Gli scafisti "non volevano chiamare i soccorsi". E' emerso oggi davanti al gip del Tribunale dei minori di Catanzaro dove sono proseguite le udienze dell'incidente probatorio del procedimento a carico del 17enne pachistano indagato quale presunto componente dell’equipaggio dell'imbarcazione naufragata nelle acque di Steccato di Cutro (Crotone). Questa mattina era prevista l'escussione di tre superstiti al tragico naufragio dello scorso 26 settembre, ma dei tre è stato dichiarato irreperibile mentre un secondo sopravvissuto non è comparso ed è stato riconvocato per il 4 aprile con la forma dell'accompagnamento coattivo. A essere ascoltato oggi è stato dunque solo un giovane afghano, Kabiry Rohullah, che ha raccontato di essere scampato alla morte nuotando fino a riva.
"Il giovane afghano - ha spiegato Domenico Poerio, l'avvocato che ha assistito il teste, parlando con i giornalisti - ha riconosciuto l'indagato dicendo che ha avuto una parte all'inizio, perché aveva nella sua disponibilità una casa nella quale sono stati ospitati i 180 migranti prima della loro partenza verso l'Italia, ha detto che era la casa dei trafficanti. Poi tutti sono stati trasferiti con dei camion in uno dei quali c'era l'odierno indagato. Questo indagato secondo il mio assistito aveva un ruolo nell'organizzazione, un ruolo minore rispetto ad altri individuati come scafisti o piloti ma aiutava l'equipaggio".
"Nel suo racconto, Kabiry Rohullah ha sostenuto che “l’ultima notte il mare era ancora più agitato. Anche quando ci hanno dato i telefonini non avevamo linea perché c’era un Jammer. Abbiamo chiesto agli scafisti di chiamare i soccorsi ma ci hanno detto che non c’era bisogno. Non li hanno chiamati nemmeno vicino alla costa, non li hanno voluti chiamare nemmeno vicino alla costa. Quando poi hanno visto delle luci a terra hanno pensato che fosse la polizia, hanno fatto una manovra repentina per scappare. Le onde alte – ha proseguito il teste – hanno fatto inclinare la barca, poi è avvenuto l’urto”. Nel corso dell'escussione del giovane afgano è stata di nuovo affrontata la questione della eventuale presenza a bordo dell'imbarcazione di un borsone pieno di soldi, presenza riferita nei giorni scorsi da alcuni organi di informazione: "Il mio assistito - ha concluso l'avvocato Poerio - ha detto che non ha visto nessun borsone, ma che una coppia che stava nella stiva gliene ha parlatoborsone".
All'udienza ha partecipato anche l'avvocato Francesco Verri, legale dei parenti delle vittime del naufragio di Cutro: "L'aspetto dal mio punto di vista più interessante - ha sostenuto l'avvocato Verri - è legato alle fasi che hanno preceduto l'urto perché il superstite ha dichiarato che gli scafisti puntavano sul favore delle tenebre, volevano cioè arrivare di notte. È un dato acclarato però significativo e anche, a questo punto, processuale, perché così come gli scafisti sanno che arrivando di notte si rendono meno riconoscibili, l'attenzione delle autorità di notte dev'essere maggiore per la stessa speculare ragione. Il drammatico gioco a guardia e ladri presuppone che i ladri facciano i ladri ma che le guardie facciano le guardie. Il superstite - ha quindi concluso Verri - ha dichiarato che ha nuotato circa mezzora e quando è arrivato a terra c'erano già i carabinieri, quindi potrebbe essere arrivato a terra dopo il testimone che abbiamo sentito ieri, che ha invece nuotato solo mezzora ma non ha trovato nessuno, solo un pescatore".
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