“Rapporto di sudditanza e di volontaria assoggettazione, più che dichiarata disponibilità nei confronti dell’agire dei clan mafiosi della zona”. Di fatto, tutto il contrario di quanto sostenuto in questi anni da Procura e dai giudici.
Si legge in questi termini la decisione di oggi della Corte d’Appello di Catanzaro sul dissequestro del patrimonio dell'imprenditore Francesco Anselmo Cavarretta, etichettato in passato come il cassiere del clan Arena di Isola Capo Rizzuto.
Nasceva così un sequestro milionario effettuato dal Tribunale di Crotone, su richiesta della Dda di Catanzaro, per un totale di 21 milione di euro e che ha interessato anche il socio Giuseppe Colacchio, i familiari Caterina Carchivi, Gregorio Cavarretta, Maria Rosa Belluomo Anello e Giuseppe Messina (il collegio difensivo è composto da Pietro Chiodo, Carmine Mancuso, Anna Marziano, Giuseppe Gervasi e Giuseppe Barbuto).
Oggi, però, la Corte di Appello di Catanzaro ha accolto la tesi difensiva dei suoi avvocati, Fabrizio Costarella e Giuseppe Gervasi: il patrimonio deve essere dissequestrato così revocata deve essere la misura di prevenzione di 3 anni.
Una vicenda iniziata nel 2017 e che aveva portato all’emissione dei sigilli a beni immobili e diversi esercizi commerciali -organizzati in compagini societarie a responsabilità limitata che operano nel settore turistico, alberghiero, della ristorazione, ma anche bar e attività simili - oltre che diverse quote societarie relative ad imprese attive nel crotonese e a Milano, Firenze, Parma, Pisa e Vibo Valentia.
La Corte d’Appello oggi decide dopo un lungo iter iniziato l’1 marzo del 2017 con la pronuncia del Tribunale di Crotone in accoglimento della proposta della Repubblica di Catanzaro. Provvedimento confermato dalla Corte d’Appello il 9 aprile 2018 ma che viene annullato dalla Corte di Cassazione lo scorso 14 giugno, rimettendo ai giudici di merito la decisione a causa di alcune lacune da sanare e da tenere in considerazione. E in particolare: l’archiviazione di Cavarretta per l’accusa di associazione a delinquere e la mancata specificazione di elementi sull’attualità della pericolosità sociale, in riferimento a condotte realizzate oltre otto anni prima della presentazione della proposta.
Il tempo diventa un fattore centrale nella valutazione dell’attualità della pericolosità sociale, come emerge dai narrati dai collaboratori di giustizia, che riferiscono di aver conosciuto Cavarretta nel 2000.
Un lasso di tempo troppo dilatato per valorizzare la partecipazione ad un’associazione mafiosa e la legittimazione di una misura di prevenzione.
A questo si aggiungono le obiezioni mosse dagli avvocati Costarella e Gervasi, dove mettono in luce come né dal provvedimento di archiviazione per l'ipotesi di cui all'articolo 416bis del codice penale, né dall'unica condanna definitiva riportata da Cavarretta, sia possibile ricavare elementi di vicinanza mafiosa, avendo in quest'ultimo caso i giudici di merito e di legittimità escluso ogni profilo di aggravamento mafiosa.
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