Sono Pasquale Zagari e Domenico Avignone i principali indagati arrestati oggi nell'operazione "Spes contra spem". I loro nomi compaiono nell'ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal gip Tommasina Cotroneo su richiesta del procuratore Giovanni Bombardieri, dell'aggiunto Gaetano Paci e del sostituto della Dda Giulia Pantano. Dieci indagati sono finiti in carcere e uno ai domiciliari. Altre quattro persone, inoltre, sono indagate in stato di libertà.
I carabinieri hanno ricostruito le estorsioni ai danni di alcuni imprenditori che, interrogati dagli investigatori, hanno ammesso le vessazioni e le richieste estorsive subite dai due principali indagati: i boss Domenico Avignone e Pasquale Zagari. Quest'ultimo, anche evocando esplicitamente i morti della faida di Taurianova e la sua capacità di risolvere i problemi con la violenza, ha costretto imprenditori e cittadini a dazioni in denaro, sia per rafforzare la cosca e sia per il mantenimento delle famiglie in carcere. Le vittime sono state anche costrette ad abbandonare i locali utilizzati per le loro attività commerciali. Secondo i pm, Zagari si è intromesso nella compravendita di terreni, chiedendo somme di denaro per autorizzare l'acquisto o comunque coartando la loro volontà nelle scelte imprenditoriali e private in favore di soggetti a lui vicini.
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L'inchiesta ha consentito di accertare anche il ruolo di Domenico Avignone, figlio dello storico boss Giuseppe Avignone già condannato all'ergastolo e protagonista dalle Strage di Razzà del 1977, quando, in uno scontro a fuoco seguito alla scoperta di un summit 'ndranghetista, furono uccisi i carabinieri Stefano Condello e Vincenzo Caruso. Al momento ricercato e anche lui già condannato per 'ndrangheta, Domenico Avignone, offriva "protezione" non richiesta a alcuni imprenditori, risolvendo loro problematiche o rassicurandoli per lo svolgimento "in sicurezza" del loro lavoro. Avignone si sarebbe intromesso nell'acquisto di terreni e immobili, arrogandosi il potere di rilasciare un 'nulla osta' in favore di uno piuttosto che di altri e avendo il potere di estromettere eventuali soggetti non graditi. In cambio le vittime subivano quella che la Dda definisce una sorta di "estorsione ambientale": somme di denaro che dovevano pagare al boss per il suo servizio. Nel corso delle indagini i carabinieri hanno trovato un vero e proprio arsenale a disposizione degli indagati: due fucili mitragliatori "Zastava", armi da guerra, un fucile "Sauer" calibro 12 "Beretta" con matricola punzonata, numerose munizioni di vario calibro, due giubbotti antiproiettile, nonché una bomba a mano da guerra modello "m53 p3" di provenienza slava
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