Morte del generale Mino e segreti italiani, a Pannella disse: "Non prendo più l'elicottero"

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images Morte del generale Mino e segreti italiani, a Pannella disse: "Non prendo più l'elicottero"

  31 ottobre 2022 15:46

di PAOLO CRISTOFARO

Intorno alle 14:50 del 31 ottobre 1977 la centrale dei Carabinieri perde il contatto radio con un elicottero AB 205 decollato da Catanzaro che stava compiendo un tragitto brevissimo, di una decina di minuti, verso Rosarno. L'elicottero, appena decollato, stava sorvolando le pendici di Monte Covello, nella zona di Girifalco. Quell'elicottero verrà rinvenuto distrutto sulla montagna e i suoi occupanti, sei persone, perderanno la vita, tutti. A bordo il Comandante Generale dell'Arma dei Carabinieri, Enrico Mino, il colonnello comandante della Legione Carabinieri di Catanzaro, Francesco Friscia, l'aiutante di campo del generale Mino, colonnello Luigi Vilardo, il comandante del Centro Elicotteri Carabinieri di Pratica di Mare, Francesco Sirimarco, il pilota della base elicotteri di Vibo, Francesco Cerasoli e il brigadiere Costantino di Fede, motorista degli elicotteri di Pratica di Mare. Ma su quel sinistro, del quale oggi ricorre il triste 45° anniversario, persistono ombre mai dissipate. Ombre delle quali si è parlato anche nel corso delle audizioni della Commissione Parlamentare d'Inchiesta sul terrorismo e sulle stragi. Proveremo, con l'aiuto non dell'immaginazione, ma dei documenti, delle testimonianze e della storia, a tracciarne i contorni.

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COSA SAPEVA IL GENERALE MINO? GLADIO, P2, SERVIZI E ARMI NASCOSTE - Il Comandante Generale dell'Arma dei Carabinieri, Enrico Mino, fisse anni complessi della storia sia politica che militare italiana, a cavallo tra il Piano Solo (1964) e il rapimento Moro (1978) avvenuto appena un anno dopo la sua morte. Dai verbali delle Commissioni d'Inchiesta emergono dettagli di non poco conto; dettagli che ci rendono edotti del fatto che Mino conoscesse molte delle vicende più segrete del suo tempo, avendo contatti diretti con gli interessati e ovviamente con alti vertici del governo, come Andreotti. Nel 1972, ad Aurisina in provincia di Triste, fu scoperto un deposito di armi riconducibile alla Gladio. Mino, probabilmente, ne era a conoscenza. A dichiararlo, in un'audizione di una Commissione su Gladio, il 13 dicembre 1990, il generale del Carabinieri, Arnaldo Ferrara, anche lui indagato poi per l'Aurisina.

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(Il verbale dell'audizione del generale Arnaldo Ferrara)

Inoltre, da verbali e ricostruzione, emerge anche la piena conoscenza, da parte di Enrico Mino, di dinamiche legate a gruppi della P2 attivi nelle forze armate del tempo e nella politica. Elementi che Mino conosceva perfettamente, come Vito Miceli, generale ed ex direttore del SID (Servizio Informazioni Difesa), finito sotto inchiesta per favoreggiamento al cosiddetto Golpe Borghese e poi assolto, che continuò ad essere legato alle vicende di Gladio e si scoprì essere iscritto alla P2. O anche un altro ex generale del SID, come Gianadelio Maletti, capo dell'ufficio D, che finito sotto inchiesta riparò in Sud Africa, a Johannesburg, dove andrò a sentirlo il giudice Felice Casson.

