E’ di oltre un milione di euro il valore del patrimonio confiscato a Melito di Porto Salvo, a Quinto Antonio Rosaci (66 anni) e ai figli Antonino e Santoro (rispettivamente di 36 e 34 anni).
Il provvedimento è stato emesso dalla sezione Misure di prevenzione del Tribunale di Reggio Calabria mentre i sigilli apposti da Guardia di Finanza e dai carabinieri, sono scattati ad un’impresa che opera nel settore dell’installazione e del noleggio di apparati da intrattenimento e divertimento, oltre che ad alcuni rapporti finanziari.
Su richiesta Dda di Reggio Calabria, inoltre, il capofamiglia è stato raggiunto anche dalla Sorveglianza Speciale con l’obbligo di soggiorno nel comune di residenza per 3 anni e mezzo.
Il provvedimento di confisca si fonda sulle risultanze delle indagini, condotte dal Comando Provinciale dell’Arma, nell’ambito del procedimento “Ada”, e conclusesi nel 2013 stringendo il cerchio su alcuni presunti affiliati alla cosca di ‘ndrangheta “Iamonte”, di Melito di Porto Salvo, tra cui anche Quinto Antonio Rosaci.
Secondo gli inquirenti quest’ultimo - chiamato “Mastro Quinto” - sarebbe stato un “punto di riferimento associativo” per quanti intendessero “investire” in attività di videopoker , assumendo una posizione di “comando e responsabilità” per conto del clan nella frazione di Lacco.
Sempre nel corso dell’indagine Ada, Rosaci è stato condannato dalla Corte di Appello di Reggio Calabria - con sentenza che è divenuta definitiva nel 2018 - per associazione mafiosa, per aver fatto parte appunto della cosiddetta “società” di Melito Porto Salvo.
In questo contesto la Dda aveva già incaricato il Gico delle fiamme gialle di effettuare delle investigazioni economico-patrimoniali, al termine delle quali, e su richiesta del Procuratore Aggiunto Calogero Gaetano Paci e del Sostituto Stefano Musolino, nel 2018 aveva disposto il sequestro del patrimonio dell’uomo e dei figli.
Gli inquirenti ritengono pertanto di aver accertato la “pericolosità sociale” di Rosaci, appunto come presunto appartenente alla cosca “Iamonte”, e dalle verifiche svolte si è così ricostruita la capacità reddituale e del complesso dei beni di cui il 66enne disponesse, tanto direttamente che indirettamente, nell’ultimo ventennio: un patrimonio, sostengono infine gli investigatori, di “notevole sproporzione” per investimenti rispetto alle “risorse lecite”.
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