non è un rito religioso, che pur s'impone nelle celebrazioni di ogni credo religioso, ma essa attiene più ad un sentimento del rispetto e del ricordo, che non hanno mai una specifica etichetta; è rievocazione di emozioni e sentimenti, di riflessione pura su ció che è stato e di quanto è rimasto, aldilà della presenza materiale e corporea, nella vita che continua e si rinnova ad ogni nuova nascita. Per questo trovo che commemorare i defunti sia un atto di grande civiltà e, per dirla con Foscolo, il sepolcro non è quel luogo di tristezza e di pianto, seppur son leciti e naturali anche tali sentimenti, ma soffermarsi sulla lapide di un defunto è quel "trarre gli auspici" per la propria esistenza da quel modello di vita che fu, da quel legame che fu e che puó ancora continuare ad essere.
Viene spontaneo chiedersi: che fine ha fatto la civiltà del sepolcro? E, soprattutto, che futuro ci attende senza il ricordo, senza quel legame con la propria e l'altrui storia? Che civiltà è quella che non si ferma a commemorare i suoi defunti, la sua storia e il suo rapporto tra passato e presente? Questa è la considerazione che oggi, guardando la quotidiana routine della città, gelida ed indifferente, molto più di quelle lapidi del Camposanto, mi è venuta spontanea e con rabbioso, quanto incredulo realismo, mi sorge spontanea una conseguente riflessione: ma se lo Stato è laico, perchè mantiene in calendario la Festa dei Santi dell'1 novembre, che di fatto riguarda solo i cristiani cattolici (ed io lo sono), e cancella il 2 novembre che, a pensarci bene, non ha alcuna connotazione religiosa o dottrinale, se non quella naturale origine di civile convivenza tra passato, presente e, soprattutto, futuro della vita dell'uomo e della società stessa.
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