di CLAUDIA CONIDI*
Mi ha sconvolto il trattamento riservato al povero Simone Canale, all’esito della sua sconcertante fine, ancora tutta da appurare nella sua causale.
Sin dalla scoperta del cadavere, avvenuta ad opera della sorella che lo ha rinvenuto morto nel letto in cui si era addormentato e ”per sempre”, la salma non ha ricevuto le pur dovute “attenzioni” per come si conviene per legge, nel rispetto del codice di polizia mortuaria, (vedi artt. 8 e 13) essendosi trattato di soggetto deceduto senza assistenza medica e dunque da tenere sotto stretta osservazione per almeno 24 ore, dopo il decesso appurato alle h 9,30 del mattino.
Nel Comune di Salussola, dove il Canale è deceduto, nessuno lo ha trasportato in obitorio per poterne osservare le mutazioni o per poter comunque vigilare sulla salma, onde scongiurarne una morte apparente, nessuno dei suoi familiari ha potuto rendergli la dovuta attenzione, dedicandogli l’ultima cura, in onore al suo corpo ormai privo di vita, che, al pari di ogni altro, e non in tempo di lockdown (era il 22 Ottobre), avrebbe dovuto essere esposto ai suoi parenti, almeno, affinché gli stessi avessero potuto salutare il loro congiunto nel modo in cui ognuno che abbia un cuore ha diritto di fare, ovvero piangendo e pregando anche al suo fianco.
No. E’ stato chiuso in un sacco nero, sigillato, non aveva neanche il Covid, legato come un salame e rinchiuso in una stanza cui è stato dato ordine ai familiari di non accedere, nello stesso locale in cui era stato trovato morto e nei quali aveva lavorato fino al giorno prima, come cuoco.
In quelle ore i suoi fratelli, attoniti, non sapevano cosa avessero in casa, se un fratello morto, un cadavere appestato, un essere umano senza più diritti o semplicemente una persona che nella sua vita aveva avuto il dramma di avere un passato come il suo, da ‘ndranghetista e aveva scelto di cambiare vita, diventando “collaboratore di giustizia”.
So che è stata sporta denuncia per questo, e io stessa mi sono rammaricata di ciò, evidenziando tale circostanza al Procuratore di Biella, cui mi ero rivolta per ben due volte, per ottenere l’autopsia del Canale Simone, per il quale è stato già dato incarico al tossicologo di stendere perizia sulle cause del suo decesso.
Mi domando se tale trattamento rientri tra quelli riservati agli ex” collaboratori di giustizia” o sia frutto solo di disattenzione da chi di dovere. Certo è che se Simone Canale fosse stato apparentemente morto, cosa che può accadere, sia pur di rado, non avrebbe avuto neanche il diritto di risvegliarsi.
Per tre giorni è rimasto in quello stato, al punto che già emanava il fisiologico odore di cadaverina e per giunta in prossimità dei suoi familiari, sempre più sconvolti e increduli di ciò che stesse succedendo dinanzi ai loro occhi, quasi come in un film Horror.
“Non aprite quella porta” non è stato solo un film, quello diretto da Tobe Hooper, per il quale c’era da rabbrividire, ma purtroppo un monito reale rivolto ai congiunti di una persona morta da sola, in maniera ancora oscura, in una notte qualunque di autunno, quasi a chiudere una vita nello stesso modo in cui la stessa era stata vissuta, forse troppo violentemente e in solitudine. Attendo fiduciosa che la legge faccia il suo corso e che Simone Canale abbia da lassù la doverosa attenzione, almeno dopo la sua sepoltura.
*avvocato
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