I carabinieri del comando provinciale di Torino, su richiesta della Dda, hanno arrestato 9 persone a Ivrea, Chivasso e Vibo Valentia per associazione di tipo mafioso, truffa aggravata, estorsione, ricettazione, usura, violenza privata e detenzione e porto illegale di armi, aggravati dal metodo mafioso. Gli arrestati fanno parte di una locale di ‘ndrangheta operante sul territorio di Ivrea e nelle zone limitrofe, connessa alla cosca degli Alvaro “carni i cani” di Sinopoli (RC).
L’esponente di spicco é Domenico Alvaro, già condannato per associazione di tipo mafioso, figlio di Carmine Alvaro detto “u cupirtuni”, vertice della ‘ndrangheta a Sinopoli. Le indagini sono partite nel 2015 a seguito dei procedimenti Carni i cani e Big Bang, con l’obiettivo di analizzare i contatti tra i clan Alvaro e Crea.
Nell’operazione dei carabinieri, denominata Cagliostro, è emerso come Carmine Alvaro, servendosi del primogenito Domenico, avrebbe strutturato un’articolazione di tipo mafioso ‘ndranghetista radicata sul territorio di Ivrea e nelle zone limitrofe, collegata alla rete unitaria della ‘ndrangheta piemontese.
Oltre al reato associativo, sono stati raccolti gravi indizi di colpevolezza su una serie di truffe commesse in concorso con altri indagati non appartenenti all’associazione, ai danni di imprenditori della provincia di Torino.
Gli indagati si accreditavano come persone legate a “famiglie” criminali calabresi prospettando alle vittime, alcune delle quali in difficoltà economica, la possibilità di acquistare ingenti somme di denaro “sporco” dando in cambio somme di denaro inferiori con il versamento, a titolo di anticipo, di un acconto, a volte sotto forma di lingotti d’oro e gioielli. Una volta scoperte le truffe, gli indagati avrebbero utilizzato la loro appartenenza all’associazione mafiosa per intimidire le vittime e farli desistere da ogni azione per riavere il maltolto.
Le somme sottratte supererebbero i 600mila euro. Inoltre, il gruppo avrebbe commesso due estorsioni ai danni di un broker finanziario, costretto a consegnare 85mila euro, incassati mediante l’intermediazione di alcune società fittizie ed in danno di alcuni imprenditori operanti nel mercato ittico. Gli ‘ndranghetisti avrebbero anche costretto un imprenditore edile in difficoltà economiche a effettuare dei lavori nell’abitazione di uno degli indagati, senza pagare nulla e, anzi, costringendolo ad accettare un prestito a tasso usuraio.
L’indagine ha anche consentito di raccogliere elementi per dimostrare il ruolo di esponenti del clan Belfiore, che avrebbero estorto denaro a due degli indagati in un contesto di intimidazione mafiosa che ha di fatto rivelato la caratura criminale dei rappresentanti dei Belfiore, riconosciuta anche dagli esponenti della cosca Alvaro. I nove indagati sono stati condotti nelle diverse carceri situate in regioni limitrofe al Piemonte, in attesa dell’interrogatorio di garanzia davanti al gip.