Sei pagine. Sei pagine, la lettera che il segretario provinciale generale del Siulp – Sindacato italiano unitario lavoratori di polizia, Gianfranco Morabito, ha inviato al ministro dell’Interno, Luciana Lamorgese, per descrivere la situazione che si vivrebbe all'interno degli uffici della questura di Catanzaro "situazioni che incidono negativamente sulla condizione psico-fisica di ciascuno e non vorremmo essere spettatori assenti di nuove tragedie".
E infatti si parte dall’escalation dei “drammi che vedono coinvolti, in quanto vittime, gli appartenenti alle Forze dell’ordine di questo Paese e degli appartenenti alla Polizia di Stato in particolare. La sempre crescente lista dei defunti per suicidio ci induce ad affrontare la questione senza ulteriori rinvii e senza celarsi dietro valutazioni superficiali”.
E non sarebbe tanto “il dato statistico in sè e per sè, quanto le motivazioni che inducono, nel maggior numero di casi, i nostri colleghi a porre fine volontariamente alla loro esistenza in vita”. E allora “non è più tempo di minimizzare, come purtroppo si è soliti fare, specie da parte di chi avrebbe il dovere di salvaguardare i propri Amministrati da simili gesta”. Perché “è molto riduttivo ricondurre le infauste gesta relegandoli a problemi di natura economica o sentimentali. Ben più profonde sono le motivazioni che spingono un essere umano, certamente in una condizione di fragilità psichica, di mettere fine alla propria esistenza”.
Morabito parla “di un collega a noi molto caro, così come molto apprezzato lo è stato anche per l’Amministrazione, che ha pagato lo scotto di dover conciliare la propria appartenenza alla Polizia di Stato per i traguardi di carriera conseguiti nel suo percorso professionale, i suoi impegni lavorativi, i suoi affetti genitoriali con lo stress psico-fisico della lontananza e la previsione di una soluzione ai propri problemi molto lontana nel tempo rispetto alle vissute criticità quotidiane”.
Tutto per arrivare a parlare di “incomprensione dell’Amministrazione nel suo agire quotidiano improntato più alla gestione numerica delle emergenze e non alla comprensione degli stati d’animo, delle esigenze, delle difficoltà anche di natura relazionale, dei carichi di lavoro, del mancato riconoscimento degli apporti meritocratici, della personalità complessiva delle donne e degli uomini in uniforme, il problema è lungi dall’essere affrontato con serietà e competenza”.
Da qui, la richiesta al ministro “di farsi promotrice di un’appropriata iniziativa legislativa che possa mettere al primo posto la condizione delle donne e degli uomini in divisa, le loro intime esigenze esistenziali per poter adempiere al meglio alla loro funzione di servizio e recuperare, senza ulteriori effetti, ognuno di noi ad una vita il più normale possibile”. Perché è in quegli uffici che si trascorrono “ il maggior numero delle ore giornaliere e siamo costretti a registrare esempi di becero autoritarismo in sostituzione di espressioni di autorevolezza, il ricorso all’azione disciplinare come strumento di pressione gerarchica a discapito della ricerca dell’efficientamento dei servizi, il mancato accoglimento delle singole aspirazioni non in ragione di chiare ed oggettive esigenze di servizio quanto per mantenere una dipendenza psichica per scelte emozionali più che nell’applicazione di criteri di trasparenza, efficientamento e correttezza gestionale”.
“Profondamente convinti che siffatti aspetti incidono in modo rilevante in ognuno degli operatori addetti alla sicurezza dei cittadini, già di per sé compito altamente gravoso” per Morabito “molta responsabilità in ciò appartiene all’agire dei Rappresentanti periferici dell’Amministrazione, specie in realtà, come quella catanzarese, ove fronteggiare le condizioni di precarietà esistenziale per l’assenza totale di servizi, la mancanza di lavoro, la diffusa povertà, l’oppressione criminale e le scarse prospettive di future positività, necessiterebbe quantomeno di vivere l’ambiente di lavoro non come una negatività, ma con l’entusiasmo di offrire il meglio di se stessi per la cosa comune”.
Ed invece, “contestazioni disciplinari a iosa peraltro caratterizzate da estremo rigore sia nella fase istruttoria sia in quella decisionale, mancata valutazione delle proprie aspirazioni prim’ancora che accoglimento delle stesse o, ancor peggio, determinazioni assunte in assenza di criteri oggettivi e codificabili, modificazione in pejus delle note caratteristiche individuali anche in contrasto alle indicazioni provenienti dai Dirigenti preposti, decadimento produttivo dell’apparato, deficienza organizzativa, soppressione di ogni forma assistenziale per le donne e gli uomini in divisa, decadimento della dignità professionale dell’Istituzione Polizia di Stato e di ogni singolo operatore, non sono altro che il risultato che, ahinoi, siamo costretti a registrare e a lamentare”.
Non fa mistero della linea di pensiero “rispetto alla gestione attuata sin dal suo insediamento dal questore Di Ruocco, che si è contraddistinta in parte da un becero burocratese, fine a se stesso ed alieno del buon senso e di ogni logica, ed in parte da procedure inquisitorie che sembrano proiettate a stabilire una tattica gestionale di tipo ispettivo permanente, i cui effetti certamente avranno ricadute negative nel tempo”.
E ancora: “Quello che si evidenzia agli occhi di un imparziale osservatore è che il questore – scrive Morabito - evidentemente sulla base di preconcetti intellettuali, non dimostra la minima fiducia nei confronti dei propri dipendenti, finanche Funzionari e Dirigenti, né, a dire il vero, appare ricercare un punto di convergenza che le consenta di superare i rapporti conflittuali da lei stessa generati: salvo rare eccezioni sono tutti sospetti collusi e quindi non affidabili. Non è dato sapere se sono scelte ponderate o meno, di certo, riguardando le gestioni dei Questori che l’hanno preceduta negli ultimi venti anni, è difficile trovarne qualcuno che possa condividere con la dottoressa Di Ruocco lo stesso scarso gradimento del personale”.
Un comportamento la cui conseguenza diretta “ non poteva che determinare un clima di terrorismo psicologico e di conseguenza tensione e malumore tra il personale, tormentato anche dallo spauracchio della contestazione di addebiti disciplinari cui il Questore fa ricorso oltre ogni ragionevolezza ed opportunità, evidentemente nell’intento di rafforzare la propria azione prevaricatrice”, incalza Morabito nella lettera al ministro, spiegando di aver “speso tutte le nostre energie per farlo comprendere al massimo Rappresentante dell’Amministrazione in questa realtà operativa”.
Sottolinea, Morabito, di “poter elencare ogni discrasia patita e sofferta dalle donne e dagli uomini della Polizia di Stato di questa provincia” ma “evitiamo di ricostruirle il nostro percorso sindacale di questi ultimi tre anni - anche perché ogni nostra singola rivendicazione è stata portata all’attenzione dei vertici del Dipartimento proprio perché ne rimanesse traccia documentale - nel corso dei quali abbiamo tentato di rimuovere ogni problema, avanzando proposte e ricercando confronti che altro non hanno prodotto che vuote promesse quando anche danni per le decisioni prese per contrastare e delegittimare il ruolo sindacale”.
Da qui l’auspicio di Morabito che il ministro possa intervenire “e fare in modo che la nostra realtà di servizio non venga considerata come luogo di arrivo per chi è prossimo al pensionamento, ovvero per chi ha già raggiunto l’apice della carriera, perché ormai senza entusiasmo, senza voglia di migliorarsi, che è impegnato a conseguire soluzioni formali a discapito della sostanza vera della nostra mission”.
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