di TERESA ALOI
Dita che sfiorano le labbra. Uno sguardo di troppo. Un atteggiamento che certamente non aiuta una giovanissima studentessa ad entrare in un mondo tutto nuovo. E che per questo mette paura.
Lei - la chiameremo Claudia per tutelare la privacy - è una delle studentesse dell'Università Magna Graecia di Catanzaro che, con alcune colleghe dell'Unical, ha rotto il silenzio e svelato "atteggiamenti sconvenienti" all'interno degli Atenei.
Non è semplice trovare la forza e le emozioni giuste per affrontare cose simili ma Claudia ricorda perfettamente quel giorno. Attimi dopo attimi. Fotogramma dopo fotogramma. Un film vissuto in prima persona che ha montato e smontato mille e una volte per capire se avesse sbagliato qualcosa. Perché il più delle volte succede così: la prima persona che accusi è te stessa e il più delle volte non trovi nulla che possa giustificare quegli atteggiamenti.
E' il suo primo esame in Facoltà. Quella mattina di due anni fa arriva puntuale all'appuntamento. I professori, come è normale, non li conosce. Non sa nulla di loro. Ha solo studiato la materia per passare l'esame. Il primo di una serie per arrivare alla Laurea. Ad accompagnarla un collega.
"Mi aveva detto - ricorda Claudia - che durante le lezioni il professore faceva battute a chiaro sfondo sessuale specialmente alle ragazze. Era come se volesse mettermi in guardia". Ma lei, diciottenne, pensava fosse uno di quei professori che "si sforzano" di essere gagliardi, simpatici agli occhi delle matricole.
"Una volta entrati in aula - racconta - si è presentato in maniera arrogante. L'esame era scritto: ci ha controllato i documenti di identità e, a qualcuna, ha anche fatto togliere gli occhiali per controllare le foto tessera". Stranezze, eccesso di zelo. Forse.
Non erano in molti quel giorno. "Ci ha fatto restare in aula e alla fine del compito ci ha convocato singolarmente alla cattedra per correggere l'elaborato e assegnarci il voto". Quando è toccato il suo turno "ha cominciato a farmi domande: che scuola avessi frequentato, ad esempio, o perché avessi fatto il passaggio da una facoltà all'altra".
Alla fine, poco prima di darle l'esito del compito quella frase: "Lei non sarà in grado di fare la psicologa perché è molto emotiva".
Basterebbe questo per parlare di violenza. Una violenza sferrata a parole e si sa quanto le parole possano far male ancora più dei gesti.
Emotiva, già. Come può esserlo una ragazza che si trova in aula che non è quella che ha frequentato per cinque anni, attorniata da amici e professori che conosce da tempo. Ma che soprattutto la conoscono.
Era dispiaciuta Claudia. Tanto. Pochi minuti dopo il "gesto": quelle dita che sfiorano le sue labbra per spostare un non meglio identificato capello sulle labbra. "Mi sono sentita morire anche perché è successo tutto davanti ai colleghi" ricorda Claudia che solo oggi a distanza di due anni ha trovato il coraggio di denunciare rispondendo ad un semplice sondaggio lanciato dal gruppo 'Fem.In Cosentine in lotta', sulla sicurezza negli spazi universitari. Avrebbe voluto segnarlo all'Università, certo, ma ha avuto paura di essere l'unica. "Ora finalmente non mi sento più sola".
Di quel giorno ricorda anche le risate di alcune colleghe che si materializzano dopo il gesto del professore alle quali fanno da contraltare sguardi sbigottiti e increduli di altri. "Era come se fossi paralizzata e sono scappata fuori dall'aula".
L'esame Claudia l'ha superato. E non solo quello. Sul libretto ne sono segnati tanti. Diventerà una psicologa nonostante qualcuno gli avesse voluto far credere il contrario.
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