Missione volontaria: a tu per tu con Debora Rizzo, premiata tra le "Donne coraggiose 2025"

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images Missione volontaria: a tu per tu con Debora Rizzo, premiata tra le "Donne coraggiose 2025"


  18 novembre 2025 12:00

di ROSSELLA PAONE

“Se avrai uomini che escluderanno qualsiasi creatura di Dio dal rifugio della compassione e della pietà, avrai uomini che tratteranno allo stesso modo i loro simili umani”. Aveva le idee chiare San Francesco d’Assisi in fatto di sentimenti che dovrebbero riguardare ogni creatura dell’Universo, rispettandola e proteggendola. Una concezione che Debora Rizzo, volontaria calabrese impegnata da sempre nel sociale, ha sposato in pieno facendola diventare la sua missione di vita. Premiata alla Camera dei Deputati tra le Donne coraggiose 2025, il suo è un impegno davvero ammirevole.

 

Debora, il suo impegno verso il sociale è una vera e propria vocazione, quando e come ne ha preso coscienza?

Non credo ci sia stato un momento in cui io lo abbia deciso, a detta di chi mi ha vista crescere anche da bambina sono sempre stata attenta a tutto quello che mi stava attorno e diventavo riflessiva se qualcosa mi incuriosiva o mi dava la sensazione che non fosse giusta. La vera vocazione forse è stata coltivare questa sensazione, lavorare sull’ascolto e soprattutto su me stessa. Non è facile scegliere di essere consapevoli, si sbaglia e si cade molte più volte di chi decide di non sentire o vedere ed è uno scontro continuo con il dolore, ma in cambio si ha forse la bellezza più autentica, una scelta quotidiana che implica un impegno costante.

Spesso le creature di cui si occupa sono animali infermi e anziani. Psicologicamente deve essere molto difficile prendersene cura per la componente affettiva che si crea e che inevitabilmente si scontra con il dolore della perdita. Dove trova la forza? E quali consigli si sente di dare affinché ci siano più interventi come il suo? 

La forza la trovo mettendo al centro l’altro, non è il mio dolore il protagonista della storia, io decido di intrecciare il mio percorso e sono consapevole di farlo con chi ha un suo vissuto complesso o che si trova a percorrere un ultimo pezzo di strada. Onorare questa fase implica lo sforzo di stare ai margini pur essendo totalmente coinvolti, solo vedendo l’altro si può pensare di agire per il suo bene.  Ogni storia è diversa ma vale la pena di essere raccontata e vissuta, indipendentemente dal tempo che resta il mio consiglio è di non scoraggiarsi, di sedersi accanto e di creare ricordi. Il tempo è importante non perché sembra troppo poco, ma perché va impiegato bene anche stando semplicemente sdraiati insieme in spiaggia o in giardino.

Ha commosso l’Italia la storia di nonno lupo, un cane anziano che ha trascorso la sua vita in un canile e al quale lei ha regalato gli ultimi anni in libertà. Com’era Lupo?

Lupo era un cane molto forte, per indole e per corazza, per questo forse il racconto della riscoperta del mondo attraverso i suoi occhi è stato così sorprendente. Un cane che poco si lasciava andare alle carezze che improvvisamente si stupisce alla vista di gattini che fanno le fuse, che saltella appena mette le zampe in acqua al mare o che dorme rannicchiato con la testa su un morbido peluche. Spesso in canile cani come lui vengono ignorati o non visti. Il racconto della sua storia ha aperto la strada a molti di loro ed è la ragione per cui continuo a raccontare di lui. 

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Per Emile Zola: “Il compito più alto di un uomo è sottrarre gli animali alla crudeltà”. Da volontaria impegnata in questa direzione, qual è il suo pensiero? E come contrastare l’abbandono? 

L'errore è credere che ci siano livelli di diritto e di superiorità. Ci prendiamo troppo spesso posizioni privilegiate che non meritiamo. L'abbandono è solo una parte dell'errore, continuare a costruire quadrati di cemento, piuttosto che investire nella sensibilizzazione, nelle sterilizzazioni e nella cultura che comprende i diritti degli animali, sono azioni su cui porre l'attenzione se si vuole pensare di contrastare il fenomeno e di comprendere di essere parte fondamentale della causa.

In base alla sua esperienza, come racconterebbe il linguaggio d’amore degli animali? Charles Darwin affermava: “Gli animali non solo provano affetto, ma desiderano essere amati”.

