'Ndrangheta. Azienda edile di Reggio deve restituire 650mila euro al Ministero. Interdittiva fa revocare il contributo per una centrale di betonaggio

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Impianto di betonaggio
  11 maggio 2020 12:48

di PAOLO CRISTOFARO

Un'azienda del reggino dovrà restituire al Ministero dello Sviluppo Economico circa 650mila euro di finanziamento, per una sopraggiunta interdittiva antimafia emessa dalla Prefettura di Reggio Calabria, nel 2015. L'investimento proposto riguardava la realizzazione di una centrale di betonaggio con impianto fotovoltaico e il decreto di ammissione al beneficio prevedeva l'onere di restituzione della somma di 461.790,00 euro in 14 rate semestrali, rimanendo la restante parte del finanziamento a fondo perduto.

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L'azienda, contro l'interdittiva, aveva fatto ricorso sia al Tar che al Consiglio di Stato, con esito negativo. Sempre al Tar di Reggio Calabria, ora, si era rivolta resistendo contro la richiesta di restituzione della somma, ma il Tribunale, con sentenza publicata in data odierna (presidente: Caterina Criscienti; estensore: Antonino Scianna) ha dato ragione al Ministero

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"E’ infondato il secondo ordine di censure, con il quale parte ricorrente si duole del fatto che la restituzione delle somme corrisposte farebbe illegittimamente gravare sull'azienda i costi sostenuti dallo Stato per la realizzazione dell'interesse pubblico in vista della realizzazione del quale fu concesso il finanziamento, con conseguente ingiustificato arricchimento per la Pubblica Amministrazione", spiega il Tribunale, poiché "l’operatività della disposizione è tuttavia condizionata alla dimostrazione che le opere eseguite dal privato con l’ausilio di risorse pubbliche siano state di qualche utilità per la collettività. Circostanza, questa, che nella fattispecie non ricorre poiché, per un verso, l’impianto realizzato è di proprietà della ricorrente e non costituisce certamente un’opera pubblica".

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Il pericolo di infiltrazione mafiosa segnalato dalla Prefettura di Reggio Calabria sarebbe alto, dato che vi sarebbero legami e frequentazioni intercorsi tra l'azienda ed esponenti delle cosche di 'ndrangheta. Preoccupavano i rapporti intrattenuti con soggetti contigui agli ambienti delle 'ndrine operanti nel reggino, accusati già di gravi reati come "tentato furto, favoreggiamento, detenzione e porto illegale di armi e munizioni, minaccia aggravata, inosservanza degli obblighi inerenti la sorveglianza speciale, lesioni volontarie, danneggiamento, invasione di terreni, favoreggiamento personale e procurata evasione". Uno dei soggetti, già destinatario, a sua volta, di interdittiva antimafia, era stato tratto in arresto nell'ambito dell'Operazione "Xenopolis", della Dda di Reggio.

 

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