(L'ex generale del SID, comandante dell'ufficio D, Gianadelio Maletti)

LE DICHIRAZIONI DELL'EX SID MALETTI AL GIUDICE CASSON - A Casson Maletti fece una serie di rilevazioni inedite su Gladio e sui rapporti con i servizi italiani e con le forze armate. Maletti era giunto al SID nel 1971, mentre a capo c'era il già citato Miceli, a lui ostile. Una lotta tra correnti interne al corpo che, stando ad alcune dichiarazioni che vedremo a breve, sarebbe esistita anche all'interno dell'Arma dei Carabinieri. Nel 1976 Maletti fu imputato nel processo di Catanzaro per la Strage di Piazza Fontana e il suo nome apparve nella lista P2 ritrovata a villa Wanda, la residenza di Licio Gelli. Nell'incontro con Casson parlarono tutti i quotidiani. Due interessanti articoli "La verità di Maletti su Gladio", di Giorgio Giacchetti e "Spunta un'altra Gladio, era una creatura del SID", di Giovanni Maria Belli, apparvero su La Repubblica rispettivamente il 30 aprile 1991 e il 17 novembre 1990.

(In commissione si fece più volte riferimento ad incontri tra Enrico Mino, vertici militari e altri personaggi che andavano anche a casa sua)

Maletti riferì, anche in incontri successivi, svariate informazioni anche su Enrico Mino. Nei primi anni Settanta un articolo di giornale accusava l'allora colonnello dei Carabinieri Minervino di essere coinvolto in una sorta di golpe. Le armi a disposizione le avrebbe dovute prelevare un esponente del SID. Minervino avrebbe chiesto, secondo Maletti, proprio a Mino il permesso di querelare quel giornalista. Permesso negato da Mino. Lo negò poiché, stando alla ricostruzione di Maletti, "fu informato direttamente da Andreotti del fatto che il governo fosse a conoscenza di quel dispositivo militare e del suo eventuale impiego".  

(In un verbale della Commissione d'Inchiesta si fa riferimento ad attività di controllo messe in campo dal generale Mino per prevedere possibili azioni eversive delle quali aveva avuto notizia) 

MALETTI RIFERISCE ALLA COMMISSIONE D'INCHIESTA DEL MARZO 1997 DI UN INCONTRO TRA ENRICO MINO E IL GIORNALISTA PECORELLI - Le dichiarazioni sul fatto che Mino fosse a conoscenza di molte vicende e trame poco chiare e che, forse per motivi d'indagine, le seguì a fondo, continuano nella conversazione tra Maletti e i membri della Commissione d'Inchiesta del 1997 che lo raggiunsero in una sala riunioni dell'Hotel Park Hyatt di Johannesburg. E' il 3 marzo 1997. Maletti riferì di un'antipatia nei suoi confronti da parte del giornalista Mino Pecorelli, che bazzicava negli ambienti del SID (com'è noto, Pecorelli disponeva di ampie informazioni su diverse vicende e prima di essere ucciso aveva promesso, dalle colonne del suo giornale OP, rivelazioni sul caso Moro, ma non fece in tempo). Antipatia di Pecorelli per Maletti durata finché proprio il generale Enrico Mino non li fece incontrare a casa sua. "Nel 1976, dopo il mio rilascio dal carcere di Catanzaro il generale Mino, comandante dell'Arma, con il quale ero in rapporti di amicizia e a breve distanza geografica (abitavamo nello stesso quartiere), mi chiese de avessi per caso voluto far conoscenza di Pecorelli [...] e ci incontrammo a casa del generale Mino", riferì testualmente l'ex SID Maletti al senatore Corsini, che faceva parte della Commissione.

(Il giornalista Mino Pecorelli, dell'Osservatorio Politico)

IL RACCONTO DI MARCO PANNELLA: "MINO NON VOLEVA PIU' ANDARE IN ELICOTTERO" - Acclarato che il generale Mino fosse a conoscenza di inquietanti vicende che hanno riguardato il nostro Paese negli anni Settanta, vale la pena rilevare quanto riferì a più riprese, anche in Commissione d'Inchiesta, Marco Pannella, che fin dall'inizio si dichiarò convinto che l'incidente di Monte Covello, in cui persero la vita Mino e gli altri militari dell'Arma, non fosse stato appunto un incidente, ma una strage pianificata. In Commissione il 28 gennaio 1998, Pannella riferì di un incontro tra lui e Mino a Trevi, nei pressi di Foligno, nel settembre 1977, poco più di un mese prima della morte di Mino. L'incontro tra i due si sarebbe verificato tra il 15 e il 18 settembre, Mino morirà il 31 ottobre.

