Morte di Matteo Messina Denaro, la riflessione di Franco Cimino

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Franco Cimino
  25 settembre 2023 15:34

di FRANCO CIMINO

È morto Matteo Messina Denaro, la cui fama planetaria non richiede alcuna aggettivazione informativa. La notizia è da poco arrivata alle agenzia di stampa e già ha fatto il giro del mondo. Si è spento nella notte, dopo alcuni giorni di agonia, per la più parte farmacologicamente indotta per sottrarlo alla sofferenza fisica più dura. É morto come ha vissuto. Vissuto tra autenticità e finzione, almeno in quell’aspetto in cui la sua fama non era pari alla caratura di capo mafia che la cronaca, anche romanzata, e le esigenze propagandistiche del potere, gli avevano attribuito. Un passaggio rapido su questo punto, che gli analisti, e vieppiù gli storici, avranno modo di approfondire, senza però annullarlo, come io credo. L’autenticità: Messina Denaro, figlio di don Ciccio, capo mandamento di Castelvetrano, cresciuto a pane e lupara, a cultura della violenza e della vendetta, a senso del dominio e volontà di padronanza, era un mafioso fino al midollo. E come tale ha vissuto, fin da ragazzo, età dalla quale ha mosso le “ prime dita” sul grilletto. Per tutta il tempo della vecchia organizzazione malavitosa, egli ha avuto due capi, ammirati, amati, temuti, il padre e Totó Riina. Da essi ha cercato di apprendere tutto ciò che era possibile. E, di più, necessario, per poter gestire il potere che, predestinato, gli sarebbe arrivato in dote.

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Autenticità: è stato un mafioso vero. Costante, intelligente, a tratti geniale, cattivo e feroce quando gli era necessario o quando doveva obbedire agli ordini. La sua intelligenza si portava su terreni insoliti per l’organizzazione, quelli che pochi, prima di lui, altrove, però(vedi Pasquale Galasso di Poggiomarino o il suo ex capo Carmine Alfieri di Napoli)hanno coltivato, l’imprenditoria. La partecipazione diretta, cioè, alla vita economica del luogo, pur drogandola e avvelenandola. La capacità, cioè, di investire nelle attività produttive i proventi illeciti e il denaro insanguinato. Attività che l’hanno portato ad accumulare una ricchezza enorme, inquantificabile. L’autenticità: trent’anni di latitanza e di bella vita in essa, nonostante le dichiarate ricerche delle polizie di mezzo mondo in collaborazione con i nostri centri investigativi più attrezzati e la robusta magistratura antimafia nazionale. L’autenticità: da sempre, cresciuto in una famiglia potente nella quale era di fatto vezzeggiato e coccolato(l’unico maschio e figlio più piccolo), ha vissuto nell’eleganza e nel culto della vanità e della ricerca del piacere edonistico e personale. Più che farsi temere e celebrare dagli altri, si piaceva. Amante delle belle donne, amava anche farsi conquistatore incontrastato di quelle che sceglieva, facendo finta che non gli cadessero già prima tra i piedi per via del vero suo fascino, quello del potere, e che potere! e della ricchezza, e che ricchezza! Finzione, ovvero parziale verità: per tutti i motivi di cui sopra, Matteo Messina Denaro, nonostante avesse gestito, e con crudeltà, un potere enorme, vasto anche sul territorio che aveva di fatto cancellato i confini mandamentali e i perimetri familiari, e fosse stato letteralmente incontrastato mai subendo una vera guerra interna, rafforzato, come furbamente è avvenuto, dell’alleanza con i fratelli Graviano), egli non ha raggiunto la vera caricatura del capo mafia. Quella dei Liggio, dei Badalamenti, dei Riiina, e neppure forse quella di Provenzano, per intenderci. Probabilmente non per demerito personale. Ma di certo per l’assenza di veri antagonisti. Consegnato( si) Provenzano, anche lui malato terminale di tumore, l’ancora giovane Matteo ha ereditato una mafia senza capi al suo interno, priva di famiglie forti e di mandamenti organizzati. Probabilmente (questo, sì, fatto estremamente significativo), già finita, almeno nella versione che la sua storia ci ha consegnato. Non sapremo mai di quale forza di capo autentico sarebbe stato il suo comando incontrastato. Anche più generalmente, per lungo tempo, incontrastato. Di che qualità il suo potere malavitoso.

