di MARIO TASSONE
Sono trascorsi alcuni giorni dalle votazioni per il rinnovo dei presidenti e dei consigli delle regioni Lazio e Lombardia. I risultati che hanno visto la vittoria del centro destra sono stati ampiamente commentati anche in riferimento alla tenuta del quadro politico nazionale. Uno spazio nelle considerazioni è stato riservato al numero rilevante delle astensioni: meno il 30 per cento rispetto alle precedenti "regionali".
Ma anche l’attenzione, già non eccessiva , è stata abbandonata. Si è indugiato a parlare dei vincitori e dei vinti: nello sfondo il Congresso del PD striminzito nei contenuti. Purtroppo il relativismo ha preso il dominio e il tema delle urne vuote è stato ben presto derubricato. Invece questo è il vero tema su cui bisogna cimentarsi in un confronto serrato. Quelle astensioni sono la spia di un disagio dei cittadini elettori e sono il segno preoccupante della crisi della politica e della democrazia.
La democrazia non muore se c'è la partecipazione, se i cittadini hanno gli stimoli sufficienti per sentirsi comunque partecipi di sfide importanti. Ma quando il confronto avviene solo fra gli addetti ai lavori, la indifferenza prende il sopravvento e il clima diventa glaciale. Molti non si sono accorti che vi erano le elezioni regionali. Nessun calore, nessun progetto indicato ma solo incontri dei candidati con pochi amici. Le elezioni per molti sono "una cosa loro" e non credono più a nulla e a nessuno. Anzi la partecipazione al voto è considerata inutile.
Il cittadino vive in solitudine e non si sente partecipe della comunità. È la crisi dei valori e degli ideali che si disperdono nel trambusto delle risse della non politica,del prosciugarsi delle correnti culturali sommerse dalla coltre di vuote supponenze. Nel Lazio e in Lombardia il.sistema delle garanzie democratiche è uscito a pezzi.
Senza partiti veri, che formano, i candidati spesso provengono da esperienze lontane dalla politica che è in uno stato di afasia: questo è male.
Una ultima considerazione. Bisogna cambiare la legge per le elezioni regionali. Bisogna prevedere la sfiducia costruttiva per evitare che il presidente sia il padrone della regione e il consiglio regionale condizionato dal terrore dello scioglimento se il presidente si dovesse dimettere. Si tratta di recuperare una agibilità democratica e la dignità istituzionale anche dei consigli. Le elezioni sono l'espressione alta della democrazia. Fare dei sindaci o dei presidenti delle regioni i padroni degli enti che presiedono è un insulto al buon senso.
Perseguire per il Parlamento nella nomina dei Parlamentari con un sistema senza preferenze è un oltraggio.
La libertà e la democrazia vivono se tutti si sentono partecipi.
Se la diffidenza e la sfiducia si diffondono le urne saranno vuote e il domani sarà senza speranza.
Un equilibrio va raggiunto ritrovando il senso della nostra storia.
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