Pannella riferì di aver ricevuto una telefonata da Mino che gli chiedeva di incontrarlo sul ciglio della strada, lontano dall'abitato. Pannella l'avrebbe raggiunto in macchina. "Non voglio parlare nemmeno vicino alla macchina, può darsi che abbia orecchie", avrebbe detto, secondo quanto riportato da Pannella, il generale Mino al suo arrivo. Il comandante dell'Arma, in quell'occasione, avrebbe pregato Pannella di accettare una scorta, anche per alcune sue dichiarazioni fatte dal fronte radicale in riferimento a possibili riforme degli ambienti militari. Sempre da verbale della Commissione del 1998, risulta che il generale Mino riferì a Pannella di non aver detto a nessuno, neppure a Roma, di averlo raggiunto e di dover rientrare. Poi gli avrebbe confidato di non voler più usare l'elicottero per spostarsi. "Ho dato disposizioni che non userò l'elicottero per qualunque ragione", le parole che Mino avrebbe detto a Pannella. 

(Il leader dei Radicali Marco Pannella)

Il radicale era convinto che Enrico Mino fosse "un generale repubblicano", un ufficiale "leale e fedele", anche se riferì che era massone. "Massone un po' ingenuo e simpatico. Faceva gli ammiccamenti e altre cose anche un tantino demodé", disse Pannella. Quando seppe della morte di Mino si recò poi al funerale, a Santa Maria degli Angeli, dove si accorse - lo dirà in seguito - di non essere guardato di buon occhio da molti generali e ufficiali presenti. Uno solo gli sarebbe andato incontro, l'allora capitano dei Carabinieri Antonio Varisco, anche lui ucciso poi nel 1979 in un attentato rivendicato dalle BR

(L'avvocato e parlamentare di AN Vncenzo Fragalà, ucciso dalla mafia)

IL RUOLO DI VINCENZO FRAGALA' IN COMMISSIONE E I DUBBI SULLA CADUTA DEL VELIVOLO - Membro della Commissione d'Inchiesta alla quale prese parte Pannella, anche Vincenzo Fragalà, avvocato di Palermo e parlamentare di Alleanza Nazionale, anche lui ucciso nel 2010  in agguato di matrice mafiosa. A bordo dell'elicottero precipitato a Girifalco vi era il suocero dello stesso Fragalà, anche lui morto sul colpo con Mino. "Marco Pannella da esponente politico e da testimone di un incontro con il generale Mino, aveva riferito delle cose certamente importanti e inquietanti", disse Fragalà nel 1998 in Commissione. "Il generale Mino si recò in Calabria e fece venire da Roma la sua macchina (la 130 del Comando Generale) dal momento che il giro in quella regione lo doveva fare in auto e non in elicottero", proseguì Fragalà. "L'elicottero del Comando, pilotato dal colonnello Sirimarco, fu fatto venire improvvisamente senza che ve ne fosse motivo, anche perché la Legione di Catanzaro era munita di elicottero, anzi di due, sui quali il generale in caso di necessità sarebbe potuto salire [...] Mino ordinò che l'elicottero fosse piantonato nel cortile", continua. "C'era una giornata di Sole, tant'è che l'elicottero che lo precedeva passò in modo assolutamente tranquillo e comunicò via radio"

(I rottami dell'elicottero dopo lo schianto, in una fotografia diffusa dall'Arma dei Carabinieri)

 

 

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