di CARLO MIGNOLLI
“Arbëreshë”: è questo il titolo del nuovo brano firmato da Moreno, rapper ligure della scena italiana, che sceglie di raccontare con parole e immagini l’incontro tra due culture, quella italiana e quella albanese.
Frutto della collaborazione con Stresi, uno dei principali artisti del rap albanese, “Arbëreshë” è un vero omaggio all’Arbëria, l’insieme delle comunità italo-albanesi presenti in Calabria e in altre regioni italiane, simbolo di un’identità radicata e resistente.
Il videoclip – girato tra Catanzaro e Caraffa, cuore pulsante della cultura arbëreshe – alterna paesaggi urbani e riferimenti simbolici che celebrano la memoria storica delle minoranze etniche calabresi. A fare da sfondo alle prime inquadrature, uno scorcio del Porto di Catanzaro Lido, con gli inconfondibili scogli colorati dall’artista Massimo Sirelli, protagonista anche di una scena del video.
Moreno Donadoni, classe 1989, vincitore di Amici nel 2013, è stato il primo rapper a imporsi nel celebre talent show, diventando un riferimento per l’hip hop mainstream italiano. Con “Arbëreshë”, Moreno torna con un progetto consapevole, costruendo un ponte artistico tra storie di migrazione, identità e appartenenza.
Lo abbiamo intervistato per farci raccontare da dove nasce questo brano, come si è sviluppata la collaborazione con Stresi e cosa ha significato per lui attraversare – in musica e nella realtà – l’Arbëria.
L’INTERVISTA
Come nasce l’idea di dar vita a questo progetto, mettendo al centro questa identità culturale così particolare?
«Sono stato contattato personalmente dal maestro Albano Carrisi: chi è informato sa che lui in generale suona molto all’estero, anche in Albania. Mi ha detto che c’era un gruppo di lavoro, la Tech Pro di Roma, che collaborava con diversi artisti, tra cui uno di punta, Stresi, molto conosciuto in Albania e stavano cercando connessioni con rapper italiani. Per la stima che ha nei miei confronti, Albano ha fatto il mio nome. Così ci siamo conosciuti e da lì è nata l’idea di fare una collaborazione».
Che direzione avete voluto dare al brano?
«Guardando il panorama attuale, non volevo fare un pezzo eccessivamente autocelebrativo né pieno di cliché tipici del rap, come l’ostentazione. Ho voluto invece, nella connessione tra Italia e Albania, far risaltare la fusione fra due culture».
E come sei arrivato alla scelta del tema degli Arbëreshë?
«Ho pensato che fosse interessante citare un tema magari non molto conosciuto, come quello degli Arbëreshë, che nasconde una storia incredibile e molto affascinante. Era un omaggio voluto all’Albania e a questa minoranza, che secondo me merita visibilità. Mi ci rispecchio vagamente: i miei genitori sono entrambi del Sud, ma io sono stato concepito al Nord. Sentendo le loro storie di emigrati dalla Sicilia e da Napoli verso Genova, restando però fedeli al loro dialetto, al loro popolo, alla loro cultura, mi viene da dire che è come se fossero stati anche loro degli Arbëreshë al Nord».
Qual è, secondo te, il messaggio più potente che emerge dal pezzo?
«Al di là delle citazioni storiche, la parte che mi è piaciuto di più scrivere è quella dove si parla di persone costrette a muoversi alla ricerca di fortuna. C’è una frase in particolare: “Anche un re di Aragona chiede aiuto a un Castriota da Croia per passare alla storia contro ogni Giuda Escariota”. Questa è la parte più storica. Ma il concetto più forte è: non sapere cosa voglia dire cercare una nuova terra dovendo lasciare la propria. Credo che questo pensiero leghi il mio sangue a quello Arbëreshë: il mettersi nei panni di chi soffre nel lasciare la propria terra, senza sapere dove andrà. E poi c’è il cuore del pezzo: “Dopo il buio, mi sono chiesto cosa c’è”: è un salto nel vuoto, anche generazionale».
Veniamo al video, che si muove tra Catanzaro e Caraffa con un’estetica che mescola urbano e marino. Com’è nata questa idea?
«Vengo spesso al Sud e in Calabria per suonare. È sempre un piacere. Alcune dinamiche mi ricordano la mia infanzia, anche se non ho trascorso lì le vacanze. L’accoglienza è stata incredibile. Il momento più bello per me è stato andare al baretto del posto e vivere le persone, i veterani, che mi hanno accolto e inserito al meglio nel paese. Anche il sindaco e le istituzioni mi hanno fatto vedere tutta la parte del museo di Caraffa. Ho scelto Caraffa proprio perché sapevo che lì c’è una delle comunità Arbëreshë più grandi. È stato un piacere far vedere i vestiti tradizionali all’interno del video, indossati da ragazze bravissime, con abiti originali Arbëreshë».
Che ruolo ha avuto Massimo Sirelli nel progetto?
«Massimo è una chicca in più per un amante dell’hip hop e delle sue discipline. Poter avere Massimo che fa una tag nel video era un modo per sottolineare un elemento autentico, in un clima che fonde mare e urban. Nel territorio, Massimo è un’istituzione, oltre che un mio grande amico».
Dopo un progetto così radicato nella cultura e nella memoria, hai già in mente nuovi temi o collaborazioni future?
«Sì, ho intenzione di pubblicare una canzone al mese fino a settembre, mese in cui annuncerò la data di uscita dell’album. Ci saranno nuove collaborazioni, anche se non toccherò sempre temi sociali così importanti. Questo era fondamentale per me perché, collaborando con un rapper albanese, ho voluto tirare fuori il meglio da questa cultura».
Hai ricevuto un feedback dalle comunità Arbëreshë?
«Sì, la risposta è stata molto positiva. Sono stato contattato da persone del territorio che organizzano eventi con le comunità Arbëreshë. Mi hanno chiesto di poter utilizzare il pezzo come colonna sonora dei loro eventi, in cui saranno addirittura 40 o 50 le comunità presenti in un evento di due giorni. Anche sui social – tra YouTube, TikTok, ecc. – il feedback è buono. Ma non ci fermiamo: siamo già concentrati su quello che verrà».
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