'Ndrangheta. Il pentito Bruzzese: "Cosche reggine nel 2000 sostennero Chiaravalloti"

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Corte d’Assise d’Appello di Reggio Calabria
  05 dicembre 2022 15:21

Si è concluso dopo circa tre ore di dibattimento dinanzi alla Corte d’Assise d’Appello di Reggio Calabria (Bruno Muscolo, presidente; a latere, Giuliana Campagna) l’interrogatorio del collaboratore di giustizia Girolamo Bruzzese, ex ‘picciotto onorato’ della ndrangheta di Rizziconi, nella Piana di Gioia Tauro. Il Procuratore generale di udienza, Giuseppe Lombardo, ha posto numerose domande al pentito sulle dinamiche criminali delle grandi ‘famiglie di ndrangheta’ del versante tirrenico del Reggino: i Piromalli, gli Alvaro, i Pesce, i Mancuso, gli Avignone, i Longo, i Rugolo, i Mammoliti, i Crea, impegnati negli anni ’70 in sanguinose faide che hanno lasciato sul terreno decine di morti ammazzati, anche fuori Calabria.

In particolare, Girolamo Bruzzese ha raccontato del forte interesse della ndrangheta reggina nell'appoggiare elettoralmente nel 2000, alle elezioni regionali, l’ex Procuratore generale di Reggio Calabria, Giuseppe Chiaravalloti, candidato da Forza Italia e dal centrodestra alla carica di presidente della Regione, che fu eletto, superando per poche migliaia di voti il rappresentante del centrosinistra, l’ex direttore del Tg1, Nuccio Fava.

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Bruzzese, inoltre, ha anche raccontato di qualche impuntatura del capo cosca della ndrangheta di Rizziconi, Teodoro Crea, cui la sua famiglia apparteneva, di sostenere l’ex magistrato “non tanto perché giudice, ma perché troppo vicino ai Piromalli di Gioia Tauro”.  

Il pentito, rispondendo alle domande del rappresentante della Pubblica accusa, ha anche raccontato che alcuni ristoranti e alberghi del Vibonese – l’ex Hotel 501 e il Sayonara – erano di fatto a disposizione della ndrangheta, che ne utilizzava le strutture per riunirsi “senza essere registrati, oppure per far celebrare i matrimoni tra i rampolli della più importante ‘famiglie’ della ndrangheta calabrese”.

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Il processo proseguirà il prossimo 13 dicembre, con il controesame delle difese degli imputati, il capo mandamento di Brancaccio, Giuseppe Graviano, e l’ex capo bastone di Melicucco (Rc), Rocco Santo Filippone, condannati in primo grado all’ergastolo per il duplice omicidio dei carabinieri Vincenzo Garofalo e Antonino Fava, trucidati il 18 gennaio del 1994 mentre pattugliavano il tratto autostradale tra Palmi e Scilla, episodio che gli investigatori collocano all’interno del mosaico più vasto dell’attacco voluto allo Stato dalle mafie italiane per ottenere un allentamento della pressione investigativa dopo le uccisioni di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino

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