di Settimio Paone
Con il fragore dell’esplosione finale del tradizionale spettacolo pirotecnico, Montauro ha salutato anche quest’anno il suo Santo Patrono: San Pantaleone. Si è conclusa così una delle feste più antiche e identitarie dell’intera fascia ionica calabrese, un appuntamento che non è solo religioso, ma profondamente culturale e comunitario.
Il culto del Santo medico e martire affonda le sue radici nell’epoca dei monaci basiliani, giunti da Oriente. La stessa origine turca di San Pantaleone testimonia come la sua venerazione sia arrivata a Montauro già intorno all’anno Mille, rendendo questa festa uno dei segni più tangibili del legame profondo tra il paese e le sue radici spirituali.
Anche in questo 2025, i festeggiamenti si sono articolati su tre giornate — 25, 26 e 27 luglio — seguendo la formula ormai consolidata che unisce momenti religiosi intensi a manifestazioni civili sentite. Dalla solenne apertura delle reliquie, alla processione per le vie del borgo, ogni gesto ha parlato il linguaggio della devozione autentica.
Montauro, in quei giorni, cambia volto: si veste di festa, ma soprattutto di unità. È una comunità che si ferma, che si raccoglie, che sceglie di esserci, nel silenzio rispettoso e nell’entusiasmo condiviso, per onorare colui che da secoli protegge il paese.
E quando le luci si spengono e la quotidianità riprende il suo corso, resta la consapevolezza che l’appuntamento si rinnoverà. Perché ogni montaurse lo sa: “Io ci sono stato, ci sono e ci sarò ancora”, perché San Pantaleone non è una tradizione di passaggio, non è un evento da calendario: è l’anima stessa di questo popolo.
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