Era il 31 ottobre del 2018 quando la moglie di Massimo Vona denunciava ai carabinieri di Petilia Policastro la scomparsa del proprio congiunto. Di lui, non aveva più notizie dalle 14,30 del giorno prima quando, a bordo della sua auto, si era allontanato per andare presso la propria azienda agricola in località “Carisi” di Petilia Policastro. Nel pomeriggio, intorno alle 17, la donna aveva tentato inutilmente di rintracciarlo su entrambe i telefonini ma o erano spenti o risultavano irraggiungibili. Non si era data per vinta e aveva anche telefonato alle persone “vicine” al coniuge. Nulla. Tutto era stato inutile.
Il sospetto (poi divenuto certezza con il prosieguo delle indagini) era, per gli inquirenti, che l'’improvvisa scomparsa di Massimo Vona, si inquadrasse in un caso di “lupara bianca” maturato nell’ambito della criminalità organizzata petilina.
Lo si legge tra le carte dell'ordinanze che stamattina hanno portato all'emissione di 12 fermi notificati all'alba dai carabinieri del Comando provinciale di Crotone, con il supporto di personale del Comando provinciale di Verona, dello Squadrone Eliportato Cacciatori Calabria. In particolare l’attività investigativa ha permesso di identificare il mandante e un esecutore materiale dell’omicidio dell’allevatore ricostruendone le varie fasi.
La "trappola mortale" come la definiscono gli inquirenti ordita da Rosario Curcio per il tramite di Pierluigi Ierardi - ricostruiscono gli inquirenti - scatta il 30 ottobre 2018 quando la vittima, infatti, dopo essere stata attirata presso un’azienda agricola in località “Scardiato” di Petilia Policastro, con il falso pretesto di “consegnargli” i responsabili dell’incendio appiccato nell’anno 2016 in danno del suo capannone, sarebbe stata uccisa, con almeno due colpi di arma da fuoco, dall’assassino che lo attendeva unitamente ad altri soggetti allo stato sconosciuti.
Poco più di una settimana, l'8 novembre, in località Scavino di Petilia Policastro i carabinieri del N.O.R. della Compagnia di Petilia Policastro, nell’ambito delle ricerche finalizzate a rintracciare Massimo Vona trovano la carcassa di un’autovettura marca FIAT, modello Punto, completamente distrutta dalle fiamme, abbandonata in una stradina interpoderale (in terra battuta e difficilmente percorribile a causa della deformazione dovuta alle piogge torrenziali dei giorni precedenti al rinvenimento) a servizio di alcuni appezzamenti di terreno coltivati ad uliveti.
"Stante quanto complessivamente ricostruito, appare evidente – scrivono gli inquirenti - che l’omicidio di Massimo Vona (e conseguente soppressione del cadavere) sia maturato nell’ambito delle decisioni della Locale petilina perché ritenuto un uomo scomodo che addirittura osava ostacolare i loro propositi criminali, nonostante i chiari avvertimenti avvenuti nel 2005 (con il furto di 500 pecore) e quello più recente nel 2016 (incendio del capannone)”.
Vona “ era diventato con tutta evidenza un uomo troppo scomodo per il sodalizio criminale perché, per il suo carattere e per il suo atteggiamento non incline a piegarsi, ne stava minando la primazia”. Lui che” nonostante i vari avvertimenti, non aveva mutato la sua condotta, così sfidando la sanguinaria consorteria”.
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