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Potere che, nella storia delle mafie mondiali, acquista legittimità piena nelle relazioni rispettate e riconosciute con le mafie di oltreoceano, quelle americane tutte. La mia analisi evidentemente é troppo estemporanea ed emotivamente condizionata per essere in qualche modo oggettivabile. Tuttavia, troverà, ne sono certo, un suo fondamento negli studi più “ pacati” che saranno fatti in seguito dagli esperti. Finzione, ovvero parziale verità, ovvero ancora autenticità: come anticipato, attraverso la trasmissione di Massimo Giletti da quello strano personaggio, Salvatore Baiardo, con piena libertà di microfonono, amico soltanto, a suo dire, dei fratelli Graviano, Matteo Messina Denaro, sarebbe stato catturato, poche settimane dopo quelle dichiarazioni, e cioè a metà gennaio di quest’anno. Lui alludeva chiaramente al fatto che si sarebbe consegnato per l’aggravarsi delle sue condizioni e per la necessità di cure più appropriate. Cosa sia avvenuto a seguito di quelle dichiarazioni e delle notizie e dello stranissimo informatore, da chi, questi, le abbia ricevute e perché le abbia propalate, e in quel momento, per quanto chiunque se ne possa fare un giudizio, qui non ha molta importanza. Non ha neppure importanza rilevare che ci abbia azzeccato pienamente e perché. Come anche il fatto, certo sì, che il conduttore di quella trasmissione di successo e autore di uno scoop giornalistico, altrove che non in Italia, considerato eccezionale, sia stato dopo poche settimane licenziato in tronco. Qui, in questa riflessione, non conta neppure il silenzio tombale che è piombato, da parte di tutti, su quel licenziamento, cosa in sé comunque gravissima trattandosi di un giornalista e di un talk d’informazione, quale ne fosse la sua qualità( a me non piaceva molto e non piaceva tutta). Qui conta solo il destino di un uomo cattivo, di un mafioso brutale, che giocava a mostrarsi l’opposto di quel che era. Quindi, un po’ romantico, un po’ gentiluomo, un po’ ragazzo di famiglia dai valori antichi, un po’ padre di famiglia preoccupato, educatore pensoso, un po’ divoratore di letture buone, un po’ poeta. Conta il destino di un uomo che ha voluto dapprima contrastarlo, quel destino, e poi, per non arrendersi ad esso, di guidarlo, in parte riuscendovi. Quasi scendendone a patti. Matteo Messina Denaro, ha scelto lui dove e come morire. Voleva una stanza che non fosse la cella stretta del 41 bis, e un letto comodo, con le finestre aperte al mondo. Voleva essere assistito clinicamente al meglio e accompagnato alla fine senza soffrire, addirittura dettando ai medici la volontà di non essere sottoposto al cosiddetto “ accanimento terapeutico”. Essere seguito lungo il percorso finale, per quanto brevissimo, dai suoi familiare più stretti e più in condizioni di vederlo. In particolare, la donna che gli ha dato l’unica figlia, e la figlia stessa, sebbene a lei concedesse l’acquisizione del nome e il riconoscimento legale della paternità, ma non di poterlo vedere mentre si consumava.

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Tutto questo ha ottenuto. Voleva morire da capo mafia e vi è riuscito. Resteranno ferme e considerevoli le dichiarazioni rese ai magistrati, che lo interrogavano. Non sono trapelate tutte e testuali. Anche qui sapremo dopo. Gli esperti le studieranno appieno. Dalle poche filtrate, sembrerebbe che egli, con una sorta quasi di disprezzo o meglio di sfida, o meglio ancora di provocazione, abbia detto che se non fosse stato gravemente ammalato lo Stato non lo avrebbe catturato mai. E, poi, che lui non si sarebbe pentito mai, aggiungendo ironicamente che non è mai stato mafioso. Insomma, se fosse tutto confermato, Matteo Messina Denaro, è vissuto e morto come ha voluto. Questo qui conta, e sul quale letteratura e cinema si lanceranno per costruire quelle vite romanzate, come le tante elegiacamente già prodotte, l’ultima il “ capo dei capi”, per fare di quest’uomo, oppositore del senso umano della vita, una sorta di eroe dei nostri giorni. Esattamente come desiderava. E come avrebbe voluto. Lui, oggetto e soggetto del suo destino. Credente o no, pentito nella confessione o no, credenti noi o no, Altrove da qui, che esista o no l’altra vita di noi, sarà giudicato. Se altro non esiste, la morte fisica e l’annientamento dell’essere, è già una condanna definitiva. Resta una domanda, anzi tre, che io con tanti tanti immagino, mi pongo. Dei segreti che custodiva, dei nomi della politica e delle istituzioni con cui si è rapportato, dell’agenda di Borsellino e dei pizzini di Provenzano come delle cartacce di Riina, del tesoro non scoperto e del denaro non consegnato, cosa sarà? E di noi, che lo abbiamo temuto terribilmente, e che per le sue azioni abbiamo pianto di un dolore immenso, che ne sarà? E a noi, a questa società bombardata da tutte le parti e che dalle mafie ha subito danni incommensurabili, che ne viene da questa morte? Della prima domanda non so dire, ne resto solo assai dispiaciuto. A noi, invece, ne viene una maggiore serenità e un certo collettivo sollievo per il fatto che quest’uomo, in fondo tragico, non possa più far male. E non per la morte, per la quale muove la pietà possibile. Ma per il fatto che fosse già stato preso in carico dalla Legge e dai suoi strumenti. Alla società ne viene la più grande convenienza. Essa è data dalla certezza- inquirenti e studiosi valuteranno meglio-che la mafia, come la ‘ndrangheta e la camorra o la sacra corona unita, almeno nella vecchia accezione e organizzazione, con la scomparsa dell’ultima capo di un certo peso, e per assenza di eredi o successori già pronti, è finita. Se lo Stato ne saprà approfittare mettendo in campo tutte le strategie, non solo sul fronte della lotta “ militare”, allora potremmo iniziare a dire che la Democrazia incomincerà a vincere anche qui. Su questo terreno inaridito e minato.

Ché la Democrazia, continuamente minacciata dalla violenza( tentati golpe, associazionismo segreto di diverse origini, terrorismo di ogni colore, criminalità organizzata, corruzione di diversa specie) che la vorrebbe sovvertire o piegare, si afferma ogniqualvolta lo Stato convince della sua autorità. E della sua forza. E, di conseguenza, restituisce, con il Diritto, i diritti ai suoi cittadini, riconsegnando loro la Libertà, che violenti e prepotenti, di qualsiasi tipologia, gli hanno, in qualsiasi modo, sottratto o semplicemente ridotto. Ché, fa sempre bene ricordarlo, Libertà è sostanza della Democrazia. Elemento costitutivo dell’essere umano. Vita della Vita. Libertà di tutti. Della Persona, delle persone, della società. Della Politica e delle istituzioni.

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