Lo racconterei descrivendo ciò che si prova entrando nel box di un canile. Molti cani rimangono nascosti sperando tu vada via presto perché non hanno idea di cosa tu sia venuto a fare. Per me l'amore è quel cane rannicchiato nell'angolo del box che vorrebbe sparire dal mondo, quel mondo che probabilmente lo ha dimenticato lì per troppo tempo, e che mi guarda seduta accanto a lui e capisce di essere stato visto, accenna uno sguardo o un passo, forse scodinzola. Per me il linguaggio dell’amore più sincero è quello di chi forse non sa ancora cosa sia l’amore.

Generalmente si comprenda l’amore per i cuoricini pelosi dopo averli accolti in casa. Anatole France sottolineava un concetto notevole: “Fino a quando non hai amato un animale, una parte della tua anima sarà sempre senza luce”.  È così?

Sicuramente è un fatto di consapevolezza, vivere l’esperienza diretta ha un impatto emotivamente più forte e concreto ma conosco anche molte persone che comprendono pur non avendo avuto esperienze dirette e, al contrario, conosco persone che non hanno compreso la fortuna e il privilegio di condividere la vita con un animale pur avendolo accanto.

Il suo impegno è rivolto anche alle persone in difficoltà. Nel 2024 ha raggiunto, insieme ai volontari di Time4 life, il campo profughi di Kilis al confine turco-siriano per portare aiuti umanitari, generi di prima necessità, coperte, giocattoli per i bambini, nell’ambito di un progetto sviluppato in collaborazione con l’associazione Buona Vita di cui è vicepresidente, che esperienza è stata?

È sempre un intreccio di storie a cui lego la mia. Anche in questo caso stare ai margini e non al centro mi permette di vedere molte più cose senza i filtri che la vita ci impone. Portare un gioco o una maglia non salva una vita, ma dice a chi la riceve che in quel momento sei lì per lui o per lei ed è una gioia che allontana il contesto attorno per un attimo. Per me è uno scambio reciproco e sarò grata sempre per quello che ho ricevuto. Sono partita con valigie e borsoni pieni e carichi di attenzione e premura per ciascun oggetto donato e sono tornata solo con il mio zaino, ma altrettanto carico e pieno di doni di inestimabile valore.

Quest’anno la sua meta è stata l’Africa, nel Benin, per sostenere un progetto di scolarizzazione dei “bambini spaccapietre” che vengono impiegati nelle cave di pietra fin dalla tenera età, cosa ha provato?

Devo ancora metabolizzare molte emozioni e lo faccio dando un nome ai bambini, alle strade, ai villaggi. È il mio modo di passare dall’idea generale che abbiamo e che etichetta per semplicità delle vite che poi viste e abbracciate hanno il volto delle mie nipoti, dei bambini che qui chiamiamo per nome e che per distanza fisica ed emotiva ci sembrano forse tutte uguali. Jean Paul è nato con una disabilità motoria ed è stato accolto dal Villaggio di Tre, abbraccia tutti mentre gesticola felice; Love accompagna la mamma che lavora nel centro di maternità di Dassa e passa il tempo giocando con le pietre e le caprette di passaggio; Joy e Grace sono due gemelle appena nate che sembravano dipinte per quanto erano belle. Chiamarli per nome e ricordare ogni incontro è il mio più importante progetto personale, oltre a diffondere la consapevolezza che esistono realtà terribili di sfruttamento minorile come quelle dei bambini spaccapietre. 

Ha ottenuto tanti riconoscimenti, la soddisfazione più grande ad oggi qual è stata?

Di essere probabilmente ancora la stessa bambina che guardava le cose con attenzione e rifletteva tanto da cercare sempre un modo per poi agire. Di essermi sempre seduta al banco accanto a chi era in difficoltà e di essermi alzata per schierarmi anche quando era più comodo non farlo, di guardare sempre negli angoli nascosti, e non solo alle bellezze visibili a tutti, e di saper lavorare su me stessa perché so che la strada può riservarmi ancora infiniti incontri e saluti a cui va tutto il mio di riconoscimento.

Progetti futuri?

Sicuramente nuovi abbracci e nomi da imparare, nuovi incontri da raccontare e nuovi saluti a cui prepararmi in riva al mare. Con la speranza di poter mettere, prima o poi, nero su bianco tutte le storie che si sono intrecciate alla mia, da far leggere a chi avrà voglia di ascoltate e da tenere come promemoria se un giorno avrò bisogno di ricordarmi da che parte restare.

              


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