
La Corte Suprema, prima sezione penale (Pres. Santalucia, Relatrice Curami), in accoglimento del ricorso proposto dall’avvocato Letterio Rositano del foro di Palmi, ha annullato la sentenza di condanna a 12 di reclusione comminata a Francesco Cicino dalla Corte d’Appello di Roma per il delitto di partecipazione ad una associazione di tipo ndranghetistico.
Accolta, quindi, la tesi difensiva secondo cui per supportare una prognosi di colpevolezza in ordine al delitto di cui all’art. 416 bis, c.p., non è sufficiente, alla luce dell’insegnamento delle SSUU (Marino, Aquilina, Mannino e Modaffari), il dichiarato accusatorio di più collaboratori di giustizia (nel caso di specie ben 4) qualora costoro si limitino ad affermare genericamente e fumosamente la partecipazione di un soggetto ad un ente mafioso senza però indicare ed allegare fatti specifici che consentano di delinearne un ruolo dinamico e funzionale per il raggiungimento degli scopi sociali e la sussistenza della cosiddetta affectiosocietatis. In altri termini, non è la quantità numerica dei collaboratori a potere fare la differenza ma il contenuto del loro propalato.
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